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25/02/2021 Cecilia Attanasio Ghezzi

Il pallone sgonfio del calcio cinese

Il 14 piano quinquennale, che sarà approvato dal Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese a marzo 2021, decreta formalmente che il denaro degli imprenditori «rientri in Patria e che gli investimenti si concentrino sulle attività domestiche». In quest’ottica di dismissione dalle attività «non rilevanti» imposta dal Governo di Pechino, si spiega il taglio agli investimenti nel mondo del calcio europeo: dall’Atletico Madrid allo Slavia Praga, fino al recente caso di Suning con l’Inter.

Sembra che Suning abbia intenzione di vendere il Jiangsu, squadra campione della Repubblica popolare nell’ultimo campionato di calcio. E sicuramente sta cercando un finanziamento con cui fare fronte ai problemi di liquidità dell’Inter, il suo gioiellino europeo. La mossa farebbe parte di un piano di dismissione dalle attività «non rilevanti» messo in atto dal colosso di Nanchino Suning.com dopo i problemi finanziari legati alla pandemia e all’invito del Governo centrale di bloccare gli investimenti all’estero da parte delle aziende cinesi.

Se nel 2017 c’erano 20 club europei in mano a investitori cinesi, oggi il loro numero è inferiore alla decina. E va decrescendo. Ma il sogno di diventare una potenza calcistica, non faceva parte di quelle grandiose ambizioni di Xi Jinping? 

Appena designato presidente dello Stato più popoloso del mondo, nel 2011, era stato proprio lui a esprimere tre desideri: che la nazionale cinese si qualificasse per un altro Mondiale, che la Cina lo ospitasse e che finalmente ne vincesse uno. Nel primo libro che ne celebra la visione (Governare la Cina, in Italia pubblicato da Giunti Editore nel 2016), campeggia una sua foto in cui palleggia soddisfatto, ed era stato addirittura il Consiglio di Stato a emanare le direttive per concretizzare il sogno del leader. A marzo 2015 decideva che nei successivi dieci anni il territorio cinese avrebbe dovuto ospitare 50mila scuole calcio contro le 5mila allora esistenti. L’obiettivo erano 30 milioni di ragazzini a popolarle e almeno un campo regolamentare per ogni contea. Con i ritmi cinesi, ovviamente, si dichiaravano già in costruzione 70mila nuovi campi. Così, nella prima metà del 2016 le squadre di prima categoria del campionato professionista cinese avevano speso quasi 330 milioni di euro in giocatori stranieri di primo livello, mentre l’equivalente della nostra serie B ne aveva spesi altri 100. I club europei venivano comprati, e le partnership con il mondo del calcio nostrano aumentavano esponenzialmente.

Ma nel 2017 era già cambiata musica[1]: l’Associazione di calcio cinese aveva cominciato a mettere un tetto all’acquisto di calciatori stranieri e, soprattutto, ai loro compensi da capogiro. Nel frattempo, gli obiettivi che si era data pubblicamente nel 2018 erano tutti falliti: non solo la nazionale non si è qualificata per le Olimpiadi di Tokyo 2020, ma non è arrivata nemmeno alle semifinali dell’Asian Cup del 2019, né è entrata nelle prime 70 posizioni Fifa[2]. Dobbiamo ancora vedere se si qualificherà per i Mondiali del 2022. Così a fine 2020, l’Associazione di calcio cinese ha irrigidito nuovamente le regole: il compenso massimo per ogni giocatore deve essere 5 milioni di yuan e lo sponsor non potrà più apparire accanto al nome della squadra[3]

Nel 2020, le spese folli dell’ultimo quinquennio hanno portato alla squalifica per ragioni finanziarie di ben 11 squadre, tra cui nomi storici come il Liaoning FC e il Tianjin Quanjian[4]. Il 14 piano quinquennale, che sarà approvato a marzo 2021, decreta formalmente che «il denaro [investito all’estero] rientri in Patria e che gli investimenti si concentrino sulle attività domestiche»[5] e gli uomini più ricchi del Paese rischiano di saltare a ogni passo che non sia completamente coordinato con i dettami della leadership (si veda, uno su tutti, il caso di Jack Ma[6]).

Nel mondo del calcio questi segnali si sono avvertiti addirittura prima: nel 2018 Wang Jianlin, il tycoon del Wanda Group, è stato costretto a disinvestire nell’Atletico Madrid; nel 2019 Ye Jianming, fondatore del CEFC China Energy, ha venduto la sua quota dello Slavia Praga perché la sua azienda è stata commissariata. Così piano piano quasi tutti gli investitori cinesi hanno cominciato a riportare i soldi a casa, proprio come chiede il governo. Ci saranno incentivi, certo. Ma il punto è politico: in Cina nessuno può disobbedire al Partito. E il privato non è mai completamente privato.

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