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2011/4
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Standardizzare l’innovazione. La storia di Bay Barb
I sistemi di IS Performance. Direzione aziendale e Funzione SI a confronto
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La grande rivalsa
Scarica articolo in PDFFino all’ultimo minuto il capitano Angelo Palombo ha continuato a correre e a incitare i compagni. Ma al fischio finale, quando la sua Sampdoria era oramai retrocessa in serie B, ha appoggiato un braccio a terra e ha cominciato a piangere. I tifosi hanno risposto cantando. E subito accade quello che non ti aspetti. Palombo si rialza, continua a piangere e si dirige verso la sua curva Sud a capo chino e a mani giunte chiedendo scusa. Resterà nella storia del calcio questa interpretazione epica di un evento doloroso. Mio figlio commentava: “Palombo è un vero capitano perché è stato l’unico, in quel momento, a metterci la faccia. Non è uno spettacolo frequente, anche nello sport. Quando la Ferrari perde, Montezemolo evapora. Palombo resterà nella storia”. Sotto il titolo: non esistono epopee senza sconfitte.
E dire che la stagione era cominciata benissimo, con un agosto vivace: per una sola rete la Sampdoria non si era qualificata per la Champions ma avrebbe partecipato alla Coppa UEFA. Invece, la cabala ha colpito ancora: le retrocessioni della Sampdoria avvengono sempre in anni con il numero finale gemello: 1966, 1977, 1999. Siamo nel 2011. La mancata qualificazione alla Champions è stata seguita da due gravi errori. A ottobre, un giocatore difficile ma di buona classe, Cassano, viene accantonato senza pietà per un’offesa e messo in quarantena. Per due mesi non ha potuto neppure allenarsi. Passerà al Milan a parametro zero. A gennaio anche l’altro attaccante, Pazzini, passa all’Inter. La squadra, decapitata nelle sue punte, si smarrisce e si avvia verso il baratro in modo fatalista, senza concentrazione. Grazie a una presidenza che, più che disastrosa, è stata suicida.
Retrocedere in una città qualsiasi, come a Bari e a Brescia, genera un malessere presto riassorbito. Ma retrocedere nelle città connotate da un derby stracittadino è un dramma al quadrato. Qualcuno subisce una sconfitta mentre l’altra parte della città esulta alle tue spalle. Ma a Genova covava dell’altro. Sentiamo la campana dei loro tifosi. Il loro astio contro la Sampdoria dura da trent’anni. Sino a trent’anni fa i sostenitori doriani erano pochissimi: a Genova la seconda squadra per numero di tifosi era la Juventus. La Sampdoria aveva uno zoccolo duro ma niente di importante. Negli anni ottanta si apre il ciclo d’oro della Sampdoria, con gente come Vialli e Mancini. Vincono uno scudetto (l’ultimo del Genoa risale al 1924), quattro Coppe Italia (l’unica del Genoa è del 1937), una coppa UEFA, una Supercoppa italiana. Nello stesso periodo il Genoa gioca undici campionati in B e uno addirittura in C. Questo Genoa, dal blasone antico e nobile, con i suoi nove scudetti in bacheca, da trent’anni – una generazione – ha sempre visto la Sampdoria precederlo in classifica, con la loro boria di neoricchi, con i loro sorrisetti di superiorità irridente e con infiniti funerali di scherno. Nel maggio 2011 era un’intera generazione genoana che aspettava finalmente lo scempio della Sampdoria, e beffarla nel derby, con una rete all’ultimo secondo, alla faccia di chi supplicava solidarietà. Da trent’anni i genoani, senza pietà, aspettavano la grande rivalsa.