E&M

2019/3

Silvia Bagdadli Martina Gianecchini

Fare carriera in Italia: vecchi percorsi, nuove tensioni

Negli ultimi decenni l’economia mondiale ha attraversato grandi trasformazioni che hanno avuto ripercussioni sulle aziende, con fenomeni come l’outsourcing , il downsizing e l’appiattimento organizzativo. I rapporti di lavoro sono diventati meno longevi, con una crescita costante dei contratti temporanei, veicolati anche da piattaforme digitali. Queste trasformazioni hanno avuto un impatto rilevante sulle carriere degli individui, dentro e fuori dalle aziende.

Ciononostante, in Italia si registra una diffusione ancora limitata di percorsi di carriera a elevata mobilità. Fattori istituzionali, quali per esempio la rigidità del mercato del lavoro, e fattori culturali, quali per esempio un basso orientamento alla mobilità geografica, contribuiscono a spiegare questa situazione, con conseguenze sulle retribuzioni, mediamente più basse se confrontate con quelle di altri Paesi occidentale.

In uno scenario di grandi mutamenti, il ruolo dell’azienda rimane importante per lo sviluppo individuale, anche se non sembra colmare i «noti» divari di genere rispetto alle promozioni e alle ricompense economiche.

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Negli ultimi decenni l’economia mondiale ha attraversato grandi trasformazioni che hanno avuto ripercussioni sulle aziende, con fenomeni come l’outsourcing, il downsizing e l’appiattimento organizzativo, per citarne alcuni. Questi e altri cambiamenti hanno determinato un impatto sulla natura stessa del lavoro, sulla relazione psicologica fra individui e datori di lavoro e sul modo di condurre e concepire la carriera. Il lavoro si è dematerializzato, lasciando spazio prima ai servizi e ai settori ad alta intensità di conoscenza, e poi alla cosiddetta Industria 4.0[1]. I rapporti di lavoro sono diventati meno longevi, con una crescita costante dei contratti temporanei, veicolati anche da piattaforme digitali, come nella cosiddetta gig economy, un settore difficile da quantificare ma sicuramente in crescita anche in Italia[2]. Queste trasformazioni hanno avuto un impatto rilevante sulle carriere degli individui, dentro e fuori dalle aziende; in questo articolo delineeremo tali ripercussioni nelle loro sfaccettature teoriche e con un focus empirico sull’Italia.

Carriera e successo: i principali cambiamenti

The Career Is Dead - Long Live the Career («La carriera è morta. Lunga vita alla carriera»). Questo il titolo del libro che Tim Hall, uno degli studiosi più influenti sul tema, pubblica nel 1996. Nello stesso anno esce un altro testo seminale di Michael Arthur e Denise Rousseau, The Boundaryless Career («La carriera senza confini»), dove i confini tradizionalmente intesi erano quelli dell’impresa. Cosa era successo nelle aziende e che fenomeno stavano registrando gli studiosi? Le continue ristrutturazioni e riduzioni di personale, in essere da moltissimi decenni ma particolarmente severe a partire dagli anni Novanta, avevano minato l’idea di un rapporto duraturo e longevo con una o poche imprese, fondato sulla lealtà e il commitment, a favore dello sviluppo di rapporti idiosincratici, basati sul mercato[3]. È in questo contesto che gli studiosi teorizzano l’idea di una carriera che travalichi i confini di una singola organizzazione e sia più cangiante, come le facce di Proteo[4]. Una carriera sviluppata fra molte aziende, occupazioni, settori e professioni e che oggi, a distanza di oltre vent’anni, diventa anche autonoma e disconnessa dai luoghi tradizionali di lavoro.

Anche se empiricamente il concetto di carriera senza confini è stato messo in discussione[5] e sembra ormai chiaro che riguardi una porzione minoritaria della forza lavoro, e lo stesso si può dire per la gig economy, gli stessi cambiamenti che hanno portato alla teorizzazione di questi modelli hanno prodotto un ripensamento anche di cosa si intenda per «successo di carriera». Quest’ultimo infatti è stato concepito e misurato per lungo tempo soltanto in maniera oggettiva, prevalentemente in termini di salario e promozioni. Già dalla fine degli anni Ottanta, però, si inizia a riconoscere l’esistenza di una componente soggettiva, relativa alla soddisfazione rispetto alla carriera in generale, indipendentemente dai riconoscimenti estrinseci e quantificabili. Questo concetto è stato successivamente reinterpretato come multidimensionale, ovvero misurando la soddisfazione per la carriera in relazione a diversi aspetti dello sviluppo professionale: per esempio la possibilità di apprendimento e sfida derivante dallo svolgimento del lavoro o la qualità delle relazioni con i colleghi[6]. Si deve però al gruppo di ricerca internazionale 5C (Cross-Cultural Collaboration on Contemporary Careers) lo sviluppo di una scala multidimensionale, validata in tutto il mondo, di successo di carriera soggettivo: il gruppo sviluppa la propria ricerca nella convinzione che le diversità culturali e istituzionali si accompagnino a differenti interpretazioni del successo e che non tutte le dimensioni abbiano lo stesso valore in tutti i Paesi. Le sette dimensioni della scala, indicate di seguito, sono state sviluppate in base a cosa le persone considerano importante nella definizione del successo[7]:

  1. apprendimento e sviluppo – apprendere ed essere innovativi nel proprio lavoro;
  2. sicurezza economica – guadagnare una retribuzione che permette di soddisfare le necessità di base proprie e della propria famiglia;
  3. successo economico – ottenere benessere economico e incrementare la propria retribuzione;
  4. imprenditorialità – realizzare un progetto professionale autonomo;
  5. work-life balance – raggiungere un buon equilibrio tra vita privata e lavoro;
  6. relazioni positive – sperimentare buone relazioni di lavoro e ricevere apprezzamenti dai propri colleghi;
  7. impatto positivo – contribuire allo sviluppo degli altri e della società.

 

Nel sito 5c.careers il lettore può trovare delle mappe che raffigurano la distribuzione di queste dimensioni nei diversi Paesi partecipanti all’indagine. La ricerca si avvale di un campione di circa 20.000 rispondenti da 31 Paesi.

I primi studi empirici basati sui dati raccolti dalla ricerca 5C danno evidenza della rilevanza del contesto istituzionale e culturale per le carriere, aspetto teorizzato anni prima dagli studiosi del campo[8]. Un primo lavoro ha testato l’effetto della proattività su due dimensioni del successo soggettivo: il successo economico e il work-life balance[9]. Le azioni proattive includono, fra le altre, la pianificazione del proprio percorso, lo sviluppo delle competenze e la consultazione con i manager più senior. Lo studio ha messo in evidenza che una gestione proattiva della propria carriera influenza positivamente il successo economico e che questa relazione è amplificata dal contesto culturale.

Un secondo lavoro ha testato il modo in cui gli individui mettono in relazione tra di loro le dimensioni del successo di carriera soggettivo, facendo luce su come le differenze nel contesto istituzionale influenzano l’articolazione e la convergenza di queste associazioni[10]. Altri lavori, in corso di pubblicazione, si concentrano su aspetti specifici, quali gli effetti delle attività di sviluppo di carriera sulla percezione di impiegabilità[11] o ancora la relazione tra tali attività e il successo economico oggettivo e soggettivo[12].

Questi lavori contribuiscono alla strutturazione iniziale di un campo di ricerca internazionale sulle carriere che si affianca a quello già consolidato dell’international human resource management[13] e danno un veloce affresco sui temi di frontiera negli studi sulla carriera. Di seguito presenteremo un focus sull’Italia basato sui dati dell’indagine.

Le carriere in Italia

La raccolta dei dati italiani della ricerca 5C è avvenuta tra il 2014 e il 2015 tramite la somministrazione di un questionario online a un campione di lavoratori con almeno due anni di esperienza, segmentato per posizione professionale (manager, professional, impiegati amministrativi e nei servizi, lavoratori specializzati), genere e fasce d’età, secondo dei criteri che permettessero di mantenere la comparabilità dei risultati tra i diversi Paesi partecipanti all’indagine.

Di seguito presentiamo i risultati dei rispondenti con un contratto di lavoro dipendente. Si tratta di 606 persone, per il 52,6 per cento uomini, con un’età media di 38,8 anni (cha varia da un minimo di 19 a un massimo di 66 anni) e un’anzianità aziendale media di 16,1 anni. Il campione rappresenta la varietà generazionale esistente oggi nel mercato del lavoro, con il 22,3 per cento che appartiene alla generazione dei Baby boomer (nati fino al 1964), il 37,8 per cento alla Generazione X (nati tra il 1965 e il 1980) e il 39,9 per cento ai Millennial o Generazione Y (nati dopo il 1980). Con riferimento alla condizione familiare, il 57,3 per cento è sposato o vive con un partner e il 47,7 per cento ha uno o più figli. Nel 18,3 per cento dei casi il partner non lavora. Infine, con percentuali molto superiori alla media italiana, il 40,7 per cento dei rispondenti è laureato e il 6 per cento ha un dottorato; la proporzione di rispondenti con titoli di studio elevati è maggiore tra gli appartenenti alla Generazione X (52,6 per cento), seguiti dai Millennial (44,8 per cento) e dai Baby boomer (39,9 per cento).

Con riferimento al profilo professionale dei rispondenti, il 24,3 per cento opera in posizioni manageriali, il 26,9 per cento è un professional (per esempio, ingegneri, avvocati, chimici, medici), il 27,6 per cento lavora in posizioni impiegatizie o nei servizi (come commessi, segretarie, baristi) e infine il 21,3 per cento opera in ruoli specializzati che non richiedono una laurea (per esempio, operai specializzati, esperti in attività tecniche o artigianali). L’anzianità nella posizione è in media 8,2 anni.

Segmentando il profilo professionale per genere, si nota come le donne siano prevalentemente occupate in posizioni impiegatizie e come professional, mentre gli uomini sono concentrati in posizioni manageriali e tra i lavoratori specializzati. Compiendo una segmentazione analoga per generazione, emerge come la maggioranza dei Baby boomer e degli appartenenti alla Generazione X sia impiegata in posizioni manageriali, mentre i Millennial lavorino prevalentemente in posizioni impiegatizie e specializzate (Tabella 1).

Tabella 1 Distribuzione del campione per profilo professionale

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Da un punto di vista della tipologia delle organizzazioni di riferimento, i rispondenti lavorano prevalentemente in aziende private (66,8 per cento). Tra queste la maggioranza sono imprese italiane operanti a livello nazionale (56,3 per cento) e internazionale (24,9 per cento). La distribuzione del campione per settore e dimensione aziendale è illustrata nelle Tabelle 2 e 3. L’anzianità aziendale è in media 9,9 anni.

Tabella 2 Distribuzione del campione per settore d’impiego

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Tabella 3 Distribuzione del campione per dimensione aziendale

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Il questionario ha indagato alcuni tra i principali atteggiamenti lavorativi, per comprendere il livello di motivazione dei rispondenti nello svolgimento delle loro attività e rispetto alla loro impresa. In termini generali, il quadro che emerge è quello di dipendenti molto coinvolti nel loro lavoro (engagement medio pari a 4,2 su una scala da 1 a 6) e, anche se in misura minore, legati alla loro impresa (commitment aziendale medio pari a 4,5 in una scala da 1 a 7). Non sembrano interessati a cercare un nuovo lavoro (l’intenzione di lasciare l’azienda è pari a 2,9 su una scala da 1 a 7), forse perché non sono del tutto sicuri che ne troverebbero un altro nel giro di poco tempo (la percezione di impiegabilità è pari a 3,8 su una scala da 1 a 7).

Ma quali sono le caratteristiche principali dei percorsi di carriera dei lavoratori italiani che hanno partecipato alla ricerca?

Innanzitutto, i rispondenti presentano percorsi piuttosto «stabili»: il 49,3 per cento ha lavorato nel corso della propria carriera in una o due aziende, prevalentemente in uno o due settori (72,8 per cento). Nonostante un’estrema varietà di situazioni, i valori medi indicano tassi di cambiamento abbastanza contenuti (2,9 aziende e 1,9 settori in media), che crescono con il livello di responsabilità raggiunto: la mobilità media per i manager è pari a 3,4 aziende e 2,2 settori nel corso della loro carriera. Mediamente i rispondenti cambiano azienda ogni 7,7 anni con leggere differenze tra manager (8,2 anni), professional (8,5 anni), lavoratori in posizioni impiegatizie (6,9 anni) e lavoratori specializzati (7,1 anni). Con riferimento alla mobilità, da notare infine che anche quella geografica risulta piuttosto contenuta: il 63 per cento dei rispondenti non ha mai lavorato all’estero e non viaggia per lavoro.

Passando a illustrare le attività di sviluppo di carriera (Tabella 4), dai questionari emerge che la più diffusa è la formazione (il 71,6 per cento dei rispondenti dichiara di aver effettuato nel corso della propria carriera almeno un corso di formazione), seguita da attività di valutazione della prestazione (63,5 per cento) o peer evaluation (50,6 per cento). Faticano ancora a essere applicati nelle aziende, o vengono riservati solamente a segmenti specifici di collaboratori, strumenti di sviluppo più sofisticati quali gli incarichi internazionali (19,1 per cento), i programmi di mentoring e networking (21,4 per cento) e quelli di career counselling (22,4 per cento). Segmentando queste attività in base all’occupazione dei rispondenti emerge infatti come gli incarichi internazionali siano stati prevalentemente sperimentati dai manager (47,7 per cento); lo stesso può dirsi per i programmi di mentoring (37,7 per cento) e di career counselling (38,2 per cento). Più diffusi anche su profili di minore responsabilità i corsi di formazione, le diverse forme di valutazione e le modalità di lavoro flessibile volte a favorire un l’equilibrio tra vita privata e lavorativa (quali per esempio orari flessibili, part-time).

Tabella 4 Distribuzione del campione per attività di supporto alla carriera*

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Note: *era possibile dare risposte multiple (n=2497).

Concludiamo illustrando i principali indicatori di successo di carriera oggettivi e soggettivi del campione italiano.

Con riferimento al successo oggettivo sono state raccolte informazioni rispetto alla retribuzione annua lorda (in classi), al numero di promozioni ricevute e al livello gerarchico ricoperto. Quasi la metà del campione (46,9 per cento) dichiara di ricevere una retribuzione annua lorda inferiore a 25.000 euro e un ulteriore 26,1 per cento percepisce una retribuzione tra 25.000 e 40.000 euro. Significative, a questo proposito, le differenze di genere: mentre tra gli uomini sono il 63,6 per cento coloro che guadagnano fino a 40.000 euro, questa percentuale sale di 20 punti percentuali (83,2 per cento) tra le donne. La presenza di un gender gap nelle carriere delle donne italiane emerge, anche, con riferimento al numero di promozioni ottenute: se in media per l’intero campione queste sono 2,3, scendono a 1,95 nel caso delle donne e salgono a 2,66 per gli uomini. Meno marcata, anche se presente, la differenza con riferimento al livello gerarchico: mentre le donne – in una scala da 1 a 10, dove 1 rappresenta il livello gerarchico massimo (per esempio l’amministratore delegato) e 10 il livello gerarchico minimo di ingresso – si posizionano a un livello medio di 5,48, gli uomini sono leggermente più in alto (5,50), a fronte di una media del campione pari a 5,2.

Con riferimento alle sette dimensioni del successo soggettivo prima descritte, la ricerca ha indagato quanto le persone le considerino importanti (in una scala crescente da 1 a 5) e se ne abbiano raggiunto un livello rispetto al quale si sentono soddisfatti (in una scala crescente da 1 a 5) (Tabella 5). La sicurezza economica rappresenta l’aspetto più importante per i rispondenti (4,56), seguita dal work-life balance (4,47) e dall’apprendimento (4,33). Sicurezza economica (3,85) e apprendimento (3,74) sono anche due delle dimensioni rispetto alle quali i lavoratori si sentono più soddisfatti per il livello raggiunto, a cui si aggiungono le relazioni positive (3,84). La segmentazione per generazioni mostra per i più giovani una maggiore attenzione al work-life balance e alle relazioni positive, ma anche una forte ambizione sia con riferimento al successo economico sia all’imprenditorialità. Nel complesso la soddisfazione per il proprio successo di carriera è mediamente pari a 4,6 (in una scala crescente da 1 a 7).

Tabella 5 Dimensioni del successo soggettivo: importanza e raggiungimento

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E quindi…

I dati della ricerca 5C per l’Italia mostrano una diffusione ancora limitata di percorsi di carriera a elevata mobilità, in linea con altre ricerche empiriche sul tema. Fattori istituzionali, quali per esempio la rigidità del mercato del lavoro, e fattori culturali, quali per esempio un basso orientamento alla mobilità geografica, contribuiscono a spiegare i risultati ottenuti con conseguenze sulle retribuzioni, mediamente più basse se confrontate con quelle di altri Paesi occidentali; dato confermato dal divario esistente tra l’importanza e il raggiungimento percepiti del successo economico.

In uno scenario di grandi mutamenti, il ruolo dell’azienda rimane importante per lo sviluppo individuale, anche se non sembra colmare i «noti» divari di genere rispetto alle promozioni e alle ricompense economiche.

In sintesi

I lavoratori italiani hanno percorsi di carriera piuttosto «stabili e locali»: quasi la metà del campione analizzato nella ricerca ha svolto la propria carriera in una o al massimo due aziende, cambiando lavoro ogni 7,7 anni. Anche la mobilità geografica è limitata: due lavoratori su tre non hanno mai lavorato all’estero e non viaggiano per lavoro.

Lo sviluppo di carriera dei lavoratori è prevalentemente supportato dalle aziende con attività formative e miglioramento della prestazione. Strumenti di sviluppo più sofisticati quali incarichi internazionali, programmi di mentoring e career counselling vengono riservati solamente a segmenti specifici di collaboratori.

Cosa cercano nel lavoro le persone? Tra gli indicatori di successo quelli che vengono considerati maggiormente importanti sono la sicurezza economica, il work-life balance e le possibilità di apprendimento. I Millennial dimostrano anche una forte attenzione alle relazioni sul luogo di lavoro. Proprio sulla dimensione economica si rilevano però alcune criticità: le retribuzioni sono mediamente basse se confrontate con quelle di altri Paesi occidentali (il 73 per cento guadagna fino a 40.000 euro), con significativi divari di genere.

1

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2

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3

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4

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5

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8

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10

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11

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12

S. Bagdadli et al., Sponsored Mobility in Context: The Impact of Organizational Career Management on Objective Career Success and the Moderating Role of Institutional Factors, paper presentato al 78th AOM Annual Meeting «Improving Lives», Chicago (IL), 10-14.8.2018; S. Bagdadli, M. Gianecchini, «Organizational Career Management practices and objective career success: A systematic review and framework», Human Resource Management Review, 29(3), 2019, pp. 353-370.

13

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