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2023/3

Cyrille Vigneron

La gioielleria tra continuità e trasformazione

La gioielleria è una delle categorie in più rapida crescita del settore del lusso (+23-25 per cento di aumento delle vendite nel 2022 rispetto al 2021) e riceve sempre più attenzione e investimenti da parte di grandi gruppi del settore del lusso e da investitori privati. Allo stesso tempo, però, si tratta di un ambito in cui le linee dei prodotti si evolvono lentamente e i cicli di vita sono relativamente lunghi, il che determina interessanti paradossi. In questo articolo ne approfondiremo i cinque più importanti.

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Primo paradosso: che cosa è nuovo e che cosa non lo è

La crisi generata dalla pandemia ha accelerato una tendenza che era già visibile in precedenza: la presenza dominante di linee di prodotti iconici, presenti sul mercato da anni. Cartier Love o Juste un Clou, Van Cleef Alhambra, Bvlgari B01 o Serpenti, Tiffany T e altri hanno conquistato una quota di mercato crescente sulla scena mondiale. Stanno emergendo nuove linee, che però non rappresentano una sfida al predominio di quelle già affermate.

Un tempo nella gioielleria era diffusa l’idea che, non appena una creazione veniva percepita come «eccessiva», iniziava a perdere la sua attrattiva.

Le creazioni iconiche hanno infranto questo soffitto di vetro, mettendo in evidenza una tendenza sociale in crescita che possiamo definire «indi-filiazione», ovvero il desiderio di individualizzazione sentendosi però affiliati, di esprimere il proprio sé pur desiderando la stessa cosa degli altri.

Secondo paradosso: il settore del lusso sta diventando sempre più «griffato» grazie a marchi che...

In passato la maggior parte delle vendite di gioielli aveva luogo «senza marchio», avveniva soprattutto da laboratori e negozi locali indipendenti, e solo poche Maison raggiungevano il riconoscimento internazionale.

Il crescente interesse per la gioielleria come mercato d’identità e per i brand ha trasformato la categoria in un’interessante area di diversificazione per le grandi case produttrici. Chanel ha iniziato più di vent’anni fa. Oggi tutte le principali Maison propongono gioielli, da Louis Vuitton a Hermès, Dior, Gucci o Prada, solo per citarne alcune.

LVMH persegue una duplice strategia: acquisire grandi operatori e farli crescere, come Bvlgari e Tiffany, e sviluppare gioielli per LV e Dior. Questo genera un interessante paradosso: la categoria sta diventando sempre più «griffata» non solo dai gioiellieri tradizionali in crescita come Chaumet, Boucheron, Pomellato o Mikimoto, ma anche dai marchi della moda.

La conseguenza diretta di questa tendenza è la necessità di espandere le capacità produttive e di assicurarsi il controllo del know-how e dei volumi, soprattutto da parte di case non specializzate nel settore della gioielleria. Questo ha portato alla costruzione di grandi siti industriali in Francia, Italia e Svizzera, come testimoniano l’inaugurazione delle nuove manifatture Cartier a Torino e l’ampliamento di Bvlgari a Valenza. Questa ambizione di crescita ha anche scatenato una corsa senza precedenti all’acquisizione di laboratori e fornitori di gioielli indipendenti.

Terzo paradosso: la rapida crescita della gioielleria è alimentata anche dalla clientela maschile

I gioielli e la bellezza erano tradizionalmente categorie associate principalmente al mondo femminile. Moda, accessori e orologi erano più equilibrati tra i generi.

La tendenza recente è quella di una crescente adozione della gioielleria da parte dei giovani uomini, che non cercano prodotti specificamente pensati per l’uomo, ma che sostengono naturalmente prodotti iconici come espressione di una nuova identità maschile.

La quarta tendenza non è un paradosso, ma un tema comune a tutto il comparto del lusso.

L’imperativo sempre più pressante della sostenibilità e dell'ESG

Le domande sul rispetto dell’ambiente e sulla tutela dei diritti umani e della biodiversità, lungo l’intera catena di fornitura, sono sempre più insistenti. Provengono da clienti, candidati, investitori e autorità di regolamentazione.

Cartier è proattiva in questo campo, come dimostrano l’apertura della manifattura di Torino, che ha ottenuto la certificazione LEED platino, e l’impegno nei confronti della Watch & Jewelry Initiative, che invita l’intero settore a unire le proprie forze.

La responsabilità dei grandi marchi sull’intera catena di approvvigionamento sta spingendo il settore verso la piena tracciabilità. Le nuove tecnologie, come per esempio la blockchain, appaiono come fattori chiave in questo senso.

L’innovazione e la tecnologia possono rimodellare il settore

Alcune innovazioni tecnologiche come la stampa 3D dei metalli appaiono molto promettenti per progettare e produrre forme che non è stato possibile realizzare con le tecniche tradizionali.

Tuttavia, la tecnologia ormai matura e scalabile è quella che permette di produrre diamanti coltivati in laboratorio: in combinazione con l’energia pulita, l’impronta ambientale è infatti molto inferiore a quella dell’estrazione naturale.

Detto questo, attualmente la tracciabilità dei diamanti coltivati in laboratorio è tutt’altro che chiara, il che rende la maggior parte delle affermazioni impossibili da verificare.

Il valore attribuito ai diamanti è legato anche alla loro rarità. Se la produzione può essere facilmente scalata, tale rarità è destinata a scomparire. Innanzitutto, si ridurrà il valore di rivendita, prima che cambi la percezione globale del diamante come materiale di lusso.

Il paradosso dei diamanti coltivati in laboratorio è quello di creare gradualmente uno spostamento di valore dai diamanti alle pietre semipreziose, che in realtà sono più rare, e ai gioielli di design rispetto alla semplice incastonatura delle pietre. Bisogna ricordare che duecento anni fa i diamanti erano meno apprezzati delle perle naturali, fino a quando le perle coltivate non hanno completamente stravolto questo settore. Il valore che diamo alle cose è solo una convenzione tra esseri umani.