E&M

2023/1

Carmine Tripodi

PMI e continuità di successo nei nuovi scenari competitivi

Nel corso del tempo, guidare le imprese al successo è diventato decisamente più complesso e, di conseguenza, imprenditori e manager sono chiamati ad arricchire il modo in cui governano le imprese. La qualità del prodotto, per lungo tempo pilastro del successo e dell’affermazione a livello internazionale del Made in Italy, in molti casi non è più sufficiente se non si accompagna a robuste competenze nelle altre funzioni aziendali e a un approccio flessibile, necessario per reagire prontamente a scenari imprevisti. Ampliare, approfondire e rinnovare costantemente il portafoglio di competenze sono attività imprescindibili per sostenere la propria competitività, anche se spesso confliggenti con l’esiguità delle risorse che le PMI possono dedicare allo sviluppo. Un aspetto che deve spingere le imprese a esplorare nuovi modelli organizzativi, che facciano della collaborazione e del coinvolgimento di partner esterni un potente e flessibile motore di sviluppo di competenze. Le competenze non sono tuttavia una garanzia assoluta di successo: l’attenzione alle competenze dev’essere sostenuta dalla consapevolezza che l’azienda non potrà crescere se, al suo interno, non cresceranno le persone. Ecco allora che uno dei compiti più importanti del management è costruire un gruppo di valore, in cui la motivazione degli individui, le loro competenze funzionali e al contempo la loro capacità di contribuire alle decisioni strategiche dell’azienda devono essere elementi decisivi e caratterizzanti.

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Da sempre le imprese sono coinvolte nella sfida affascinante della ricerca del successo e si interrogano con l’obiettivo di comprendere che cosa fare per migliorare i propri risultati, all’affannosa ricerca di una risposta su come comportarsi nelle situazioni difficili. In tutti i periodi storici, a emergere sono quei soggetti che meglio di altri riescono a interpretare il contesto competitivo da fronteggiare e a costruire sintesi efficaci che rappresentano l’essenza di una strategia di successo.

Imprese e successo

L’importanza della qualità del prodotto

Per lunghi tratti del secolo scorso le imprese italiane hanno vinto la sfida del successo dando centralità alla qualità del prodotto. È il periodo del boom economico del secondo dopoguerra, quando una generazione di imprenditori è stata capace di coniugare le robuste competenze tecnico-produttive acquisite sul campo con la capacità di rischiare e di fare impresa, contribuendo in questo modo allo sviluppo economico del nostro Paese e a scrivere la bellissima favola del «calabrone che vola». In un contesto strutturale, cioè poco favorevole allo svolgimento dell’attività di impresa, sono nate molte realtà eccellenti che hanno portato nel mondo prodotti ricchi di qualità e design, contribuendo a far nascere e affermare il fascino del Made in Italy.

Sono questi gli anni della ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale, che si estendono fino alla fine degli anni Ottanta. Un periodo costellato sì di grandi successi, ma caratterizzato anche da elementi che con il senno di poi si sono rivelati condizioni favorevoli per tante imprese. L’Italia è uno dei pochi Paesi manifatturieri in grado di realizzare prodotti di buona qualità e non ha molti rivali a livello internazionale; i consumatori hanno un reale bisogno di molti prodotti, per vestirsi, per arredare la casa, per comunicare, per muoversi più velocemente; i mercati internazionali sono in fase di sviluppo e trascinano le vendite di molti settori; i cicli di cambiamento, tanto quelli tecnologici quanto quelli relativi ai modelli di consumo, sono lunghi e mettono meno pressione alle imprese. In estrema sintesi, in un periodo storico in cui i prodotti sono necessari, per tutti quei soggetti che hanno avuto l’intuizione di lanciarsi nell’arena competitiva, è la qualità del prodotto a fare la differenza: fare buoni prodotti, con un design accattivante, e renderli disponibili sui mercati internazionali è stato spesso sufficiente per raggiungere il successo.

La centralità della strategia

A partire dagli anni Novanta e fino ai nostri giorni tanto è cambiato, e le competenze tecniche da sole non sono più sufficienti a garantire performance robuste e durature nel tempo. Negli anni è decisamente migliorato il livello produttivo di molti Paesi e la concorrenza internazionale si è fatta più agguerrita; di molti prodotti i consumatori non hanno un reale bisogno e devono trovare motivi validi per l’acquisto; molti mercati sono maturi e non più in grado di trascinare i consumi; i cambiamenti sono sempre più rapidi e costringono le aziende a guardare continuamente verso il futuro. Se a questo si aggiunge che la dimensione internazionale è un elemento caratterizzante di quasi tutti i settori, con le implicazioni che ne derivano in termini di complessità di gestione e ammontare degli investimenti, è facile convincersi che la strada per il successo si sia fatta decisamente più tortuosa.

Per vincere la sfida, oggi (così come nel passato più recente) è necessario fare la differenza rispetto ai propri concorrenti, e la differenza si riesce a realizzarla solo se si presidia uno spettro di competenze più ampio rispetto al passato. Si tratta naturalmente di continuare a garantire una elevata qualità del prodotto, e di aggiungere a ciò la capacità di dialogare con i clienti e interpretare i loro bisogni, di utilizzare le nuove tecnologie della comunicazione e i dati disponibili in rete, di sviluppare e gestire brand sui mercati internazionali, di aggregare al progetto di sviluppo i giovani talenti, di pianificare le attività future e monitorare costantemente i risultati, di mettere in pista e finanziare progetti più complessi. In sintesi, in un periodo in cui le determinanti del successo appaiono più numerose, diventa decisiva la qualità della strategia: interpretare efficacemente i contesti competitivi e costruire validi modelli di interazione con l’ambiente esterno sono elementi fondamentali per ambire al successo.

Alla ricerca di flessibilità e solidità

Il nuovo millennio, prima con la crisi finanziaria del 2008, poi con la pandemia del 2020 e infine con la guerra in Ucraina, aggiunge ulteriore complessità. Questo ci pone di fronte, in tutta la sua drammaticità, all’instabilità dei mercati internazionali e ci fa riflettere su quanto i risultati delle imprese possano dipendere da elementi apparentemente distanti e non direttamente controllabili. La profonda interconnessione creatasi nel tempo tra i diversi mercati fa sì che un virus diffusosi in una città della Cina metta prima in ginocchio l’economia locale, con le immaginabili ripercussioni sulle importazioni e sulle esportazioni delle imprese di gran parte del mondo, e poi viaggi velocemente in aereo, contagi le persone, costringa alla chiusura delle imprese, metta in difficoltà le economie degli altri Paesi. Allo stesso modo, aziende che nulla hanno a che fare con il conflitto bellico possono vedere schizzare alle stelle il costo della bolletta energetica per ragioni al di fuori delle proprie possibilità di controllo.

Di fronte a scenari così mutevoli e a cambiamenti tanto improvvisi, l’equilibrio economico delle singole imprese rischia di essere messo in discussione. Diventa necessario reagire prontamente a eventi difficilmente prevedibili e avere le risorse per poter sopportare qualche momento di difficoltà generale. In altre parole, in un contesto potenzialmente instabile non è sufficiente concentrarsi esclusivamente sui contenuti della strategia, ma occorre sviluppare capacità di reazione e farsi trovare pronti: studiare in anticipo gli scenari futuri, immaginare le possibili risposte, reagire a quanto accade e modificare rapidamente la propria strategia aumentano notevolmente le possibilità di successo. Parimenti, patrimonializzare le aziende e renderle sufficientemente solide può consentire di superare qualche imprevisto con maggiore tranquillità, o di approfittare di opportunità favorevoli che dovessero presentarsi in tempi difficili.

Quale modello per lo sviluppo di competenze?

L’evoluzione del contesto ambientale, oltre a modificare le possibilità di successo delle singole imprese, ha reso più complesso il ruolo di chi le guida e ha fatto emergere la necessità di rafforzare le competenze di cui si dispone. Detto in altri termini, le aziende che oggi puntano a fare la differenza devono: costruire un portafoglio di competenze ampio, che consenta di presidiare gli aspetti decisivi del fare impresa; sviluppare un livello di competenze profondo, per poter primeggiare rispetto a concorrenti agguerriti; aggiornare continuamente queste competenze per seguire e anticipare cambiamenti sempre più repentini.

Tutto questo a prescindere dalle dimensioni, perché i contesti competitivi che le piccole e medie imprese devono affrontare sono gli stessi delle grandi imprese e perché anche per loro le possibilità di successo dipendono dagli investimenti, dalla capacità di visione e di adattamento e, più in generale, dalla completezza del modello di business che riescono a esprimere.

Questa esigenza però spesso mal si concilia con la disponibilità limitata di risorse, economiche e umane, che le piccole e medie imprese riescono a mettere in campo a servizio del proprio percorso di sviluppo manageriale, e ne possono derivare due diverse tipologie di errori.

Il primo si identifica con la decisione di rinviare gli investimenti a momenti migliori, quando una situazione più tranquilla e una maggiore consistenza delle risorse consentiranno di affrontare la situazione in maniera differente, penalizzando di fatto la capacità competitiva di breve termine.

Il secondo consiste nell’accontentarsi di sviluppare le competenze a livelli non eccellenti, in modo da rendere sostenibili gli investimenti. È il caso, per esempio, di un’azienda che per cominciare a investire nelle attività di marketing o di gestione delle risorse umane, invece di avvalersi di una persona sufficientemente esperta per guidare questo percorso, decide di assumere una risorsa magari più giovane che possa costare meno. Una scelta più prudente, ma con margini di incertezza più elevati, in virtù della difficoltà di garantire quel necessario percorso di crescita a una risorsa da formare che, presumibilmente, si troverà a essere isolata in una funzione aziendale internamente poco presidiata.

Make, buy o connect?

Di fronte a investimenti che possono apparire ingenti e difficili da sostenere, occorre che le imprese trovino comunque una strada da seguire per non vedere pericolosamente compromessa la propria competitività.

Ecco allora che selezionare alcune aree di investimento in cui provare a eccellere – convinti che siano quelle che più di altre, anche in considerazione delle specificità aziendali, possono fare la differenza – è una prima strada interessante da seguire.

Parallelamente, può essere stimolante provare a superare le logiche tradizionali con cui le imprese hanno affrontato il tema dello sviluppo delle competenze e cioè quelle dello sviluppo interno (make) o dell’acquisizione dall’esterno (buy). Due approcci che ben si conciliavano con un contesto in cui le competenze rilevanti erano in gran parte collocate nella sfera tecnico-produttiva, che le imprese presidiavano adeguatamente e che cercavano di difendere gelosamente dall’imitazione dei concorrenti.

In uno scenario con maggiori tratti di discontinuità, con più fronti e linguaggi da presidiare e con competenze che sono condizioni necessarie ma non sufficienti per il successo, le aziende dovrebbero esplorare nuovi modelli di sviluppo maggiormente centrati sulla collaborazione con partner esterni (connect), sicuramente non facili da gestire, ma che potrebbero ridurre considerevolmente gli investimenti necessari.

Affiancarsi a partner esterni nel processo di sviluppo delle competenze, infatti, non significa mettersi necessariamente in posizione di debolezza o dipendere passivamente da terzi. Anzi, qualora le imprese dovessero essere in grado di guidare il processo con personalità, selezionando soggetti di valore con cui costruire rapporti stabili, potrebbero dar vita a un contesto organizzativo flessibile e al contempo capace di competere.

Tutto questo beneficiando inoltre di interessanti vantaggi quali, per esempio: accelerare il processo di sviluppo, a seguito del coinvolgimento di partner di valore; puntare fin da subito a costruire competenze di livello elevato, utilizzando un modello flessibile; risparmiare sullo sviluppo dei singoli contenuti, riuscendo così a investire in più direzioni; rendere più flessibili gli investimenti, avendo la possibilità di cambiare partner o anche modello di sviluppo, se i risultati non si rivelassero soddisfacenti; favorire un travaso progressivo delle competenze sulle risorse interne, facendo crescere l’organizzazione esattamente come potrebbe avvenire nel caso di sviluppo interno.

Un obiettivo comune, più direzioni di lavoro

Cosa un’azienda intenda per successo e sulla base di quali elementi si riterrà soddisfatta dei risultati raggiunti non è del tutto scontato, e può assumere in alcuni casi connotazioni differenti. Certo, il successo non potrà prescindere da una dimensione di profitto e di remunerazione degli investimenti, la misura che massimamente sintetizza la bontà delle scelte effettuate. Quanto però la ricerca del profitto abbia una dimensione non solo di breve, ma sia orientata a un orizzonte di medio e lungo periodo, quanto sia rilevante la soddisfazione delle diverse categorie di stakeholder e quanto si ritenga centrale il valore creato per il cliente sono tutte questioni che possono trovare risposte differenti e orientare in maniera diversa i comportamenti, le decisioni e le valutazioni dei risultati raggiunti. A prescindere dall’accezione puntuale che le singole imprese possono dare al successo, è tuttavia innegabile che tutte sono chiamate ad assumere con continuità buone decisioni, con l’obiettivo non solo di raggiungere, ma soprattutto di dare continuità al successo stesso.

Dall’analisi fin qui effettuata, una prima indicazione di comportamento è già emersa con chiarezza ed è collegata alla necessità di diventare più bravi sui contenuti, individuando le strade migliori per sviluppare quelle competenze che sono un ingrediente fondamentale della competitività e dei buoni risultati. Per far bene occorre conoscere, sapere di cosa ci stiamo occupando, essere esperti dei contenuti da affrontare, aver maturato capacità di confronto tra posizioni e visioni differenti.

È altrettanto vero, però, che il lavoro sui contenuti non può essere l’unica area di approfondimento, in quanto le competenze in sé, seppur di livello avanzato, non sono una garanzia assoluta di arricchimento del processo decisionale e di miglioramento dei risultati aziendali. Sempre più, infatti, le aziende devono prestare attenzione: all’efficacia dei processi con cui assumono le decisioni; alla crescita delle persone e alla costruzione del team; allo sviluppo del pensiero strategico in capo alle risorse chiave.

Approfondire i contenuti, migliorare strumenti e processi

Assumere che l’obiettivo ultimo della gestione aziendale sia prendere buone decisioni rende immediatamente evidente che lo sviluppo dei contenuti non possa essere considerato un punto di arrivo. Per avere un impatto concreto sui risultati, è necessario cioè che le competenze diano vita a strumenti manageriali che possano essere impiegati per rafforzare la capacità di analisi e di lettura del business, per individuare tempestivamente eventuali aree di criticità, per indirizzare al meglio gli investimenti e le opportunità di sviluppo.

Allo stesso modo, poi, occorre che tali strumenti siano funzionali a stimolare il comportamento dei singoli, a favorire il confronto interno e, in ultima analisi, a rafforzare il funzionamento dei processi in ciascuna delle specifiche funzioni aziendali.

È fondamentale cioè disporre di conoscenze robuste in materia di analisi commerciale e di pianificazione finanziaria (contenuti), è necessario definire le linee guida e i principi alla base delle previsioni di budget (strumenti), ma è ancora più importante che tutto questo sia utilizzato per definire un processo di budgeting capace di coinvolgere e responsabilizzare i singoli, idoneo a favorire lo sviluppo di una visione comune e a definire obiettivi condivisi, che siano alla base di un piano di attività dettagliato e da monitorare con attenzione (processi).

Far crescere le aziende facendo crescere le persone

Il compito di chi guida l’azienda, o di chi in azienda riveste responsabilità rilevanti, è sicuramente quello di assumere decisioni corrette, di definire un posizionamento vincente, di indicare agli altri la strada. Ma le sfide più grandi, sempre più, si vincono con la qualità del team e del capitale umano. Tanto più di fronte a una complessità da gestire che va oltre le possibilità del singolo individuo. Ecco allora che un compito altrettanto importante è quello di costruire un gruppo, selezionando le persone, sviluppandone le competenze, motivandole adeguatamente e mettendole in condizione di dare il massimo.

Davvero qualcuno può ritenere che la motivazione dei singoli non abbia un impatto sulle performance e sulla qualità del lavoro? E se questo è vero, anche di fronte ai profondi cambiamenti di valori delle nuove generazioni, la gestione delle risorse umane non merita un’attenzione forse maggiore rispetto a quanto normalmente si riscontra nelle aziende?

Ne deriva che guardarsi indietro e scoprire di essere da soli, non avere cioè al proprio fianco risorse di valore con cui condividere le sfide e le responsabilità dello sviluppo, se anche questo fosse un indizio di essere stati più bravi degli altri, è indice di qualcosa che non ha funzionato, di qualche errore commesso nell’esercizio della propria leadership. Detto in altri termini, è opportuno dedicare, con continuità, la necessaria attenzione alla costruzione di un gruppo di valore, che non si limiti alla mera definizione di deleghe e mansioni, ma che sia capace di lavorare insieme, in cui gli individui siano messi in condizione di tirare fuori l’energia, le competenze e le idee funzionali allo sviluppo dell’azienda.

Pazienza, poi, se ogni tanto con le persone si hanno delle sorprese perché non si riesce a trattenerle, perché non rispondono agli stimoli come si vorrebbe, perché mostrano di avere ambizioni diverse dai loro capi. Come nel caso della definizione del disegno strategico, anche nella costruzione del team non è la perfezione assoluta che fa la differenza, ma la costante tensione all’eccellenza che guida i comportamenti quotidiani.

Sviluppare il pensiero strategico

Un ultimo elemento importante nel processo di sviluppo manageriale è rappresentato dalle direzioni verso le quali favorire la crescita dei propri collaboratori.

È innegabile, infatti, che abbiamo bisogno di affidare responsabilità crescenti a chi si dimostri capace e competente nel perimetro del proprio lavoro, bravo e affidabile sui contenuti che gli sono demandati. Ne deriva un’attenzione costante ad avere responsabili commerciali capaci di negoziare, di gestire una rete di vendita, di interpretare le esigenze dei clienti. Così come si cercherà di formare i responsabili amministrativi sulle loro capacità di analizzare i dati di bilancio, di quantificare i costi di prodotto, di adattare i prospetti di analisi alle caratteristiche del modello di business.

È altrettanto evidente, però, che le aziende potrebbero beneficiare dello sviluppo di capacità di pensiero strategico da parte di chi riveste ruoli di responsabilità. In altre parole, in un contesto in cui la qualità della strategia si rivela un elemento decisivo e per essere tale deve abbracciare una grande varietà di contenuti, pensare a un modello organizzativo in cui il CEO sia l’unico interprete delle decisioni strategiche potrebbe risultare un freno allo sviluppo. Per contro, stimolare la diffusione della capacità di pensiero strategico, oltre ad aiutare nella costruzione di percorsi di crescita che sarebbero opportunamente sostenuti da più responsabili, potrebbe arricchire il confronto e ampliare le opportunità di sviluppo.

Certo, il rafforzamento della capacità di pensiero strategico, inteso come un atteggiamento con cui approcciare le scelte da assumere all’interno del proprio ruolo e delle proprie responsabilità, che guarda sempre a un obiettivo di azienda e di medio periodo, è una competenza non banale e da costruire con grande attenzione. Occorre arricchire il set di modelli e strumenti che ciascuno possiede per leggere e razionalizzare i fenomeni che si osservano in azienda e nell’ambiente esterno. Al contempo, occorre stimolare la capacità di visione e di interpretazione degli scenari futuri, in modo da sviluppare sintesi efficaci che rappresentano l’essenza del disegno strategico e della successiva e fondamentale fase di realizzazione.

Per quanto questo processo non sia né immediato né facile da realizzare, è un percorso affascinante da esplorare. In primo luogo, perché la crescita dei singoli può contribuire in maniera significativa allo sviluppo della capacità di pensiero strategico dell’azienda nel suo complesso. In secondo luogo, perché lo sviluppo di questa ulteriore competenza, unita a tutto quanto descritto e auspicato in precedenza, può contribuire a far diventare le aziende organizzazioni dinamicamente capaci di apprendere quanto, di volta in volta, si dimostri necessario per raggiungere e dare continuità al successo.

 

In sintesi

  • Nel corso del tempo, guidare le imprese al successo è diventato decisamente più complesso e, di conseguenza, imprenditori e manager sono chiamati ad arricchire il modo in cui governano le imprese. La qualità del prodotto, per lungo tempo pilastro del successo e dell’affermazione a livello internazionale del Made in Italy, in molti casi non è più sufficiente se non si accompagna a robuste competenze nelle altre funzioni aziendali e a un approccio flessibile, necessario per reagire prontamente a scenari imprevisti.
  • Ampliare, approfondire e rinnovare costantemente il portafoglio di competenze sono attività imprescindibili per sostenere la propria competitività, anche se spesso confliggenti con l’esiguità delle risorse che le PMI possono dedicare allo sviluppo. Un aspetto che deve spingere le imprese a esplorare nuovi modelli organizzativi, che facciano della collaborazione e del coinvolgimento di partner esterni un potente e flessibile motore di sviluppo di competenze.
  • Le competenze non sono tuttavia una garanzia assoluta di successo: l’attenzione alle competenze dev’essere sostenuta dalla consapevolezza che l’azienda non potrà crescere se, al suo interno, non cresceranno le persone. Ecco allora che uno dei compiti più importanti del management è costruire un gruppo di valore, in cui la motivazione degli individui, le loro competenze funzionali e al contempo la loro capacità di contribuire alle decisioni strategiche dell’azienda devono essere elementi decisivi e caratterizzanti.

 

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