E&M

2021/4

Marianna Benatti

Riportare il benessere del dipendente al centro dell’azienda

Il well-being, intesa come strategia volta a migliorare il benessere delle persone in senso olistico (fisico, mentale e sociale), si conferma una priorità per le aziende. Solo in Italia, nell’ultimo anno il 63 per cento delle aziende ha implementato pratiche di well-being per consentire ai lavoratori di integrare meglio la loro vita personale e professionale. Disporre di un programma efficace per il benessere dei dipendenti offre alle organizzazioni una visione più chiara del cambiamento della forza lavoro e delle tendenze sociali interne, fondamentale per la definizione e l’allineamento degli obiettivi di business. Progettare iniziative di tutela delle « 3S » – sicurezza, salute e sostenibilità – è dunque necessario per definire la propria strategia di crescita. Gli alti livelli di stress che Millennial e Gen Z hanno raggiunto in questi mesi di pandemia non sono stati adeguatamente affrontati dalle organizzazioni. Un tema, quello della salute mentale dei dipendenti, su cui la maggior parte delle aziende sono in ritardo.

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Nel 2020, il benessere dei dipendenti è risultato al primo posto a livello globale e al terzo in Italia tra le principali direttrici di cambiamento delle organizzazioni. Una scalata non improvvisa (negli anni precedenti aveva conquistato dapprima il terzo e poi il secondo gradino del podio globale) ma sicuramente consolidata dalla rivoluzione innescata dalla pandemia di Covid-19.

Se da un lato, infatti, le aziende si sono rese conto di come il benessere dei propri collaboratori costituisca qualcosa di più di una condizione accessoria e utile esclusivamente per una maggiore produttività, dall’altro, l’accelerazione dei processi di trasformazione digitale ha minato alle radici la quotidianità di persone e organizzazioni, rendendo improcrastinabile l’adozione di una vera strategia per la conquista e la tutela della serenità sul luogo di lavoro. Un mondo diverso e incentrato sul benessere e la felicità dei lavoratori è realmente possibile anche in questi tempi frenetici ed è un asset aziendale misurabile, anche in ottica Environmental, Social, and Corporate Governance (ESG). Addirittura il più importante, in un contesto in cui a fare la differenza sono proprio le persone con il loro patrimonio di idee, conoscenza e creatività, fondamentale per rendere competitiva l’impresa e decidere le sorti delle sfide che il mercato continuamente propone.

Il Deloitte «Global Human Capital Trends»

Secondo il «Global Human Capital Trends» di Deloitte, indagine globale sulle direttrici di cambiamento delle organizzazioni, il benessere dei dipendenti inizia già a comparire tra i trend HR già nel 2017 come componente importante dell’employee experience.

Nel 2018, il well-being risulta il quarto trend a livello globale e il terzo in Italia, iniziando così a essere considerato una strategia di responsabilità d’impresa. Poiché il confine tra vita lavorativa e vita privata si stava assottigliando sempre di più, i dipendenti hanno iniziato a richiedere alle organizzazioni offerte di benefit più estese, che includessero un’ampia gamma di programmi per la salute fisica, mentale, economica e spirituale. Le imprese hanno iniziato a investire in programmi di well-being, come forma di responsabilità sociale e strategia di people talent.

Nel 2019, il well-being si afferma come secondo trend a livello globale e quinto in Italia. Nonostante il tema venga ritenuto importante dal 75 per cento degli intervistati, solamente il 46 per cento dichiara di essere pronto a intraprendere o di aver intrapreso azioni concrete, sebbene le politiche in tema di benessere comportino conseguenze positive dirette in termini di performance e produttività.

Nel 2020, il well-being guadagna il primo posto a livello globale e il terzo in Italia. Prendersi cura del benessere dei lavoratori, non solo promuovendo iniziative parallele al lavoro, ma integrando strategie di well-being nel modo in cui il lavoro stesso viene progettato e svolto ogni giorno, rappresenta una nuovo prospettiva in cui le aziende credono fortemente. L’80 per cento di quelle intervistate concorda sul fatto che il well-being sarà fondamentale per il successo nei prossimi 12-18 mesi, tuttavia solo il 12 per cento sente di essere pronto per farlo.

Anche nel 2021, il well-being si conferma una priorità per le aziende. Una delle conseguenze più marcate della pandemia è stata la ridefinizione del confine tra vita privata e lavoro, che si è assottigliato sempre più, tanto da portare i dirigenti aziendali a spostare la propria attenzione dal work-life balance all’individuare modalità efficaci per integrare il well-being nella quotidianità del lavoro: il 63 per cento dei rispondenti italiani ha riferito di aver implementato negli ultimi mesi pratiche di well-being per consentire ai lavoratori di integrare meglio la loro vita personale e professionale.

Il well-being

La pandemia da Covid-19 e l’avvento del digitale hanno cambiato radicalmente il modo di vivere e lavorare di milioni di persone, mutandone gli equilibri nel segno di un’iperconnessione (7 giorni su 7, 24 ore su 24) che ha reso i confini tra vita privata e professionale sempre più sfumati. Ritagliarsi tempo per sé, i propri hobby, gli amici e la famiglia è diventato difficile; i livelli di stress sono aumentati e il burnout è stato dichiarato una sindrome dall’Organizzazione mondiale della sanità. Sedentarietà e ritmi di lavoro che interferiscono negativamente sulle abitudini alimentari e sul riposo fanno il resto. Urge intervenire, quindi, con programmi specifici perché solo persone in salute e felici possono far emergere le soft skill essenziali per portare valore aggiunto in azienda. La creatività, la passione, la motivazione e la tensione all’eccellenza non sono qualità o comportamenti che possono essere imposti o regolati dalle condizioni di un contratto, ma dipendono unicamente dallo stato psicofisico ed emotivo delle persone, e dal loro coinvolgimento nella realizzazione degli obiettivi aziendali. Una mente concentrata, un corpo energico e un senso di appartenenza alla comunità sono gli elementi che, operando in modo sinergico, consentono a un individuo di esprimere al meglio le proprie potenzialità, integrando la vita professionale con quella personale.

Il well-being è infatti una strategia volta a migliorare il benessere delle persone, inteso in senso olistico (benessere fisico, benessere mentale e benessere sociale), e deve essere ritagliato sulle specifiche necessità di ogni azienda. Non esistono programmi di well-being one-size-fits-all. Ogni professionista ha i suoi obiettivi di benessere unici e questi possono cambiare nel corso della vita di quella persona. Ecco perché è fondamentale creare un approccio al benessere che sia olistico, con programmi e vantaggi flessibili per soddisfare le diverse esigenze.

Per farlo, Deloitte ha sviluppato il Well-being Index, un indicatore che permette di identificare il livello di benessere delle persone di un’azienda grazie a una survey anonima. Grazie ai dati di questa indagine è possibile formulare un piano strategico volto a migliorare i maggiori gap emersi; riproponendola a distanza di 1 o 2 anni, è possibile vedere se le azioni implementate hanno avuto effettivamente un impatto e come è cambiato il livello di benessere dell’azienda. Deloitte ha utilizzato internamente questo tool e ha visto un miglioramento del 13 per cento del proprio Well-Being Index  da dicembre 2018 a luglio 2020. Il Well-Being Index oggi è un tool disponibile per tutte le aziende che vogliono sviluppare una strategia di well-being.

Il benessere riguarda anche molto la cultura aziendale. I programmi interni di apprendimento, le risorse utilizzate, i vantaggi e gli strumenti messi in campo sono importanti, ma non daranno grandi risultati se non ci sarà supporto e sostegno a tutti i livelli dell’organizzazione, in particolare da parte della leadership.

Il ruolo della leadership

I leader riconoscono sempre più l’importanza di allineare i principi della responsabilità sociale d’impresa agli obiettivi strategici e al benessere dei dipendenti. Lo «Statement of Corporate Purpose della Business Roundtable», firmato lo scorso anno da 200 amministratori delegati, è un esempio di come le organizzazioni si stiano adoperando per sostenere questo sforzo. Investire nel benessere aiuta ad attrarre e trattenere i talenti, consentendo ai dipendenti di dare il meglio sia professionalmente sia personalmente. Tutti i leader di C-suite, compresi i CFO, svolgono un ruolo fondamentale nella costruzione di una cultura del benessere in un’organizzazione, modellando comportamenti sani.

La ricerca di un valore tangibile nel benessere dei dipendenti può essere affrontata allineando obiettivi ESG con rischi noti per produrre un valore strategico. Per esempio, lo sviluppo e la fidelizzazione dei talenti sono i principali fattori di rischio per la maggior parte delle organizzazioni e il ruolo dei CFO è fondamentale per aiutare a gestire tali complessità; questo grazie al loro ruolo di leadership nella gestione del rischio aziendale (ERM), nell’allocazione del capitale e nell’analisi e nel reporting finanziario. Disporre di un programma efficace per il benessere dei dipendenti offre inoltre all’organizzazione una visione più chiara del cambiamento della forza lavoro e delle tendenze sociali, che sono fondamentali per la definizione e l’allineamento degli obiettivi di business.

Un’altra sfida per molti è quella di quantificare il ROI degli investimenti ESG poiché, generalmente, hanno un orizzonte temporale più lungo e richiedono considerazioni di modellazione dell’impatto uniche. Può essere utile sviluppare metriche finanziarie credibili che misurino l’impatto del benessere dei dipendenti per esempio sul coinvolgimento dei dipendenti e sulla retentiondei talenti. Queste metriche possono in definitiva aiutare i CFO a creare informative sui rischi ESG più affidabili per gli investitori e altri stakeholder, migliorando al contempo l’ERM e aggiungendo resilienza alla strategia di crescita.

I dipendenti sono risorse fondamentali per l’organizzazione, non solo una voce di spesa. E come con qualsiasi risorsa, le aziende dovrebbero investire nei dipendenti per ottimizzare il loro valore, misurando al contempo l’efficacia di tale investimento, per esempio determinando il ROI dei programmi di salute mentale sul posto di lavoro e l’impatto finanziario del miglioramento dei tassi di abbandono.

Quando i CFO adottano misure per collegare concretamente gli investimenti ESG al valore a lungo termine e alla mitigazione del rischio, possono consentire alla C-suite e al consiglio di amministrazione di riconoscere questi programmi come veri driver di valore. Questo tipo di reporting può anche consentire all’organizzazione di comunicare in modo efficace la propria strategia ESG agli stakeholder esterni.

Più in generale, sviluppare e rendere operativo un programma efficace per il benessere dei dipendenti è anche una lezione sul perché le aziende dovrebbero considerare gli ESG come parte integrante della loro strategia. Questo avviene in linea con la crescente consapevolezza che le persone sono risorse critiche da cui le organizzazioni dipendono per generare valore, un valore tangibile che può essere misurato e riportato al mercato e agli investitori. Anche il riconoscimento di questa componente del capitale umano è fondamentale per integrare la strategia ESG nell’ERM. Come risultato della pandemia, stiamo assistendo a una ricalibrazione del rischio aziendale, che amplia la visione del rischio per includere gli eventi disruptive che un’organizzazione può trovarsi a fronteggiare per cause che impattano sulla società, sulla salute o sull’ambiente. Questa ricalibrazione è fondamentale per le crescenti aspettative degli investitori in merito alla divulgazione dell’ESG.

Millennial Survey 2021

Un altro fattore importante da considerare è l’impatto che ha avuto la pandemia sulla salute mentale delle persone, in particolare sui Millennial (nati tra il 1983 e il 1994) e sulla Generazione Z (Gen Z, nati tra il 1995 e il 2003). Secondo la «Millennial Survey 2021» di Deloitte, lo studio sul sentiment di Millennial e Gen Z in Italia e nel mondo, circa un terzo di tutti gli intervistati (Millennial 31 per cento, Gen Z 35 per cento) ha dichiarato di aver preso dei giorni liberi dal lavoro a causa dello stress e dell’ansia dall’inizio della pandemia. Tra i due terzi di quelli che non si sono assentati, 4 su 10 hanno ritenuto di essere stressati tutto il tempo. Numeri come questi sono il motivo per cui molte aziende hanno iniziato a dare priorità alla salute mentale. I business leader Millennial hanno indicato una chiara attenzione al benessere e alla salute mentale, elencando le prime quattro priorità non finanziarie di business: garantire la work-life integration (27 per cento), supportare la salute fisica e mentale dei dipendenti (16 per cento) e sostenere lo sviluppo delle persone e aiutare i dipendenti essere se stessi (13 per cento).

Purtroppo, molti Millennial e Gen Z vedono gli sforzi dei loro datori di lavoro come

inadeguati: quasi 4 su 10 degli intervistati ha dichiarato di essere in disaccordo con l’affermazione «Il mio datore di lavoro ha intrapreso azioni per sostenere il mio benessere mentale durante questo periodo». Quando i livelli di stress sono stati più alti, paradossalmente minore è stato il sostegno che hanno sentito dai loro datori di lavoro. Questa indifferenza percepita può in parte dipendere da due fattori: solo il 38 per cento dei Millennial e il 35 per cento della Gen Z ha dichiarato di aver parlato apertamente con i propri responsabili del livello di stress raggiunto; diffusa anche la loro riluttanza a dire ai propri manager che, a causa dell’ansia e dello stress, avevano preferito prendersi dei giorni liberi.

Quasi la metà degli intervistati che si sono assentati per motivi di salute mentale, ha fornito motivi diversi dallo stress per giustificare la loro assenza. I genitori sono stati più sinceri rispetto a coloro che non avevano figli a casa, forse perché questi ultimi sentivano di non avere «altrettanta ragione» per essere stressati.

Questi dati ci devono far riflettere e ci portano a pensare che uno degli obiettivi futuri sarà quello di riuscire a progettare iniziative innovative di tutela della sicurezza, di promozione della salute e di attenzione alla sostenibilità: la sfida delle «3S». Sarà necessario acquisire la profonda convinzione che proprio il benessere olistico è l’impatto che fa la differenza. Non sul lavoro, ma nella vita.

In sintesi

  • Secondo il «Global Human Capital Trends 2021» di Deloitte, il well-being, intesa come strategia volta a migliorare il benessere delle persone in senso olistico (fisico, mentale e sociale), si conferma una priorità per le aziende. Solo in Italia, nell’ultimo anno il 63 per cento dei rispondenti ha riferito di aver implementato pratiche di well-being per consentire ai lavoratori di integrare meglio la loro vita personale e professionale.
  • Disporre di un programma efficace per il benessere dei dipendenti offre alle organizzazioni una visione più chiara del cambiamento della forza lavoro e delle tendenze sociali interne, fondamentale per la definizione e l’allineamento degli obiettivi di business. Progettare iniziative di tutela delle «3S» – sicurezza, salute e sostenibilità è dunque necessario per definire la propria strategia di crescita.
  • Gli alti livelli di stress che Millennial e Gen Z hanno raggiunto in questi mesi di pandemia non sono stati adeguatamente affrontati dalle organizzazioni. Un tema, quello della salute mentale dei dipendenti, su cui la maggior parte delle aziende è in ritardo.

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