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Kabul, Pechino e la geopolitica della transizione ecologica
L’Afghanistan è una terra di tesori. Recentemente la stampa internazionale e, a quanto si apprende, anche il nuovo governo talebano stanno seguendo con apprensione le sorti del tesoro di Bactrian, scoperto nel nord dell’Afghanistan poco prima dell’invasione sovietica del 1979. In sei tombe databili dal I secolo a.C. al I secolo d.C., gli archeologi guidati da Viktor Sarianidi hanno rinvenuto più di 20.000 manufatti, tra cui amorini d’oro, delfini, divinità e draghi tempestati di turchese, corniola e lapislazzuli, ma anche anelli, monete, armi, orecchini, bracciali, collane e corone d’oro. I manufatti ritrovati rivelano una rara miscela di influenze estetiche, dalla Persia alla Grecia, da Roma alla Cina. L’importanza della scoperta per il mondo dell’archeologia è stata paragonato da Sarianidi a quella della tomba di Tutankhamon rinvenuta in Egitto nel 1922.
Quello di Bactrian non è l’unico tesoro al centro dell’attenzione internazionale. Tornati al potere in Afghanistan dopo un ventennio, i talebani hanno ripreso il controllo delle preziose risorse naturali del paese. L’Afghanistan è ricco di rame, oro, petrolio, gas naturale, uranio, bauxite, carbone, minerale di ferro, elementi delle terre rare, litio, cromo, piombo, zinco, pietre preziose, talco, zolfo, travertino, gesso e marmo. Una stima approssimativa, risalente a una decina di anni fa, indicava un valore totale dell’ordine del milione di milioni di dollari. Un memorandum interno del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti descriveva l’Afghanistan come l’Arabia Saudita del litio. A distanza di un decennio, questa etichetta assume ben altro spessore.
Un recente rapporto[1] l’International Energy Agency (IEA), di cui fa parte anche l’Italia, ci fa capire perché. Il rapporto fa il punto sul ruolo fondamentale di alcuni minerali «critici» per la transizione verso fonti energetiche più pulite di quanto siano petrolio e carbone. Secondo l’IEA, il sistema energetico globale è oggi nel bel mezzo di un’importante transizione ecologica. Gli sforzi di un numero sempre crescente di Paesi e aziende per ridurre le proprie emissioni di gas serra richiedono il massiccio dispiegamento di un’ampia gamma di tecnologie energetiche a basso impatto ambientale, molte delle quali si basano appunto su una serie di minerali «critici». Per questo motivo, la transizione ecologica è, di fatto, anche una «transizione minerale».
Il fabbisogno di minerali critici varia tra le diverse tecnologie per l’energia pulita e anche nell’ambito di una stessa tecnologia. Per esempio, i pannelli solari hanno soprattutto bisogno di rame e alluminio; le pale eoliche di rame, zinco e terre rare; le batterie per veicoli elettrici di rame, cobalto, nichel, litio, terre rare e alluminio.
Secondo Forbes, i cinque grandi «metalli di transizione» sono rame, alluminio, nichel, cobalto e litio. Il settore in maggiore crescita tendenziale è quello dei veicoli elettrici, le cui vendite annuali potrebbero crescere dai 5 milioni stimate di veicoli di oggi ad almeno 80 milioni di veicoli entro il 2030. Per le carrozzerie dei veicoli elettrici serviranno l’alluminio, per ridurne al minimo il peso, e il rame, per il cablaggio. Le batterie per i veicoli elettrici e il mercato emergente dello stoccaggio di energia stimoleranno la domanda di litio, nichel e cobalto. Il rame e l’alluminio saranno fondamentali anche per l’espansione delle reti di distribuzione, così come per i pannelli solari. Entro il 2040 la domanda di rame e alluminio potrebbe aumentare di circa un terzo e quella di nichel di due terzi. Per il cobalto si parla di un aumento del 200 per cento e per il litio del 600 per cento.
Nel suo rapporto l’IEA sottolinea che un sistema energetico globale in forte evoluzione come quello attuale richiede un nuovo approccio alla sicurezza energetica. Più i pannelli solari, le turbine eoliche e le auto elettriche verranno dispiegati, più i mercati dei metalli di transizione acquisiranno una centralità senza precedenti. In prospettiva, oltre alla volatilità dei prezzi, preoccupano le interruzioni della fornitura e i possibili cambiamenti degli equilibri geopolitici.
Prendiamo il caso dei semiconduttori. Oggi milioni di prodotti, come automobili, lavatrici e smartphone, hanno bisogno di semiconduttori per funzionare. Il problema è che al momento non ce ne sono abbastanza per soddisfare la domanda globale. La conseguenza è che molti prodotti di uso comune cominciano a scarseggiare. Come riportato dalla BBC in agosto, è diventato difficile acquistare console di gioco PS5. Toyota, Ford e Volvo hanno dovuto rallentare o interrompere temporaneamente la produzione nelle loro fabbriche. Anche i produttori di smartphone stanno soffrendo: per Apple la carenza di semiconduttori potrebbe influire sulle vendite di iPhone. Secondo la società di consulenza AlixPartners, la carenza di semiconduttori potrebbe costare all’industria automobilistica globale circa 210 miliardi di dollari di fatturato nel solo 2021.
Per certi versi questo è il risultato della pandemia. Per altri si tratta di una tendenza di più lungo periodo. I materiali semiconduttori variano nel prezzo e nella disponibilità, dall’abbondante silicio alle costos terre rare. Ed è qui che si affaccia la geopolitica. Già prima della pandemia, il mercato dei semiconduttori era sotto pressione per due motivi principali. Da un lato, l’ascesa del 5G aveva cominciato a far aumentare la domanda. Dall’altro, la decisione degli Stati Uniti di impedire la vendita di semiconduttori a Huawei aveva indotto l’azienda cinese a cercare fornitori altrove e, più in generale, la Cina ad accelerare la messa in sicurezza delle sue catene di approvvigionamento.
Bloomberg ci ricorda che, quando gli Stati Uniti hanno invaso l’Afghanistan nel 2001, l’economia globale era molto diversa: Tesla non era un’azienda, l’iPhone non esisteva e A.I. - Intelligenza artificiale era il titolo di un film di fantascienza. Ora Tesla, iPhone e intelligenza artificiale sono icone di una nuova economia basata su semiconduttori, batterie e relativi minerali critici. E l’Afghanistan è seduto su giacimenti con un valore stimato enorme. Questo tesoro sarà di chi riuscirà ad aiutare i talebani ad estrarlo dal suolo.
«Con il ritiro degli Stati Uniti, Pechino può offrire ciò di cui Kabul ha più bisogno: imparzialità politica e investimenti economici”, ha scritto in agosto sul New York Times Zhou Bo, colonnello dell’esercito cinese dal 2003 al 2020. «L’Afghanistan, a sua volta, ha ciò che la Cina apprezza di più: opportunità nella costruzione di infrastrutture e industria – aree in cui le capacità della Cina sono probabilmente ineguagliate – e accesso a giacimenti minerari non sfruttati che valgono un milione di milioni di dollari».
Ciò che colpì gli archeologi che scoprirono il tesoro di Bactrian fu soprattutto la multiculturalità degli oggetti, dalle fibbie per stivali di ispirazione cinese ai pugnali in stile siberiano. Altri oggetti includevano una moneta romana con la testa dell’imperatore Tiberio, uno specchio d’argento con incisioni cinesi, anelli con testo greco e una moneta con immagini buddiste. Da nessun’altra parte così tanti oggetti di rilievo provenienti da così tante culture diverse erano mai stati ritrovati in un unico sito. La spiegazione di tale varietà è che Bactrian si trovava lungo la via della seta che collegava l’Occidente alla Cina. Oggi come allora tutte le strade sembrano dover portare a Pechino.
Gianmarco Ottaviano è Professore di Economia Politica presso l’Università Bocconi, dove è titolare della Achille and Giulia Boroli Chair in European Studies. Scrive sul Sole 24 Ore e su lavoce.info. Per Economia&Management riprende e sviluppa i commenti e le analisi pubblicate sulle due testate.
[1] «The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions», IEA, Maggio 2021.