E&M

2022/4

Alessia Bezzecchi

Il circolo virtuoso della sostenibilità

La sostenibilità nel real estate è un tema dibattuto, ma si è ancora poco precisi sugli scenari di applicazione dei criteri ESG e sulle relative metriche di misurazione del valore. Minimo comun denominatore di tutti gli stakeholder è la convinzione che la sostenibilità debba far parte del DNA di ogni progetto di rigenerazione urbana, perché solo rispettando e integrando le dimensioni ambientali e sociali nella propria strategia di impresa, si può creare ricchezza e benessere per le imprese e le persone che lavorando e vivono nei rigenerati distretti esperienziali.

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Minimo comun denominatore di tutti gli stakeholder del settore del real estate è la convinzione che la sostenibilità debba far parte del DNA di ogni progetto di rigenerazione urbana. Solo integrando e rispettando le dimensioni ambientale e sociale nella propria strategia di impresa si possono infatti creare ricchezza e benessere per le imprese e le persone. Anche se la sostenibilità richiede maggiori investimenti e crea più spese operative a breve termine, la struttura dei costi del progetto consente margini invariati o addirittura più elevati nel lungo termine e a maggiore valore per tutti gli stakeholder.

 

Perché la letteratura accademica non è ancora arrivata a una posizione definitiva in merito all’impatto della sostenibilità sul valore economico creato dalle aziende nei vari settori? Probabilmente a causa della grande eterogeneità, concettuale e di misurazione, di approccio alla sostenibilità stessa. Possiamo ipotizzare che la sostenibilità si possa perseguire migliorando i criteri ESG: aziende e istituzioni meglio gestite tramite un’ottima governance riducono i problemi di agenzia e aumentano la trasparenza (anche se possono rendere la vita molto difficile ai manager che devono esplicitare quali obiettivi sono perseguiti da varie azioni), e tenere conto degli impatti ambientali e sociali dovrebbe ridurre le esternalità negative ed enfatizzare quelle positive. Ma a livello concettuale e definitorio viviamo ancora in quella che la letteratura economica ha definito «aggregate confusion». A livello internazionale abbiamo i 17 Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite, la Banca Mondiale propone gli 8 Millennium Development Goal, l’Europa si muove con il progetto della Finanza verde e propone tassonomie ambientali e sociali. Non molto migliore è la situazione aziendale: la correlazione tra rating forniti da varie agenzie private alle corporate e financial institution è generalmente del 60 per cento, in questo caso soprattutto a causa delle diverse modalità di misurazione.

Quale framework per la rigenerazione urbana?

Il Sustainable Responsible Investing (SRI) integra nella missione aziendale e di progetto i criteri ESG in una visione di lungo periodo. Il piano economico-finanziario deve essere inserito con i parametri di sostenibilità delle dimensioni sociali e ambientali. Per riflettere sulle implicazioni per il real estate in generale e per la rigenerazione urbana in particolare possiamo guardare ai fondamentali di qualsiasi progetto di investimento, vale a dire i flussi di cassa attesi in un determinato orizzonte temporale, scontati ad appropriati tassi che tengano conto del «prezzo» del tempo e del «prezzo» del rischio. Seppur considerati in uno schema concettuale di riferimento semplice come quello dello sconto dei flussi, i progetti di rigenerazione urbana possono essere considerati l’Everest del real estate. Il periodo di tempo necessario tra il concepimento dell’idea, la sua realizzazione e la vendita finale si misura a volte sui decenni, non sugli anni. Pensiamo ai progetti concepiti negli anni Novanta, realizzati dieci anni dopo e che a distanza di qualche anno hanno dovuto affrontare in rapida successione la più grave crisi finanziaria della storia nel 2007, la più grave crisi del debito sovrano nel 2010-2012, la più grave pandemia dei tempi moderni nel 2020 e una guerra che in Europa non si vedeva da settantasette anni. Che cosa dovranno affrontare i progetti di rigenerazione urbana attualmente in gestazione nei prossimi quarant’anni? Potremmo dilungarci su un elenco di possibili incidenti di percorso ma non sarebbe utile per discutere il framework di sostenibilità. Conviene più concretamente notare quali sono i driver che determinano il valore di un progetto di rigenerazione urbana e come questi incorporino le dimensioni ESG.

I flussi di cassa

Esistono vari elementi relativi all’impatto della sostenibilità sui flussi di cassa. La creazione di valore nei progetti di rigenerazione urbana avviene solo se si verificano sinergie nell’integrazione delle diverse funzioni, delineando dei distretti esperienziali per le persone che lavorano e abitano i nuovi luoghi e dove il real estate non è solo visto come «bene merce» di per sé ma anche come parte di un ecosistema in cui «vivere delle esperienze» (di acquisto, di lavoro, di svago ecc.) e in cui famiglie e imprese possano beneficiare di servizi. Gli spazi privati a uso pubblico devono garantire il benessere della collettività, che si traduce in valore intangibile. Come si declinano nei progetti di rigenerazione urbana le leve per costruire flussi di cassa sostenibili? Il benessere della collettività nella missione del progetto, e quindi la costruzione della proposizione di valore alla base delle necessità delle comunità locali, costituiscono le leve della crescita dei progetti di (nuova) rigenerazione urbana. La crescita della prima riga del conto economico (i ricavi) sarà funzionale:

  1. alla capacità del prodotto offerto di rispondere al soddisfacimento di nuove esigenze rivolgendosi a un mercato di sostituzione e incrementando la quota di mercato (per esempio, nuovo concept della casa di abitazione dotata di servizi per la famiglia: dall’area co-working alla palestra, dall’asilo nido all’area giochi ecc.);
  2. a una nuova domanda derivata dalla crescita demografica organica e/o dall’attrattività del progetto tramite delle «ancore» (per esempio lo Human Technopole di Milano, l’istituto di ricerca per le scienze della vita che promuove l’innovazione nel settore sanitario per il progetto MIND), che generano nuove esigenze abitative e lavorative.

La seconda direttrice per la sostenibilità dei flussi di cassa è la profittabilità misurata dal risultato operativo al netto delle imposte in relazione ai ricavi. Nell’era del real estate as a service la redditività deriva dalla capacità del player di efficientare la gestione tramite economie di esperienza (da cui deriva la necessità di avere operatori professionali in grado di gestire la complessità gestionale di interi quartieri) e di scala (per esempio, per rendere accessibili i servizi dell’abitare e dell’abitazione), industrializzando la fornitura di servizi alle persone e alle famiglie grazie anche al fattore abilitante della tecnologia. La terza direttrice per la sostenibilità di lungo periodo è il Sustainable Return of Investment-SROI, ovvero la capacità dell’investimento di essere efficiente in termini euro incrementale generato per euro di capitale investito, considerando nei flussi di cassa attesi il valore economico anche delle dimensioni sociale e ambientale per tutti gli stakeholder. Gli investimenti necessari per supportare la continuità economica e la crescita dei luoghi del benessere sono da considerarsi in modo ampio: non solo quelli di manutenzione ma anche i Capital Expenditure-CapEX in nuove infrastrutture atti a garantire la redditività dell’asset nel lungo tempo e oltre il periodo di piano. I reinvestimenti da sostenere nel ciclo vita del progetto sono derivati da una precisa strategia di asset management che deve avere un approccio olistico e proattivo, tramite una gestione coordinata delle aree urbane (per esempio, la gestione dei supercondomini) che devono avere la flessibilità di adattare gli asset in funzione delle dinamiche della domanda.

I tassi di sconto e la leva del rischio

Come già notato precedentemente, nei progetti di rigenerazione urbana l’orizzonte temporale è in molti casi molto lungo. Tenendo conto della fase di urbanizzazione, di cantierizzazione e infine di gestione, analogamente alle aziende degli altri settori, è possibile elencare due tipologie di rischio che identificano quello complessivo di progetto:

  1. il rischio gestionale in ipotesi di continuità aziendale (quando l’asset è a regime);
  1. il rischio operativo associato alle fasi di discontinuità: start-up e declino.

I rischi operativi e finanziari della fase di gestione (in ottica di continuità aziendale), misurano l’incertezza sui ricavi e sul reddito operativo in futuro, riflesso nel costo del capitale: un costo del capitale atteso maggiore a parità di flussi porterà a una diminuzione del valore del progetto. Il progetto potrebbe anche non garantire la continuità aziendale e la probabilità che questo accada è particolarmente elevata in due fasi cruciali e difficili: quella iniziale di start-up e quella finale che conduce alla vendita degli asset o comunque alla fine del ciclo vita dell’investimento. Cogliamo questo maggior pericolo come rischio di fallimento, che risulta maggiore nelle fasi di discontinuità e che porta a un valore inferiore. Difficile infatti sapere le potenziali necessità della domanda tra qualche decennio (le necessità dell’acquirente finale), specie in un quadro dinamico quale quello delineato precedentemente, ma è necessario sapere come gestire l’immediata fase di start-up. Questa fase è cruciale per concepire e realizzare progetti flessibili, in grado cioè di recepire le nuove e mutevoli esigenze degli utilizzatori finali durante la fase di gestione, e per porsi già da subito il problema del valore del bene al termine del periodo di piano (il valore finale) in termini economici ma anche di impatto sociale e ambientale. Da una decina di anni la ricerca accademica ha cercato di comprendere se i progetti/le aziende sostenibili potessero godere di tassi di sconto più bassi. La risposta media di molti paper sull’argomento mostra infatti che un impatto c’è: i campioni della sostenibilità godono di tassi minori, sia dal punto di vista dei prestiti fatti dal sistema bancario sia dal punto di vista del rendimento atteso dagli shareholder. Perché i tassi dovrebbero essere minori? Due, in tal senso, sono i driver fondamentali. Nella misura in cui le dimensioni ESG forniscono un contributo alla creazione di valore economico, è evidente che chi conferisce capitale percepisca minori elementi di rischio quando il debitore adotta una visione ampia di gestione che comprende la sostenibilità. Il secondo driver è la missione sociale di chi presta il capitale: le istituzioni che sono disponibili a sacrificare il bene individuale per il bene collettivo rivolgono la loro attenzione a un sottoinsieme di aziende buone, che quindi godono di un afflusso più elevato dal punto di vista dei finanziamenti e beneficiano di un costo minore. La misura di riduzione dello 0,5 per cento spesso riscontrata dai paper (a parte il caso dei green bond dove non sembra esserci differenza) non deve a nostro avviso essere sovrastimata sia a causa degli inevitabili errori di misurazione statistica sia a causa della dinamicità del fenomeno. Più interessante è guardare agli strumenti con cui per esempio i contratti di finanziamento (conferenti di capitale di debito) condizionano la riduzione del costo del debito al raggiungimento di specifici obiettivi misurabili sia nella dimensione ambientale (per esempio i green loan) sia nella dimensione sociale (per esempio i sustainability bond).

Il circolo virtuoso della sostenibilità

Crescita, rischio, efficienza degli investimenti, profittabilità sono driver che determinano se il valore dei progetti è sostenibile. Cornell e Damodaran utilizzano questo quadro per analizzare tre scenari futuri e per comprendere gli impatti della sostenibilità. Nei primi due scenari (positivi) le aziende green battono quelle brown o perché la comunità economica premia la maggior capacità di creare valore economico da parte delle prime (scenario virtuoso) o perché vuole punire (per esempio non comprandone i beni e servizi) le seconde (scenario punitivo). Il terzo scenario (distopico) prevede una vittoria delle aziende brown. Per quanto alcuni fenomeni del mondo recente (per esempio il ritorno al carbone causato dall’assenza del gas) siano compatibili con questo scenario, pensiamo che si tratti di una possibilità residuale nel lungo periodo anche grazie a regolatori e policy maker.

Il modello più ambito e auspicato è il circolo virtuoso. Creare una proposizione di valore sostenibile e gestire il progetto con la misurazione degli impatti in termini economici e ESG porta vantaggi in ogni dimensione. I clienti, attratti dalla missione sociale e dai maggiori servizi a parità di costo, premiano i progetti virtuosi permettendo di guadagnare quote di mercato e di aumentare i ricavi a fronte di un servizio/ bene accessibile. Anche se la sostenibilità richiede maggiori investimenti e crea più spese operative a breve termine, la struttura dei costi del progetto si adatta alle nuove norme consentendo margini invariati o addirittura più elevati nel lungo termine e a maggiore valore per tutti gli stakeholder. Autorevoli player e stakeholder di rigenerazione urbana quali developer, banche e advisor strategici identificano il circolo virtuoso della sostenibilità come un must have per ottenere progetti profittevoli e non solo: si tratta anzi di un ulteriore valore da comunicare e potenzialmente aggiungere a quello immobiliare derivato da location e caratteristiche fisiche dell’asset.