E&M

2022/4

Giacomo Morri Paolo Benedetto

Le grandi trasformazioni del settore commerciale

In Italia, uffici, hotel, retail e logistica assorbono la maggioranza degli investimenti nel commercial real estate e stanno oggi affrontando importanti sfide. Gli uffici, trasformati dalle nuove metodologie di lavoro ibrido, hanno visto un’evoluzione nell’offerta del prodotto e nei servizi associati; gli hotel, le strutture più impattate dalla pandemia, rappresentano tuttavia le struttere a maggior potenziale, in un Paese a fortissima vocazione turistica come il nostro; il retail, già in declino nell’epoca pre-Covid-19, potrebbe ritornare presto sull’agenda degli investitori; la logistica è la vera rising star , con volumi di investimento che nel 2021 hanno per la prima volta superato anche quelli degli uffici.

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In Italia, uffici, hotel, retail e logistica assorbono la maggioranza degli investimenti nel commercial real estate e stanno oggi affrontando importanti sfide. Gli uffici, trasformati dalle nuove metodologie di lavoro ibrido, hanno visto un’evoluzione nell’offerta del prodotto e nei servizi associati; gli hotel, le strutture più impattate dalla pandemia, rappresentano tuttavia le struttere a maggior potenziale, in un Paese a fortissima vocazione turistica come il nostro; il retail, già in declino nell’epoca pre-Covid-19, potrebbe ritornare presto sull’agenda degli investitori; la logistica è la vera rising star, con volumi di investimento che nel 2021 hanno per la prima volta superato anche quelli degli uffici.

 

Uffici, hotel, logistica, retail. Evoluzioni nella domanda e nell’offerta di spazi, tecnologia, ESG. Inflazione, incremento dei costi delle materie prime, pandemia, climate change. Ecco le principali asset class nell’ambito del commercial real estate, i principali trend in atto e le principali variabili macro-economiche che stanno avendo un impatto significativo sulle nostre vite e sugli spazi che quotidianamente utilizziamo per lavorare, viaggiare e fare shopping (in modo fisico o online). Per chi non è grande abbastanza da avere un ricordo concreto degli anni Settanta e Ottanta, forse è lecito poter affermare che mai prima d’ora un insieme di eventi di portata globale, unito a una diversa sensibilità degli investitori e degli utilizzatori, impattasse in modo così significativo e repentino su un’industria come quella immobiliare, tipicamente caratterizzata da un’evoluzione lenta e graduale. Oggi è tuttavia innegabile come gli ultimi eventi abbiano impresso un’accelerazione improvvisa a fenomeni che erano già in atto, ma che difficilmente ci saremmo attesi così rapidi e disruptive sul prodotto immobiliare e sulle sue modalità di utilizzo. Come trovare il bandolo della matassa in questo apparentemente caotico muoversi? La risposta è sempre la stessa: back to basics, ovvero si guardi ai fondamentali.

Back to basics

Innanzitutto, diversamente dal comparto residenziale, gli immobili commerciali rappresentano spesso un asset per investimento, in particolare quando di rilevante dimensione e valore. Il valore dipende quindi dai rendimenti richiesti nel mercato, difficili da prevedere, e dai redditi che possono generare grazie agli utilizzatori, e quindi dalle modalità e preferenze di utilizzo.

Non diversamente da una qualunque azienda, infatti, i redditi dell’immobile dipendono dalla vendita del servizio che produce – l’uso dello spazio – la cui appetibilità, e quindi il prezzo (ovvero il canone di locazione), varia nel tempo in funzione dell’offerta e della domanda.

Essendo l’offerta di spazio relativamente rigida, almeno nel breve periodo, diventa rilevante focalizzarsi sui trend che determinano la domanda di spazio. L’attività di sviluppo immobiliare determinerà invece l’offerta futura, ma anch’essa è legata ai valori correnti e alle prospettive future, nonché ai costi di realizzazione, sia diretti, legati alla costruzione, sia al costo del capitale.

Sebbene i contratti di locazione, pur con possibilità di deroghe[1], siano piuttosto lunghi, è sempre più rilevante la loro relazione con la domanda effettiva. Infatti, canoni contrattuali eccessivi rispetto a quelli di mercato portano a un maggior rischio di contenzioso tra le parti, incrementando di conseguenza il rischio dell’investimento, ma soprattutto devono poter essere sostenibili per gli utilizzatori.

I lockdown imposti dalla recente pandemia hanno infatti dimostrato quanto sia debole l’accordo contrattuale a fronte di una difficoltà, seppur oggettiva, del locatario, ed è tornata centrale una corretta valutazione del rischio legato al business svolto nell’immobile, oltre che della controparte. Ma, anche in situazioni ordinarie, un canone eccessivo rispetto al valore di mercato diventa elemento di tensione e di rischio. Pertanto, la comprensione delle dinamiche nell’utilizzo degli immobili, di come cambino le esigenze dei clienti (i conduttori) e dei loro clienti (gli utilizzatori finali, quali i dipendenti dell’azienda o i clienti dei negozi), diventa centrale.

La crescita economica è certamente un fattore determinante nella domanda di spazio, ma i cambiamenti nelle modalità di utilizzo possono portare a risultati con segno anche diverso. Infatti, a fronte di una espansione economica che porti a una maggiore produzione da parte delle imprese, è normale aspettarsi un aumento anche nell’utilizzo del fattore produttivo immobiliare, lo spazio dove vengono svolte le attività, ma i cambiamenti tecnologici e sociali, possono tuttavia portare a consumarlo in maniera e quantità diverse.

Un nuovo utilizzo dello spazio

Si pensi agli effetti della diffusione del remote working, che ha portato sia all’utilizzo dell’abitazione quale luogo di lavoro, sia a una ricerca di maggior flessibilità per le imprese, con il ricorso a soluzioni alternative alla classica locazione di lungo periodo. Ancora, i cambiamenti tecnologici hanno reso possibile uno sviluppo vortiginoso dell’e-commerce, l’evoluzione in chiave moderna della vendita per corrispondenza, ma rendendo l’esperienza di acquisto notevolmente più appagante e la consegna efficiente in termini di tempi e costi. Altri esempi si potrebbero fare; ma quanto è rilevante è che ci sono cambiamenti che portano a utilizzare lo spazio in maniera diversa e, soprattutto, con degli spillover tra un comparto e l’altro, dagli uffici al residenziale, dal retail tradizionale alla logistica.

Ed ecco che un po’ tutti gli immobili commerciali diventano sempre più trade related property, ovvero immobili-attività in cui l’attività di produzione svolta dall’utilizzatore dell’immobile coincide con l’offerta del prodotto/servizio, come nel caso degli alberghi o dei locali destinati al commercio. In questi casi, l’attività stessa dell’impresa utilizzatrice dello spazio dipende dalle caratteristiche dello spazio stesso, sia in termini di localizzazione (suolo) sia in termini di consistenza fisica (edificio). Si pensi al caso di un hotel di lusso, la cui ubicazione centrale e l’elevata qualità dell’edificio contribuiscono al prezzo di vendita della camera e quindi al risultato economico del gestore alberghiero, utilizzatore dell’immobile. In questa specifica tipologia di beni, il margine operativo generato dall’attività in essi svolta deve essere sufficiente a pagare il prezzo per l’uso dello spazio, cioè il canone di locazione o l’affitto di ramo d’azienda. Diventa quindi centrale comprendere come cambiano le modalità di uso dello spazio e quanto queste consentano di sostenere un canone di locazione, al di là dei valori contrattuali.

Entrando nel merito delle singole tipologie immobiliari, le quattro menzionate in apertura – ovvero uffici, hotel, retail e logistica – rappresentano la grande maggioranza degli investimenti nel commercial real estate in Italia (essendo gli investimenti alternativi e il residenziale ancora marginali, sebbene in crescita costante negli ultimi anni). Le diverse tipologie sono caratterizzate ciascuna da alcune peculiarità così come da alcune dinamiche comuni.

Uffici, hotel, retail e logistica

Per quanto riguarda gli uffici, la presunta crisi del modello tradizionale a fronte dell’emergere di una nuova offerta (quale quella del co-working), si è andata a sommare al diffondersi di metodologie di lavoro ibrido (remote working), che hanno portato a un’evoluzione – più che a una rivoluzione – nell’offerta del prodotto e nei servizi allo stesso associati.

Gli hotel sono sicuramente gli immobili che hanno subito maggiormente l’impatto della pandemia, eppure rappresentano la tipologia con un maggior potenziale, in un Paese a fortissima vocazione turistica in cui tuttavia l’offerta di strutture di qualità e riconducibili a catene alberghiere rappresentano ancora una minoranza a dispetto invece di una frammentazione della proprietà.

Il retail, anch’esso fortemente colpito dalla pandemia, è in realtà un settore che stava già conoscendo un periodo di appannamento nell’epoca pre-Covid-19: caratterizzato tuttavia da prodotti tra loro molto diversi (dall’high street ai centri commerciali, fino agli outlet), colpiti in modo differente dalla crescita dell’e-commerce, potrebbe ritornare presto sull’agenda degli investitori.

La logistica, infine, rappresenta oggi la vera rising star del commercial real estate, quella che ha saputo sfruttare meglio le dinamiche post-Covid-19, con volumi di investimento che nel 2021 hanno per la prima volta superato anche quelli degli uffici, ma che sicuramente si sta trovando anche ad affrontare alcune criticità impreviste, come la significativa crescita dei costi delle materie prime e, conseguentemente, dei costi di sviluppo e le incertezze nella sostenibilità del corrente modello di supply chain con una delocalizzazione estrema.

Le sfide comuni

Tutte le quattro tipologie sono tuttavia caratterizzate da una serie di sfide comuni. Innanzitutto, il diffondersi di quella che potremmo definire «una cultura ESG compliant», con la necessità di sviluppare un nuovo prodotto immobiliare, ovvero di riqualificare quello esistente secondo criteri che siano in grado di contrastare in modo efficace ed efficiente la grande sfida del climate change. In questo senso, la maggior sensibilità dei diversi stakeholder – dagli investitori ai conduttori, dalle pubbliche amministrazioni agli utilizzatori a vario titolo degli immobili – al di là di alcuni noti fenomeni di greenwashing, contribuirà sicuramente a dare un’accelerata significativa. In secondo luogo, l’incessabile evoluzione della tecnologia, che sta portando gli immobili a essere sempre più interconnessi, a partire dalla fase di sviluppo sino a quella di gestione, e in cui pertanto la componente software sta rapidamente crescendo rispetto a quella hardware. Infine, alcune sfide recentissime, come il picco dell’inflazione, l’incremento dei costi energetici e delle materie prime, che a vario titolo porteranno investitori e conduttori a dover nuovamente ripensare allo sviluppo e all’uso degli spazi.

Le esigenze degli utilizzatori e dei consumatori portano a una evoluzione dei prodotti e dei servizi; lo stesso avviene per gli immobili, dove nel tempo cambiano le esigenze di chi li utilizza: la vera difficoltà sta nel prevedere i trend, dal momento che rispetto ad altri servizi come i beni di consumo, la produzione di spazio necessità di lunghi tempi, e il loro adattamento è particolarmente oneroso.

Ancora una volta, la citazione di darwiniana evocazione «Non è la specie più forte o la più intelligente a sopravvivere, ma quella che si adatta meglio al cambiamento»[2], ben si può applicare a questo momento storico per il commercial real estate, con la necessità di confrontarsi verso nuove sfide e, contestualmente, l’emergere di nuove opportunità che, come sempre, premieranno chi sarà in grado di leggerle in anticipo.

1

Nel decreto legge n. 133/2014 «Decreto Sblocca Cantieri» (convertito in legge n. 164/2014) si introduce la cosiddetta norma sulle «grandi locazioni»: «In deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore ad euro 250.000, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge».

2

Frase che in realtà non fu mai pronunciata né scritta da Charles Darwin, bensì è una citazione («It is not the strongest of the species that survives, nor the most intelligent, but the one most responsive to change») riconducibile al professore di management Leon C. Megginson che, nel 1963, la utilizzò per descrivere la sua interpretazione del pensiero darwiniano.