E&M

2018/4

Fabrizio Perretti

Il ritorno dei padri fondatori

Il modello della monarchia britannica può diventare un punto di riferimento per le imprese familiari

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Di recente sono balzate alla cronaca italiana le notizie del ritorno di alcuni fondatori alla guida delle aziende del proprio gruppo[1]. Si tratta di un fenomeno che non interessa solo la nostra realtà. Si pensi, solo per citare alcuni esempi, al ritorno di Steve Jobs alla Apple, di Jack Dorsey e di Biz Stone a Twitter o di Howard Schultz a Starbucks. Nel caso italiano si tratta, però, di aziende e gruppi familiari, e il ritorno dei padri fondatori sollecita un’ulteriore riflessione, sia sul passaggio generazionale, sia sull’apertura delle imprese familiari a un management esterno[2].

In ogni impresa si possono individuare alcune figure tipiche che «reggono il timone» e che, nel corso di vita dell’azienda, possono essere interpretate anche da una stessa persona: il fondatore, il proprietario, l’imprenditore (in senso schumpeteriano) e l’amministratore (dirigente/manager). Nelle aziende familiari, la proprietà è sicuramente riconducibile a una «famiglia», così come, in moltissimi casi, anche la funzione imprenditoriale/manageriale. Il modo in cui viene inteso il rapporto tra queste funzioni determina la «cultura di un’impresa», intesa come visione dell’impresa stessa dalla prospettiva della proprietà.

Nel caso delle imprese familiari a un estremo abbiamo una situazione di microimprese caratterizzate da una mentalità familistica e dall’assenza di cultura d’impresa vera e propria: l’azienda è un insieme di pochi individui e l’impresa si sovrappone praticamente alla famiglia. A questo modello, seppur estremo, corrisponde però un numero di imprese molto elevato: il 95 per cento delle imprese italiane rientra nella classe di addetti più bassa (da 0 a 9)[3]. Come ricordato dal Governatore della Banca d’Italia nelle sue recenti Considerazioni Finali, l’Italia è caratterizzata da

 

«una struttura economica frammentata in cui e? elevato il peso delle imprese di dimensione contenuta, in media poco patrimonializzate e spesso poco propense a crescere. Le piccole aziende, molto più? numerose che negli altri paesi avanzati, sono meno produttive in Italia non solo di quelle più? grandi, ma anche delle imprese straniere di analoga dimensione»[4].

 

Man mano che si cresce di dimensioni e si sviluppa una maggiore articolazione tra proprietà e amministrazione, vi sono spesso casi di aziende familiari che sviluppano una cultura d’impresa fondiaria, da «possidente» – inteso nell’accezione di proprietario terriero –, in cui, una volta che è stato acquisito un terreno (da parte di un fondatore), la famiglia si limita a conservarne e a trasmetterne la proprietà come diritto ereditario. In questa tipologia, per lo più si dà per scontato che anche l’amministrazione, intesa come attività di direzione (quello che Claudio Dematté definiva «il mestiere di dirigere»), sia un diritto di proprietà – diretto o ereditato – cui si perviene attraverso un semplice apprendistato sul campo, a gradini, senza una formazione strutturata.

Si tratta di una concezione che si riscontra in molte piccole e medie imprese, che può compromettere lo sviluppo dell’azienda e avere gravi ripercussioni anche nella successione familiare della stessa. Innanzitutto perché un mestiere, inteso come competenze, non si trasmette per eredità ma deve essere appreso. E spesso non è sufficiente apprenderlo sul campo, perché sul campo si opera, ma l’apprendimento richiede osservazione e qualcuno che insegni. Nella realtà contemporanea sono inoltre necessarie competenze che non possono esaurirsi ed essere ricomprese in un’unica persona, ma devono provenire da un bacino di persone molto ampio. Ecco quindi la necessità dell’apertura all’esterno, a risorse e a manager che non provengano esclusivamente dalla proprietà e dalla famiglia. La crescita delle imprese, infatti, si esaurisce o non si sviluppa proprio quando non si riescono a sfruttare o ad acquisire tali risorse[5]. Tra l’altro, una concezione fondata su un diritto di trasmissione ereditario espone – in caso di mancanza di eredi – le imprese a processi di «liquidazione», sempre più spesso a soggetti esteri.

Le difficoltà di passare da una gestione familistica o fondiaria a una in grado di valorizzare competenze manageriali esterne al nucleo familiare sono note. Da un lato, la paura di molta imprenditoria italiana di aprirsi all’esterno, di perdere – oltra a parte del controllo – le abitudini e la riservatezza degli «affari di famiglia». Dall’altro lato, vi è invece la cosiddetta «trappola del fondatore», la paura cioè di tradire la propria origine, per cui si persiste nel credere che il modello di gestione adottato fino a quel momento sia il segreto del successo e quindi non debba essere cambiato. In tutti questi casi, le imprese vanno protette dall’egoismo, persino dal comprensibile amor proprio di chi le ha create.

Il ritorno dei padri fondatori si verifica però in imprese che hanno saputo superare entrambi questi limiti: imprese di grandi dimensioni, che si sono aperte a manager esterni e dove i fondatori si sono fatti da parte. Che cosa non ha funzionato allora? Ogni caso è diverso e non esiste una risposta unica, ma, in questo insieme di diritti ereditari e capacità di governo che sono di fatto le aziende familiari, un utile modello di riferimento può essere quello della monarchia inglese.

Nel Regno Unito, il cui sistema politico è composto da un complesso insieme di parlamentarismo, monarchia e democrazia, il potere della regina è limitato, ma è un punto di riferimento essenziale. Sebbene non faccia parte del governo e sia tenuta a rispettare le decisioni del parlamento e del potere esecutivo, riceve settimanalmente il primo ministro, per riunioni nelle quali ha il diritto di esprimere il proprio parere. Il monarca continua infatti a esercitare tre diritti essenziali: il diritto a essere consultato, il diritto di consigliare e il diritto di mettere in guardia[6]. Nel passare il testimone, i fondatori delle imprese, così come gli esponenti della famiglia che gli succedono, non dovrebbero probabilmente rinunciare a queste stesse prerogative. È necessario farsi da parte, concedere spazio e potere (anche tutto il potere esecutivo), ma senza smettere di osservare e, se necessario, mettere in guardia dai pericoli. In determinati frangenti si tratta di una prerogativa molto preziosa.

 

1

Si vedano «Made in Italy: da Benetton a Ferragamo e Prada i fondatori tornano al timone», L’Economia del Corriere della Sera, 3.4.2018, e l’intervista a Luciano Benetton, «Torno, a 82 anni, per salvare la mia azienda e colorare il mondo», la Repubblica, 30.11.2017.

2

A questo riguardo si vedano i rapporti e le ricerche della cattedra AIdAF-EY dell’Università Bocconi e, in particolare, dell’Osservatorio AUB sulle aziende familiari italiane. Si veda inoltre il dossier «Holding tricolori», pubblicato sul n. 2/2018 di Economia & Management.

3

Si veda ISTAT, Annuario statistico italiano 2017, Roma, 2017, p. 493, tav. 14.2, disponibile online su: https://www.istat.it/it/files//2017/12/Asi-2017.pdf.

4

Banca d’Italia, Considerazioni finali del Governatore. Relazione annuale 2017 – centoventiquattresimo esercizio, Roma, maggio 2018, p. 7, disponibile online su: https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2018/cf_2017.pdf.

5

Sui limiti alla crescita delle imprese si veda l’editoriale «La crescita delle imprese: limiti e prospettive» sul n. 2/2018 di Economia & Management.

6

W. Bagehot, The English Constitution, London, Chapman & Hall, 1867.