E&M
2021/4
Indice
Dossier. Scenario e sfide
Il nemico numero uno è la retorica
Dossier. Imprese, società e diritto
Gender pay gap il ruolo delle imprese
Donne e PA un caso di successo a metà
Bilancio di genere quale sarà il futuro
Che cosa può e deve fare il sindacato
Gestire la disabilità oltre lo stigma
Visual readings
Focus. Accounting
Il nuovo corso dell’accounting
Nel controllo di gestione l’obiettivo è allineare misure e strategie
Focus. Agribusiness
La nuova stagione dell’agribusiness
Tutta la filiera alla prova dell’innovazione
People management
Riportare il benessere del dipendente al centro dell’azienda
Nuovi consumi
Tutto il valore sociale e ambientale della bikeconomy
Il valore del cicloturismo nell’Unione Europea raggiunge i 50 miliardi di euro. Un dato destinato a salire grazie all’avvento dell’e-bike e agli effetti della pandemia sugli stili di vita delle persone. Grazie al suo patrimonio di bellezze naturali e culturali, alla varietà dei suoi territori e a un’enogastronomia senza pari al mondo, tramite mirati investimenti in infrastrutture e servizi, l’Italia potrebbe diventare il paradiso del cicloturismo.#La tardiva percezione del fenomeno e-bike, il disinteresse verso la mobilità cittadina e il connesso fenomeno delle smart city, la sottovalutazione del cicloturismo hanno portato a relegare gran parte dei produttori italiani in nicchie quasi esclusivamente dedicate al ciclismo agonistico e agli amatori agonisti. Questo ha provocato un crollo verticale (-60 per cento in 25 anni) della produzione italiana di biciclette, a vantaggio di produttori stranieri che meglio hanno saputo sfruttare le leve della finanza.
La città, ma anche i territori, vanno integralmente ripensati. A Parigi la sindaca Anne Hidalgo ha creato l’assessorato alla «città del quarto d’ora», un nuovo concetto urbanistico in cui tutto: scuola, lavoro, servizi pubblici, deve essere a portata di mano e raggiungibile con mezzi sostenibili in non più di 15 minuti. Perché la vivibilità non può che coniugarsi con la sostenibilità. E non a caso in pochissimo tempo la città del quarto d’ora è diventata un trend che tanti amministratori vogliono lanciare nelle loro città.
Tra gli strumenti di mobilità, alcuni hanno il vantaggio di essere più adeguati di altri. La bicicletta è tra questi. La città finisce per non avere più confini, né all’interno né verso l’esterno. È qui che deve concretizzarsi l’innovazione, è qui che si incrociano lavori e stili di vita, è qui dove sono concentrati saperi e strutture di ricerca, è qui che si gioca il nostro futuro economico e sociale.
La mobilità ideale
Qual è, quindi, la mobilità ideale? La metodologia applicata in Olanda è semplice: «Avoid, shift, improve» (evitare, modificare, migliorare). In primis per gestire gli spostamenti e la conseguente mobilità si deve evitare di doverlo fare se non è strettamente necessario; poi va modificato il comportamento di chi si sposta, agendo sulle destinazioni d’uso e le funzioni degli spazi esistenti e sulle abitudini e preferenze di spostamento; solo da ultimo si provvederà a migliorare l’integrazione fra mobilità attiva e i servizi di trasporto pubblico. Questa metodologia individua correttamente le priorità di intervento e di finanziamento, ottimizzando il rapporto costi/benefici.
Nel ridisegnare le città, avrà una grande importanza la gestione degli spazi da utilizzare in modo efficiente per riattivare gli esercizi commerciali di vicinato, per offrire luoghi dove far affluire in totale sicurezza le persone, che avranno sempre più voglia di spazi pubblici a loro disposizione. Si dovrà poi incentivare efficacemente l’uso della bici e in particolare il bike-to-work, che va reso attraente anche per chi non utilizza la bici. Infine, bisognerà passare dal tema della mobilità a quello dell’accessibilità. Gli stessi piani urbani della mobilità sostenibile (PUMS) andranno ripensati.
La soluzione è l’intermodalità: mezzo pubblico + bicicletta dovranno essere al centro del trasporto pubblico locale (Tpl) e di ogni piano di mobilità. La bicicletta è il mezzo perfetto per ridurre l’afflusso di passeggeri sui mezzi pubblici sulle linee o sulle tratte secondarie, riducendo o modificando il servizio di Tpl che potrà concentrarsi sulle tratte principali, aumentando le frequenze. Lo stesso discorso vale per il binomio treno + bici.
Ignorate sinora dai PUMS e dal codice della strada, un’altra soluzione potrà essere l’utilizzo delle superciclabili: ciclovie destinate ai pendolari, ad alta capacità di afflusso, con elevati standard di qualità e sicurezza, che sono concorrenziali rispetto all’autoveicolo e rappresentano un importante asse di raccordo e integrazione ai servizi di Tpl.
Il fenomeno del cicloturismo
Passeggiare, pedalare, fare turismo che sia anche esperienza a contatto con la natura e la cultura è l’alternativa che sempre più sarà apprezzata dagli italiani e soprattutto dagli stranieri.
La bikeconomy ha già calcolato in quasi 50 miliardi il valore del cicloturismo nell’Unione Europea. Il dato è destinato a un incremento molto sensibile, anche grazie all’avvento della e-bike e agli effetti della pandemia sugli stili di vita delle persone.
L’Italia è potenzialmente il paradiso del cicloturismo e di quello che viene denominato «turismo esperienziale», fenomeno oramai dilagante e in grado di mobilitare un giro d’affari di miliardi di euro, grazie al suo patrimonio di bellezze naturali e culturali, alla varietà incredibile dei suoi territori e a un’enogastronomia senza pari al mondo. È necessario valorizzare questi tesori mediante un’azione a livello nazionale, gestita da esperti, finalizzata a fare formazione e facendo affluire finanziamenti mirati pubblico/privati. E non serve sempre realizzare ciclovie, perché si possono sfruttare le migliaia di chilometri di vie secondarie, come per esempio le ferrovie dismesse.
Basti citare la Via Francigena, la Via Silente nel Cilento, la ciclovia su strade deserte che passa per la Calabria, attraversando paesi immutati da sempre e con a fianco un mare straordinario. E poi ci sono l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata, Regioni quasi sconosciute al turismo su due ruote, come anche le vallate alpine del Piemonte, l’entroterra della Liguria, la Sicilia e la Sardegna e tanti altri magici e incontaminati luoghi italiani.
Troppo spesso il ciclista turista è percepito come un poveretto costretto ad andare in vacanza sulle due ruote, perché non è economicamente in grado di farlo usando l’auto. Poi si scopre che per una settimana in bici in Italia i ricchi americani, inglesi, cinesi, pagano anche oltre 10.000 euro a testa. Ma gli organizzatori delle loro vacanze sono quasi tutti stranieri che offrono ai turisti l’Italia, i suoi territori, la sua enogastronomia, il suo clima, la sua incomparabile bellezza. I nostri operatori turistici – salvo rari casi, come quello ad esempio di Girolibero – non sono strutturati adeguatamente, non creano piattaforme digitali sulle quali attrarre i tanti turisti internazionali ma anche italiani, non si costituiscono in consorzi di imprenditori del turismo, non sono in grado di coinvolgere gli amministratori locali che, salvo i pochissimi esempi positivi dei soliti noti, come il Trentino, la Romagna e in parte la Toscana, non hanno la minima idea di cosa sia e quanto valga la bikeconomy del turismo.
Investire nel turismo e nelle infrastrutture
Servono infrastrutture tra loro ben coordinate che possano garantire di pedalare in sicurezza, alberghi bike friendly come i geniali bike hotel romagnoli, ristoranti accoglienti per i ciclisti, strutture dedicate quali i noleggi di bici e le officine, guide specializzate e multilingue in grado non solo di organizzare pedalate ma pure di mostrare e illustrare le bellezze artistiche e storiche dei territori, app semplici ma complete da consultare con tutte le informazioni e i siti ai quali poter accedere e nei quali trovare ogni tipologia di offerta di modo da attrarre ogni ciclista, compresi quelli potenziali, e innescare processi virtuosi di economia circolare da riversare sul territorio.
Oggi nel mondo pedalano due miliardi di persone e come abbiamo visto questo numero è destinato ad aumentare vertiginosamente grazie alle e-bike che hanno abbattuto ogni barriera.
Pensiamo inoltre al lavoro che si genererebbe specialmente a favore dei più giovani. Un lavoro sano, ricco e sostenibile, direttamente nei territori di origine. Per esempio, aprire un agriturismo per le bici, un ristorante con un’attenzione particolare alle esigenze di chi pedala, un’officina, un noleggio che garantisca tutti i servizi (affittare una bici, gestire guide turistiche, tour operator specializzato o anche consulente di cicloturismo), se possibile studiando le migliori eccellenze al mondo.
Centri studi quali l’Osservatorio Bikeconomy sono in grado di garantire analisi estremamente accurate e di individuare tutti gli strumenti necessari per poter dotare le amministrazioni, gli imprenditori e gli investitori di quanto serva per una pianificazione accurata degli interventi da fare. Questo anche grazie ai network internazionali di cui fanno parte, quali quelli dell’ambasciata olandese e della Dutch Cycling Embassy ai quali fanno riferimento aziende che attuano le best practice a livello europeo. Lo scanning del territorio di interesse pone le premesse per un’ottimizzazione dell’offerta a fini cicloturistici, individuando le corrette infrastrutture da realizzare, gli esercizi commerciali da creare, le strutture turistiche da costruire, le tipologie di servizi da fornire, i supporti digitali di cui dotarsi, i costi da sopportare e i tempi del ritorno degli investimenti effettuati.
I conti vanno poi fatti non solo calcolando l’indotto puro, ma anche quello collaterale. Quanti miliardi valgono la salute, soprattutto in questo particolare momento storico, e il miglioramento di clima e ambiente? Quanto si è disposti a spendere per un’elevata qualità della vita? Quali investimenti si è disposti a sostenere per avere un deciso incremento di soggetti a elevato reddito interessati ad acquistare ville e casali o appartamenti nei centri storici di territori così riqualificati? Quanto è importante essere inseriti tra le destinazioni top del turismo mondiale?
Il turismo lento
Oggi si vive più a lungo e si ha sempre più tempo. E si vuole sempre più trascorrerlo al meglio in contesti belli e sostenibili. Il cicloturismo è la tipologia di turismo più coerente con queste nuove logiche, soprattutto grazie alle bici a pedalata assistita che stanno abbattendo ogni barriera, decuplicando l’esercito di turisti pedalatori. Il turismo lento, quello a pedali, è una straordinaria lente di ingrandimento di ciò che ti circonda.
In auto o moto il turismo è inevitabilmente mordi e fuggi. Il ciclista si ferma spesso, mangia e beve abbondantemente, si guarda intorno, è curioso e grazie alla bici arriva ovunque. E non fugge. Dorme negli alberghi che trova lungo il suo viaggio, non si sazia mai del piacere che il viaggio lento gli garantisce.
Oggi la bicicletta è anche trendy. Vip e persone famose, da anni preferiscono avere tra le mani il manubrio della bici piuttosto che una mazza da golf o una racchetta da tennis. E, come sempre, gli stimoli che provengono dalle persone famose finiscono per suggestionare tutti, generando una tendenza.
Ecco perché molti resort di lusso si sono concentrati da qualche anno sugli ospiti ciclisti. Dall’Alto Adige alla Puglia si moltiplicano le vacanze di lusso in bici. Ai resort alpini si sono unite le magnifiche masserie e Luxury Bike Hotels assieme a EcoLuxury stanno aggregando e offrendo consulenza ad alberghi e resort di lusso intenzionati a riconvertirsi per diventare bike friendly.
Ma sono ancora interventi spot, tra loro slegati e mal comunicati. Nulla di strutturato. Anzi, molte volte si pensa che sia bene farsi concorrenza, ostacolare iniziative analoghe, operare solo a livello locale.
Potendo disporre dei posti e dei contesti più belli del mondo e anche della storia più avvincente del ciclismo, la cui epopea si è celebrata in mitiche tappe del Giro d’Italia grazie a grandissimi e quasi mitologici campioni, per il nostro Paese non sarebbe di certo difficile offrire attrattive di straordinaria unicità. C’è solo l’imbarazzo della scelta: e attorno a quei contesti, a quei percorsi, a quelle mitiche salite, riecco la storia, l’arte, la cultura, l’enogastronomia nelle mille splendide sfaccettature che l’Italia sciorina senza soluzione di continuità.
Finalmente qualcosa sembra stia cambiando, e anche in questo caso è stata la pandemia a fungere da acceleratore. Le analisi dell’Osservatorio Bikeconomy confermano un interesse sempre crescente da parte di amministratori locali e Regioni per il fenomeno del cicloturismo. Gli imponenti finanziamenti attesi dall’Europa, per accedere ai quali sarà però indispensabile poter presentare progetti di alto livello, sono un ulteriore elemento positivo da sfruttare senza indugio.
Il limite delle scarse competenze in materia man mano si attenuerà, anche grazie all’attività di comunicazione, formazione e sensibilizzazione in atto.
I numeri del mercato
I dati di Confindustria/Ancma evidenziano un +60 per cento e oltre 500.000 bici vendute in Italia dopo il lockdown della primavera 2020, per un totale annuo superiore ai 2 milioni di pezzi e confermano l’inarrestabile crescita del settore, con le e-bike che volano a doppia cifra. Numeri tuttavia ancora irrisori se si guarda al milione di bici a pedalata assistita venduto in Germania, dove rappresenta lo strumento di mobilità per eccellenza. L’Italia ha però margini di crescita enormi. Il ritardo è legato a una rete di vendita che fatica ad innovarsi e a un’oggettiva difficoltà nel gestire un prodotto come l’e-bike.
Tuttavia, ben presto la rete commerciale subirà una radicale modificazione e spazzerà via molti attuali rivenditori. Ci sono nuovi player entrati sul mercato approfittando del successo delle bici a pedalata assistita e l’avvento delle piattaforme digitali e virtuali e dell’e-sport sta già avendo un impatto enorme. Il trend è esplosivo come dimostrano le e-bike prodotte da Mercedes, Bmw, Audi, Ducati ecc.
L’Europa è, dopo l’area asiatica e del Pacifico, il mercato con i più rapidi ritmi di crescita. Il Vecchio Continente ha rappresentato, nel 2018, il 20,12 per cento del mercato globale. Nel 2019, in Europa, si sono registrate vendite per 3 milioni di unità su un mercato totale di biciclette di 20 milioni di pezzi, pari a una impennata del 23 per cento sull’anno precedente[1].
L’Italia ha avuto, sino a una ventina di anni fa, una leadership indiscussa grazie alla sua grande tradizione manifatturiera e all’innata genialità dei suoi imprenditori e artigiani, che sono stati punto di riferimento del ciclismo per decenni. Anche in campo agonistico i team erano in larga maggioranza italiani e i campioni esteri venivano in Italia. E tutti pedalavano esclusivamente italiano con telai realizzati rigorosamente a mano dai nostri maestri artigiani. Quando si sente parlare di marketing incentrato sulla narrazione, si pensi ai grandi marchi italiani, che possono riempire libri che narrano la storia del ciclismo. Cinque su tutti: Colnago, Pinarello e De Rosa, seguiti a ruota da Cinelli; due nel campo degli accessori: per l’abbigliamento tecnico Manifattura Valcismon e per le scarpe Sidi. E, ultimo ma solo perché è unico: Campagnolo. Purtroppo, Pinarello, Colnago e Cinelli sono finiti, come vedremo di seguito, in mani straniere.
Eccellenze, storie affascinanti, imprenditori straordinari. Il mondo però non è stato a guardare e se una colpa si può dare ai costruttori italiani è proprio da ascrivere alla loro incrollabile convinzione che nessuno avrebbe potuto togliere all’Italia la leadership del ciclismo.
Ma così non è stato – ed era facilmente prevedibile. La produzione italiana di biciclette, che è ancora leader in Europa, nel 1994 era di 5,8 milioni di pezzi, nel 2017 appena di 2,4 milioni. Un crollo verticale del 60 per cento in 25 anni.
Oggi molte imprese italiane, che tuttora sono in grado di produzioni di assoluta eccellenza, hanno capi azienda che non sono in grado di innovare e strutturarsi, mentre i produttori stranieri, dietro i quali ci sono spesso potenti gruppi finanziari o industriali, sono cresciuti vertiginosamente.
Un recente studio della Bocconi stigmatizza i dati terrificanti della mortalità aziendale a ogni passaggio generazionale. Bastino un paio di esempi: Trek, la casa statunitense diventata famosa grazie alle imprese di Lance Armstrong, fattura 1,3 miliardi di dollari. Pinarello non arriva a 60 milioni di euro. Shimano, il colosso nipponico dei cambi da bici, entra nel mercato ciclistico quasi per caso, al fine di diversificare i suoi prodotti, fino ad allora concentrati sui mulinelli da pesca. Campagnolo, che fino agli anni Settanta vantava una leadership anche tecnologica assoluta, ora fattura un ventesimo di Shimano e un sesto di Sram, nata come start-up nel 1987.
Questo rende praticamente impossibile una competizione e costringe i produttori italiani o a operare in nicchie sempre più anguste, con prospettive tutt’altro che incoraggianti, o a vendere.
Finanza e ciclismo: una soluzione?
Anche nel ciclismo, seppur recentemente, è arrivata la grande finanza che ha intuito l’importanza della bikeconomy e le enormi potenzialità di business che il made in Italy è ancora in grado di garantire.
Pinarello ha ceduto la maggioranza a L Catterton, il più grande fondo di private equity consumer-focused globale, legato al grande gruppo del lusso LVMH. In Manifattura Valcismon è entrato il fondo Equinox che ne ha acquisito il 40 per cento. Colnago ha ceduto l’azienda a un fondo arabo di Abu Dhabi (Chimera Investments LLC).
Un’altra eccellente opzione può essere rappresentata dall’AIM Italia (Alternative Investment Market, dal 25 ottobre denominato Euronext Growth Milan), il mercato di Borsa Italiana dedicato alle PMI, sperimentato assai positivamente da Askoll Eva, che con 4 milioni di fatturato il giorno della quotazione è stata valutata ben 70 milioni di euro.
Sarebbe inoltre auspicabile creare un polo del ciclismo di eccellenza, ispirandosi al modello del lusso mondiale rappresentato da LVMH, nel quale le aziende potrebbero avere il grande vantaggio di concentrarsi esclusivamente sui loro prodotti, generando efficaci economie di scala ed efficienti gestioni, garantite da un management di alto profilo che aziende medio-piccole non potrebbero permettersi.
L’auspicio è che ci sia una tanto rapida quanto radicale inversione di approccio e un’apertura mentale oggi obbligata per salvaguardare aziende che dopo decenni di successi rischiano di sparire in pochi anni. E anche in questo caso va sfruttata la bikeconomy, sconosciuta o quasi al mondo dei produttori, che ritengono la bicicletta limitata all’ambito nel quale è stata confinata negli ultimi 50 anni.
La tardiva percezione del fenomeno e-bike, il sostanziale disinteresse verso la mobilità cittadina e il connesso fenomeno delle smart city, la sottovalutazione del cicloturismo e delle potenzialità del cosiddetto «ciclismo per tutti», hanno portato a relegare gran parte dei produttori italiani in nicchie quasi esclusivamente dedicate al ciclismo agonistico e agli amatori più performanti, che sono solo una minima percentuale del mercato.
Ci saranno poi sempre più aziende di altri comparti che per logiche di diversificazione investiranno nei comparti della bikeconomy, che saranno sempre più attrattivi per il mondo finanziario, alla costante ricerca di opportunità.
In sintesi
- Dopo il lockdown della primavera 2020, in Italia sono state vendute oltre 500.000 bici, per un totale annuo superiore ai 2 milioni di pezzi. Si tratta di un’inarrestabile crescita del settore (+60 per cento sull’anno precedente), con le e-bike che volano a doppia cifra.
- Il valore del cicloturismo nell’Unione Europea raggiunge i 50 miliardi di euro. Un dato destinato a salire grazie all’avvento dell’e-bike e agli effetti della pandemia sugli stili di vita delle persone. Grazie al suo patrimonio di bellezze naturali e culturali, alla varietà dei suoi territori e a un’enogastronomia senza pari al mondo, tramite mirati investimenti in infrastrutture e servizi, l’Italia potrebbe diventare il paradiso del cicloturismo.
- La tardiva percezione del fenomeno e-bike, il disinteresse verso la mobilità cittadina e il connesso fenomeno delle smart city, la sottovalutazione del cicloturismo hanno portato a relegare gran parte dei produttori italiani in nicchie quasi esclusivamente dedicate al ciclismo agonistico e agli amatori agonisti. Questo ha provocato un crollo verticale (-60 per cento in 25 anni) della produzione italiana di biciclette, a vantaggio di produttori stranieri che meglio hanno saputo sfruttare le leve della finanza.