Archivio

25/05/2022 Roberto Ruozi

Che cosa accade dopo le crisi finanziarie

Negli ultimi anni gli scandali bancari e finanziari si sono moltiplicati creando problemi sempre maggiori ad azionisti, creditori, dipendenti e altri stakeholder, spesso dando vita a pericolosissimi fenomeni di tipo domino. Scandali come quelli di Gamestop, Archegos, Wirecard, Evergrande, Greensill e Banca N26 hanno dimostrato che i tempi delle crisi sono lunghi, confusi e imprevedibili, così come sono i loro risultati. Per questo motivo, non è tanto importante la gestione delle crisi una volta scoppiate, quanto piuttosto la prevenzione delle crisi stesse, sulla quale bisognerebbe cercare di avere idee e strumenti meno confusi e molto più efficienti di quelli di cui disponiamo oggi.

Nonostante i progressi dell’azione delle autorità nazionali e internazionali di vigilanza, gli scandali bancari e finanziari si moltiplicano creando problemi sempre maggiori ad azionisti, creditori, dipendenti e altri stakeholder, spesso dando vita a pericolosissimi fenomeni di tipo domino. Negli ultimi anni mi sono occupato di alcuni di essi, come Gamestop, Archegos, Wirecard, Evergrande, Greensill e Banca N26. Tali scandali, ampiamente analizzati e commentati anche dalla stampa specializzata, hanno tenuto gli onori della cronaca per qualche tempo, specie in Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Cina, ma anche in Italia, dopodiché su tutto quanto accaduto si è steso un velo pietoso e pochi sanno come si sono sviluppate le diverse situazioni. Cercherò quindi di fornire alcune sintetiche informazioni in materia.

Comincio da Wirecard, fintech tedesca di grandissime dimensioni impegnata nella gestione di sistemi di pagamento e quotata nella borsa di Francoforte. Fallì in seguito a un ammanco di cassa pari a quasi 2 miliardi di euro, alla cui realizzazione contribuì una vastissima rete di incontrollate e incontrollabili consociate estere. Dalla crisi di Wirecard, che sorprese anche le autorità di vigilanza rendendole oggetto di forti critiche, sono passati circa due anni. Nel frattempo i fatti più importanti che l’hanno riguardata sono stati l’incarcerazione dei vertici aziendali, accusati soprattutto di frodi in bilancio e manipolazioni del mercato, e le critiche rivolte alla società di revisione, che pure aveva rifiutato di certificare il bilancio di Wirecard e che è stata accusata di non aver fatto adeguatamente il proprio dovere. Quanto alle autorità di vigilanza, esse sono state profondamente modificate nella struttura e nel funzionamento sperando che ora possano intervenire più tempestivamente e meglio. È anche interessante notare che qualche settimana fa, nonostante tutto ciò, è scoppiata in Germania un’altra crisi, meno violenta ma comunque associata a quella di Wirecard. Si tratta di Adler, grandissimo complesso immobiliare, il prezzo delle cui azioni è crollato in seguito a pessime operazioni con parti correlate, alterazioni dei prezzi di valutazione di molti immobili ed errati criteri di selezione dei prestiti concessi alla clientela.

Anche il fallimento di Greensill avvenne circa due anni fa per motivi profondamente diversi. Si tratta infatti di una grande società finanziaria specializzata nel cosiddetto «reverse factoring», che concentrò i suoi investimenti nel finanziamento del gruppo indiano Gupta, leader nella produzione di acciaio in Gran Bretagna, il quale entrò in crisi, non fu più in grado di rimborsare i debiti, che solo nei riguardi di Greensill ammontavano a 5 miliardi di dollari e che lo portarono all’insolvenza. Le modalità con cui questa società potrebbe riuscire a contenere l’impatto negativo sui suoi stakeholder non sono ancora chiare. Si parla di un tentativo di rinegoziare i debiti, ma ciò comporterebbe anche la soluzione dei problemi finanziari del gruppo Gupta, entità internazionale i cui conti sono stati revisionati da una piccola società di audit pressoché sconosciuta e quindi ritenuta non molto affidabile. Si parla anche dell’intervento di un fondo svizzero per ricapitalizzare la società ma, se questo fosse fattibile, non lo sarebbe certo nel breve termine. Vi è infine la posizione del Credit Suisse, massimo finanziatore di Greensill, nelle cui note di debito aveva investito fondi suoi e soprattutto di suoi clienti, che ha dovuto in buona parte rimborsare anche in seguito a pesanti azioni legali che avrebbero potuto ledere la sua reputazione. La situazione è quindi molto confusa e in piena evoluzione. Conseguentemente la chiusura del caso non è né chiara né vicina.

Più semplice (si fa così per dire) è quella di Banca N26, che in effetti non è mai stata protagonista di una crisi vera e propria ma, a partire dal 2018, è stata oggetto di attenzione e di sanzioni da parte della vigilanza tedesca, la quale ha messo in evidenza forti carenze organizzative e soprattutto una pessima gestione della funzione antiriciclaggio. Sembrava che tutto si fosse appianato, quando nello scorso mese di marzo anche Banca d’Italia ha bloccato l’attività della banca in questione ancora per carenze nell’antiriciclaggio e nelle attività legate alle criptovalute. Come dire che la volpe perde il pelo ma non il vizio! Fatto sul quale vale la pena riflettere perché coinvolge il comportamento della banca, quasi a prescindere dai problemi tecnici, i cui rischi non sono stati effettivamente quasi mai oggettivi, legati cioè alle tecniche di confezionamento e di vendita dei prodotti e dei servizi offerti, bensì sono stati connessi ai fini e alle modalità con cui tale produzione e distribuzione è avvenuta.

Apparentemente più chiaro è il caso di Archegos, relativamente piccolo family office americano che, grazie alle sue dimensioni in termini di numero di clienti, poteva operare in modo non trasparente e con amministratori privi dei requisiti di onorabilità normalmente richiesti per le attività da esso svolte. Sull’onda dei successi iniziali riuscì a procurarsi masse enormi di debiti, che superarono in poco tempo i 40 miliardi di dollari, investiti con una leva straordinariamente elevata in un piccolo numero di azioni, con operazioni tecnicamente complesse, poco trasparenti e comunque assai rischiose. I prezzi di quelle azioni crollarono probabilmente in seguito a manipolazioni del relativo mercato, le banche che le avevano avute in pegno chiesero il rimborso dei loro crediti e non avendo avuto soddisfazione vendettero le azioni, i cui corsi precipitarono ulteriormente facendo fallire Archegos. Le banche finanziatrici subirono perdite colossali, che scaricarono in parte sui clienti che avevano loro fornito i fondi e che iniziarono azioni legali, come del resto anche le stesse banche, per cercare di salvare il salvabile. Va da sé che tali procedimenti sono ancora in corso e non si sa né come né quando potranno finire. Quanto sta accadendo mette in forte discussione la capacità di quelle banche di valutare e di tenere sotto controllo i rischi dei propri investimenti, fatto ancor più grave presso alcune di esse, come il Credit Suisse già coinvolto per motivi analoghi, per esempio, nel caso di Greensill. Tutto questo dimostra che le conseguenze delle crisi e i tentativi di ridurne gli effetti negativi richiedono tempi molto lunghi. Del resto, esse si basano quasi sempre su azioni legali o su transazioni mediamente molto complesse. Dimostra infine che è quasi scontato che i relativi responsabili finiscano condannati, come è accaduto anche ai vertici di Archegos, incarcerati per i soliti reati di manipolazione del mercato, falso in bilancio e simili, che non hanno avuto conseguenze solo sugli stakeholder del family office in questione, ma anche su buona parte dell’intero mercato delle azioni e del risparmio americano.

Concludo con Evergrande, gigante dell’immobiliare cinese diventato insolvente sotto il peso di più di 300 miliardi di dollari di debiti. Il relativo fallimento non è stato tuttavia dichiarato perché ritenuto troppo pericoloso non solo per i creditori di Evergrande, ma anche per l’intero comparto immobiliare cinese, in cui sono peraltro già falliti numerosi altri gruppi importanti. I vertici di Evergrande, molto vicini al governo e al partito, sono stati esclusi dalla politica e sono stati sostituiti da un comitato di gestione formato principalmente da funzionari pubblici. Il governo della provincia in cui aveva sede Evergrande è così diventato il perno della ristrutturazione, il cui piano tuttavia non è ancora stato presentato, così come non è ancora stato presentato il bilancio al 31.12.2021. Quanto alla sede centrale della società, del resto, per ridurre costi e fare cassa, è stata venduta e i vertici sono stati trasferiti in un immobile periferico più piccolo. Nel frattempo, la confusione continua a regnare sovrana. Tutti se ne occupano, compresa la banca centrale, che ha immesso nel gruppo fondi cospicui, alcuni investitori stranieri alla caccia di NPL, di sviluppatori che cercano di trovare i fondi per terminare il milione di appartamenti già venduti e pagati, facendo quindi di tutto per evitare il fallimento e per rimettere in sesto il gruppo, le cui sorti continuano tuttavia a non essere chiare.

Che cosa insegna tutto questo e che importanza può avere per eventuali crisi che si manifestassero in Italia? La risposta non è semplice, ma è comunque evidente che in tutti i casi esaminati i tempi di chiusura degli strascichi delle crisi sono lunghi, confusi e imprevedibili, così come sono i loro risultati. A questo fine, a parte i provvedimenti personali adottati nei riguardi dei vertici delle aziende insolventi, che sono stati generalizzati e che hanno comunque richiesto numerosi mesi per essere decisi ed eseguiti, nei tempi prima ricordati molte energie sono state spese nel campo legale e in quello della ricerca di transazioni con i danneggiati. Tutto sommato, tuttavia, tempi non brevi si stanno rivelando meno traumatici di quelli brevi, come insegnano altri casi noti risalenti anche a diversi anni fa, primo fra tutti quello di Lehman Brothers. Con il passare degli anni in quest’ultima vicenda si sono infatti trovate in modo anche discreto soluzioni meno negative per i danneggiati difficilmente pensabili e tanto meno realizzabili in periodi più brevi. In questo senso, che si tratti di fallimenti o di ristrutturazioni, i problemi sono pressoché uguali, come peraltro è stato dimostrato recentemente anche da alcune crisi finanziarie in Italia. Pressoché uguali sono anche i drammatici effetti di attività svolte con altissima leva, che prima o poi fanno saltare anche strutture per altri versi efficienti. Il vero senso di tutta questa storia è tuttavia che, ai fini della tutela e della soddisfazione dei danneggiati, non è tanto importante la gestione delle crisi una volta scoppiate, sulla quale peraltro la letteratura e la normativa abbondano e continuano a moltiplicarsi, quanto piuttosto la prevenzione delle crisi stesse, sulla quale bisognerebbe cercare di avere idee e strumenti meno confusi e molto più efficienti di quelli di cui disponiamo oggi.

iStock-184611580