Il “pendolo” della sostenibilità: gli stakeholder tracciano la rotta
Nel 2025 l’idea di sostenibilità ha incassato diversi colpi, nessuno però è stato un vero ko. La regolamentazione ha registrato un rallentamento negli Stati Uniti e in Europa, e la pressione politica suggerirebbe alle imprese di pensare ad altro. Ma il trend non si è fermato e la spinta degli stakeholder si configura ancora come una forte leva extra-normativa. Clienti, lavoratori, comunità locali e media continuano ad aspettarsi impegni concreti e verificabili su clima, diritti umani e governance responsabile. Gli investitori istituzionali, specie extra-USA, continuano a includere criteri ESG nei mandati fiduciari. Il risultato è una frattura tra la dimensione normativa – sempre più soggetta a cicli politici – e quella sociale ed economica, che evolve in modo strutturale e irreversibile. La sostenibilità, oggi, non è in discussione. È la sua comprensione a essere ancora parziale.
Il quadro normativo: una parabola di espansione e assestamento
Negli ultimi cinque anni (2019-2024, che potremmo chiamare “l’età dell’espansione”), l’Unione Europea ha giocato un ruolo da protagonista nel definire il perimetro della sostenibilità aziendale. L’Unione Europea (UE) ha adottato la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD) per il bilancio di sostenibilità con i principi contabili European Sustainability Reporting Standards (ESRS), ponendo obblighi di rendicontazione per circa 50.000 aziende, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive per la due diligence della supply chain delle grandi imprese ed altri 86 pacchetti legislativi (tra direttive e regolamenti). Parallelamente, gli standard dell’International Sustainability Standards Board (IFRS S1 e S2) hanno fornito un quadro coerente per la rendicontazione basata sulla materialità finanziaria. Nello stesso periodo negli USA, la SEC ha proposto requisiti di disclosure climatica per le società quotate, e lo stesso hanno fatto Regno Unito, India e, soprattutto, Cina. Molti paesi e mercati finanziari hanno introdotto obiettivi vincolanti, basati sulle linee guida della Task Force on Climate Related Financial Disclosures, e framework volontari che hanno anticipato o integrato gli obblighi normativi. I maggiori asset manager mondiali (BlackRock, State Street, Vanguard) hanno integrato criteri ESG nei processi d’investimento, con i firmatari dei Principles for Responsible Investment (PRI) che gestiscono oltre 128.000 miliardi di dollari.
Una battuta d’arresto?
Il 2025 ha segnato l’inizio di una fase di ripensamento e rallentamento normativo (che potremmo definire “l’età del rallentamento”). Negli Stati Uniti, l’insediamento della nuova amministrazione Trump ha portato a rivedere la disclosure SEC sul climate disclosure. Il Presidente ad interim della SEC Mark Uyeda, infatti, ha definito la regola "costosa e inutilmente invasiva" (Uyeda è stato nominato Presidente ad interim dopo le dimissioni del precedente Presidente Gary Gensler a gennaio 2025, in seguito all'elezione di Trump). Importanti banche (JPMorgan, Citi, BofA, Morgan Stanley, Wells Fargo, Goldman Sachs) sono uscite dalla Net-Zero Banking Alliance; BlackRock ed altri hanno lasciato la Net Zero Asset Managers Initiative. Il numero dei fondi ESG che hanno sottoscritto i PRI per la prima volta è calato, anche se gli asset under management complessivi a livello globale sono aumentati. Molte grandi aziende USA hanno abbandonato gli obiettivi DEI (Diversity, Equity & Inclusion) sotto l’attuale pressione politica. Anche l’UE ha parzialmente rivisto il proprio impianto normativo. La direttiva Omnibus del 26 febbraio 2025 di fatto porterà a rivedere in termini meno restrittivi di quelli attuali la due diligence ambientale e sui diritti umani (CSDDD) e invece innalzerà la soglia di obbligatorietà del reporting (CSRD) alle imprese con più di 1.000 dipendenti, riducendo drasticamente la platea dei soggetti obbligati, con significative esenzioni dagli obblighi e semplificazioni degli ESRS.
Leadership oltre le regole
Il rischio di interpretare la fase attuale come una ritirata della sostenibilità è elevato, ma sarebbe un errore. Oggi la spinta più significativa non arriva dalla regolazione, bensì dai mercati e dalla società civile. Consumatori, lavoratori, comunità territoriali, media e investitori istituzionali – soprattutto in Europa e in Asia – continuano a esigere impegni concreti, misurabili e trasparenti.
Le adesioni alla Science Based Targets Initiative – considerata la migliore proxy per individuare le imprese realmente impegnate in un percorso serio di decarbonizzazione – sono aumentate di oltre 1.000 unità in dodici mesi: al 15 maggio 2025 si contano 10.572 società aderenti.
L’espansione della finanza ESG, che oggi conta oltre 128 trilioni di dollari in asset gestiti da firmatari dei PRI (Principles for Responsible Investment), rappresenta una conferma empirica della direzione di marcia. A livello globale, la maggior parte degli investitori istituzionali sta già integrando o valutando l’integrazione dei fattori ESG nelle proprie strategie di investimento. Si stima che, nei prossimi anni, gli asset ESG attivi supereranno il 70% del mercato, una soglia che in alcune operazioni di collocamento si registra già oggi.
Dal 2021 al 31 gennaio 2025, i titoli di debito sostenibili nell’area euro sono cresciuti costantemente, in alcuni casi con rendimenti anche inferiori rispetto ai tassi di riferimento, a conferma della solidità e dell’appetibilità del segmento (è disponibile un grafico a supporto).
Due recenti operazioni ne sono esempio. Il 2 aprile 2025, la Cina ha emesso il suo primo green bond sovrano globale per un valore di 6 miliardi di yuan, interamente quotato alla Borsa di Londra, ricevendo richieste per 47 miliardi. Il 15 aprile 2025, l’Arabia Saudita ha collocato il suo primo green bond in euro, raccogliendo 1,5 miliardi per finanziare progetti ambientali. L’emissione, guidata da J.P. Morgan, ha attirato ordini per oltre 7,2 miliardi, confermando il crescente interesse del mercato europeo verso strumenti sostenibili.
Anche sul fronte tematico la finanza ESG evolve: BlackRock ha rafforzato il proprio impegno sulla decarbonizzazione, mentre Goldman Sachs ha scelto la biodiversità come asse strategico, emettendo – il 15 marzo 2025 – un bond dedicato alla tutela della biodiversità.
La regolamentazione accelera in Cina e India
Da Cina e India arrivano indicazioni sempre più chiare di un cambio di passo sistemico sul fronte ESG, sia sul piano normativo che industriale.
In India è in vigore un obbligo di rendicontazione su tematiche ambientali, sociali e di governance (ESG) per le principali società quotate. Negli ultimi anni, il Paese ha gradualmente rafforzato i requisiti di disclosure sulla sostenibilità. Nel 2021, la SEBI (Securities and Exchange Board of India) ha introdotto il framework BRSR (Business Responsibility and Sustainability Reporting), divenuto obbligatorio dal 2023 per le maggiori società quotate. Oltre alla rendicontazione, è previsto l’obbligo per queste imprese di destinare una quota del fatturato ad attività sostenibili, mentre i fondi pensione devono integrare criteri ESG nei processi decisionali di investimento.
In Cina, a febbraio 2024, sotto il coordinamento della Commissione di Regolamentazione dei Titoli (CSRC), le tre principali borse del Paese hanno pubblicato linee guida per la rendicontazione ESG, imponendo alle società quotate l’obbligo di pubblicare i propri dati entro il 2026. La CSRC incoraggia anche le aziende non quotate, incluse le PMI, a redigere rapporti ESG su base volontaria, con un orizzonte di adozione esteso al 2030.
Nel frattempo, la Cina conferma la propria leadership nei green bond e ha lanciato un ambizioso piano per l’industria verde, sostenuto dal boom dell’auto elettrica (da BYD e Nio fino alla vietnamita VinFast). Un segnale simbolico, ma concreto: il 25 aprile 2025, le autorità di Pechino hanno annunciato che, per la prima volta, la potenza installata da fonti eoliche e solari ha superato quella da carbone.
Anche il fronte “social” mostra segnali di resistenza
Anche sul piano sociale si osservano dinamiche significative, con forti segnali di resistenza al disimpegno. Il 25 febbraio 2025, il 97% degli azionisti di Apple ha respinto una proposta per sospendere i programmi dell’azienda in materia di diversità, equità e inclusione (DEI), nonostante la loro abolizione formale da parte dell’amministrazione Trump. Un episodio analogo si è verificato durante l’assemblea annuale di Levi Strauss del 23 aprile 2025: oltre il 99% degli azionisti ha votato contro una proposta che mirava a porre fine alle iniziative DEI del gruppo.
Dalla compliance al vantaggio competitivo: strategia e valore per il futuro della sostenibilità
Nonostante un temporaneo rallentamento normativo su entrambe le sponde dell’Atlantico, la traiettoria della sostenibilità resta solida e orientata al lungo termine. Il vero ostacolo, oggi, non è l’assenza o l’allentamento delle norme, ma la mancanza di una visione strategica.
In molte imprese – anche di grandi dimensioni – non esistono ancora le competenze e le condizioni organizzative per interpretare la sostenibilità come parte integrante della strategia. Quando la sostenibilità viene ridotta a un mero adempimento formale, la misurazione si svuota di senso e viene percepita come un costo burocratico. È in questo vuoto culturale che la compliance rischia di diventare sterile, alimentando un rifiuto latente, soprattutto da parte di chi è chiamato a metterla in pratica.
Un ulteriore ostacolo è la frammentazione degli standard di rendicontazione. ISSB, ESRS, SASB, GRI, VSME: ciascun acronimo e framework risponde a logiche, ambiti e utenti diversi, rendendo complesso l’allineamento tra gli obblighi di disclosure e gli obiettivi strategici delle imprese. Questa pluralità, seppure fisiologica in una fase di transizione, può scoraggiare l’adozione e indebolire l’efficacia dei meccanismi di accountability. In assenza di parametri condivisi, rilevanti e comprensibili, la misurazione della sostenibilità resta un esercizio tecnico poco orientato all’impatto reale. Ed è proprio questo il punto critico: la sostenibilità diventa leva di competitività solo se riesce a trasformarsi in valore misurabile – in termini di margini, rischio, reputazione, capitale umano e innovazione.
In questo scenario, la sostenibilità non è una moda passeggera né una minaccia ideologica. È una trasformazione strutturale che deve evolvere da adempimento formale a leva strategica. Non può restare confinata all’ambito normativo o alla compliance: è un investimento, una piattaforma di innovazione. Serve una nuova alfabetizzazione strategica e manageriale, capace di integrare visione e metriche, decisioni e dati, rendicontazione e strategia. Solo così l’impresa sostenibile potrà imporsi come modello prevalente: non per obbligo, ma per convenienza competitiva.
Verso la stagione della consapevolezza
In conclusione, la sostenibilità sta attraversando una fase di trasformazione e maturazione. Meno focus sulle checklist normative, più attenzione alla materialità, ai rischi, alla qualità dei dati. Le imprese orientate al lungo termine iniziano a utilizzare la rendicontazione ESG non solo per conformarsi, ma per gestire in modo proattivo performance, reputazione e accesso al capitale. Si diffonde l’adozione di strumenti e metriche orientati al futuro, come l’analisi degli scenari climatici, che aiutano le imprese a valutare in anticipo l’impatto potenziale di fattori ambientali, normativi o di mercato sul proprio modello di business. Cresce anche l’uso di sistemi digitali per il reporting e di piani di transizione con obiettivi verificabili, che rendono più credibile e misurabile l’impegno verso una sostenibilità reale. È un’opportunità concreta, da cogliere con lucidità e visione. In tempi turbolenti, i leader d’impresa devono concentrarsi sulla crescita sostenibile e sui ritorni positivi del valore – e dei valori.
Francesco Perrini è associate Dean for Sustainability e delegato per Diversity, Equity and Inclusion (DEI) di SDA Bocconi School of Management, dove è anche responsabile di ICE - Innovation and Corporate Entrepreneurship. È professore ordinario nel dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi.
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