E&M

2022/1

Alberto Grando Valeria Belvedere Andrea Chiarini

La forza dell’esempio del sistema manifatturiero italiano

Nel corso del 2020-2021, il sistema produttivo italiano, grazie al dinamismo di singole imprese o tramite la creazione di network, si è rivelato resiliente e in grado di recuperare velocemente i cali di produzione sofferti nel periodo iniziale della pandemia. Nei mesi di lockdown diverse imprese hanno dato avvio a nuove linee di prodotto (dispositivi di protezione individuale, dispositivi medici, purificatori dell’aria, prodotti e servizi di natura non sanitaria la cui domanda è esplosa durante l’emergenza Covid-19) che sono poi state integrate nella produzione aziendale. Le imprese che meglio di altre hanno saputo mitigare gli effetti della crisi e avviare interventi di recovery, hanno agito seguendo tre fasi principali: di reazione alla pandemia, volta a fronteggiare l’emergenza e garantire sicurezza e riavvio del business; di resilienza e ripartenza, basata su agilità operativa e capacità di selezionare e garantire continuità al business; di ridisegno, per valorizzare le lezioni apprese e ripensare nuove opportunità di business.

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La crisi pandemica ha colpito severamente l’economia e l’industria italiana. Secondo il rapporto 2021 sulla competitività dei settori produttivi italiani[1], le misure messe in campo per arginare la pandemia hanno determinato uno shock macroeconomico mondiale in termini sia di chiusura di attività, sia di rallentamento della domanda di beni e servizi. Il commercio mondiale, compresa la quota italiana, ha subito un crollo fra marzo e aprile 2020 per poi crescere in maniera robusta a partire dalla fine del 2020 e proseguire per tutto il 2021. In volume il Pil è diminuito dell’8,9 per cento, per poi rimbalzare oltre il 6 per cento nelle stime di chiusura 2021.             

Il nostro Paese è stato tra i primi, dopo la Cina, a essere travolto dalla crisi sanitaria, trasformatasi poi rapidamente in crisi economica con implicazioni e strascichi che perdureranno e manifesteranno effetti anche sotto il profilo sociale. Durante l’iniziale fase dell’emergenza sanitaria, molte imprese, grandi e piccole, note e meno note, in seguito alle sollecitazioni del Governo o spinte da motivazioni valoriali e di responsabilità sociale, hanno avviato produzioni di dispositivi di protezione e componenti, talvolta anche complessi, per respiratori e maschere per la ventilazione polmonare.

La risposta del sistema produttivo italiano al Covid-19

Tra queste, solo per citare alcuni casi riportati dalla stampa[2]: Bulgari, famoso marchio del lusso appartenente al Gruppo LVMH, che ha trasformato alcune linee di produzione di profumi per realizzare 6000 bottiglie al giorno di liquido disinfettante; 180 altre aziende del settore moda, tra cui marchi quali Fendi, Armani, Ferragamo, Celine, Valentino e Serapian Richemont, che si sono impegnate per produrre 2 milioni di maschere chirurgiche; Prada, che ha avviato la produzione di 80.000 camici e 110.000 maschere chirurgiche per il sistema sanitario toscano; Gucci, che ha pianificato di produrne 1,1 milioni e 55.000 camici per la medesima regione; Giorgio Armani, che ha avviato la riconversione dei propri impianti per produrre camici monouso. E ancora, aziende produttrici di alcolici che si sono impegnate per la produzione di alcool disinfettante e altre imprese che hanno avviato la produzione di barriere in plexiglas, schermi protettivi anti-contagio, thermo-scanner e materiale igienizzante.

Sono noti i casi di Lamborghini, che si è impegnata nella realizzazione di simulatori polmonari impiegati nel collaudo dei macchinari prima della loro consegna e molti altri. Tra questi, esemplare è il caso di Ferrari (Cfr. «Il caso Ferrari»), che ha collaborato con una rete di partner, tra cui l’Istituto Italiano di Tecnologie, e alcuni produttori per la realizzazione di un ventilatore polmonare, progettato in poche settimane. Inoltre, Ferrari ha utilizzato le proprie competenze di progettazione e di impiego di stampanti 3D per la produzione di valvole per respiratori, grazie anche alla collaborazione di colossi della produzione e distribuzione di articoli sportivi. Questi ultimi non hanno esitato a donare migliaia di maschere da snorkeling da riconvertire in maschere per l’ossigeno. Il denominatore comune dei progetti Ferrari, pertanto, oltre all’orchestrazione di un network di partner con radicate conoscenze nel proprio campo, è stato la possibilità della condivisione veloce e aperta di tutte le informazioni e dati necessari per un rapido successo. Un modello studiato e denominato «social manufacturing»[3].

Il caso Ferrari

Il famoso brand di macchine sportive di Maranello ha gestito, durante i primi mesa della pandemia, alcuni rilevanti progetti sull’onda emozionale di quanto stava accadendo. Un primo progetto ha portato Ferrari alla condivisione del proprio know-how di progettazione, nonché del suo network di fornitori, al fine di poter produrre velocemente valvole per le maschere dei ventilatori polmonari. Ferrari ha condiviso da subito le proprie conoscenze in merito a materiali per le valvole quali l’ABS, così come le conoscenze sulla prototipizzazione e l’utilizzo delle stampanti 3D. Uno degli aspetti vincenti del progetto è stato l’orchestrare un network di partner dotati di forti competenze in ambiti complementari, quali per esempio Solid Energy, costruttore specializzato nelle stampanti 3D, Nuovamacut, offertasi quale hub logistico per la distribuzione, Decathlon e Mares coinvolte per le conoscenze tecniche sulle maschere, mentre uno specifico partner si è occupato delle parti relative ad approvazioni e conformità di legge del prodotto inquadrato nella categoria dei dispositivi medici. 

Il team Ferrari è giunto al prototipo validato, chiamato Job One, in sole 24 ore e nei successivi tre giorni ha consolidato l’intero processo produttivo e distributivo agli ospedali. L’azienda è passata da una produzione iniziale di circa 26 valvole per giorno a 600-700 utilizzando anche la capacità produttiva del team dedicato alla Formula 1. Quest’ultima ha, inoltre, partecipato alla progettazione e produzione di un nuovo sistema per la ventilazione polmonare in sole 5 settimane, con la peculiarità di costare meno, essere più facilmente assemblabile, più affidabile e consumare meno ossigeno, gas molto difficile da reperire nel picco della pandemia.

 

Un secondo caso reso noto dalla stampa è quello di Isinnova (Cfr. «Il caso Isinnova»), innovativa start-up che ha collaborato con l’Ospedale di Chiari nel momento della massima emergenza, progettando e coordinando la produzione di valvole per respiratori, attraverso l’attivazione di un circuito di micro imprese e maker dotati di competenze specifiche nel 3D printing. Mentre Ferrari ha potuto basarsi tipicamente su un network di aziende medio grandi ben strutturate, il caso di Isinnova dimostra, invece, come determinate competenze e capacità possano essere reperite presso piccole e micro imprese, e persone fisiche. Questi partner sono spesso identificati in letteratura come «maker»: di fatto si è trattato di laboratori digitali FabLab con una o poche stampanti 3D che partecipano nel limite delle loro risorse alle reti di social manufacturing[4].

Il caso Isinnova

Un’azienda di piccole dimensioni, ma altamente votata all’innovazione come Isinnova, ha orchestrato durante i primi mesi di pandemia un efficace network di maker. L’azienda, grazie all’intuizione di un anestesista che notò le similitudini fra le maschere dei ventilatori e quelle da snorkeling della Decathlon, iniziò la produzione tramite stampante 3D della valvola, elemento essenziale della maschera. La valvola, battezzata Charlotte e oggi brevettata, così come nel caso Ferrari, è stata ideata, testata e validata direttamente sul campo in un giorno. A tal fine, Decathlon, la nota catena dedicata ad articoli sportivi, come nel caso Ferrari, rese disponibili immediatamente tutti i dati tecnici della maschera da snorkeling Easybreath e Isinnova quelli della valvola. A questo punto, allo scopo di aumentare la capacità produttiva, subentrarono diversi maker. Tramite l’utilizzo della rete e di social quali LinkedIn, Isinnova, con l’ausilio di partner quali Kilometro Rosso, un hub di aziende dedicato all’innovazione, ha chiesto aiuto a tutti coloro in grado di replicare tramite tecnologia 3D tali valvole. Isinnova ha reso disponibili in logica open i dati tecnici in suo possesso, e in pochi giorni ben 2700 maker dall’Italia, Europa e perfino dal Canada hanno iniziato a produrre le valvole, ognuno nei limiti delle proprie capacità. Per completare il prodotto, Decathlon ha, infine, donato 10.000 maschere da snorkeling Easybreath. In poche settimane migliaia di maschere e valvole sono state consegnate agli ospedali italiani e, in seguito, le maschere sono anche utilizzate in Brasile, Indonesia, Marocco, Stati Uniti, Uzbekistan ed altri Paesi del mondo.

 

Tuttavia, la maggior parte delle aziende aderenti al network Isinnova ha offerto le proprie competenze e capacità produttive, in quel periodo inutilizzate a causa del blocco imposto dai lockdown, per un periodo limitato di tempo, sulla spinta valoriale ed emozionale dettata dal momento di crisi sanitario, in particolare nelle aree più colpite del Paese. Si è trattato, in molti casi, di azioni «purpose-led»[5], ovvero guidate da una reazione spontanea e generosa spesso motivata dal desiderio di restituire valore e supportare le comunità locali e i territori nei quali sono ubicati gli impianti produttivi. In alcuni casi, tuttavia, la spinta occasionale si è trasformata in una prospettiva da valutare e perseguire, con l’obiettivo di far tesoro dell’esperienza vissuta nell’affiancare le istituzioni e i territori e provare a coltivare nuove opportunità di business, vuoi per saturare le capacità produttive provate dalla pandemia globale, vuoi per garantire la stabilità occupazionale, o ancora per provare ad affrontare nuovi mercati.

Il comparto manifatturiero bergamasco

Numerose imprese hanno, infatti, fatto leva sulla flessibilità dei propri processi interni per potere rimanere operative anche durante il periodo del lockdown del 2020. Per esplorare questo fenomeno e comprenderne le motivazioni di fondo e le condizioni abilitanti, è in corso di svolgimento una survey presso le aziende industriali attive nel territorio della provincia di Bergamo. Grazie al supporto di Confindustria Bergamo, è stato raccolto un primo campione di dati, che consentono di delineare i risultati preliminari relativi agli obiettivi di questo studio.

Figura 1 – Grado di saturazione delle linee di produzione

Grando 

Come si evince dalla Figura 1, il grado di saturazione delle linee di produzione, che nelle imprese del campione prima del Covid-19 era in media pari al 76,9 per cento, ha subito una significativa riduzione durante il lockdown del periodo marzo-aprile-maggio 2020, attestandosi al 49,7 per cento. Tuttavia, nel periodo immediatamente successivo, ovvero nella seconda metà del 2020, si è cominciato a registrare una ripresa che ha portato questo indicatore sino al 68,2 per cento, per poi raggiungere il 74,3 per cento nel 2021 (previsione). Tali valori, nell’insieme, restituiscono l’immagine di un sistema produttivo resiliente, in grado di recuperare velocemente i cali temporanei di produzione sofferti nel periodo iniziale della pandemia. I dati disponibili, inoltre, consentono di rilevare che un sottoinsieme delle imprese del campione, pari a poco meno della metà, nel corso del lockdown (periodo marzo-maggio 2020) ha dato avvio a nuove linee di prodotto pensate per offrire una risposta alle specifiche necessità emerse nel periodo in oggetto. Per esempio riguardanti sistemi di protezione individuale, dispositivi medici, nuovi prodotti e servizi di natura non sanitaria la cui domanda è esplosa durante l’emergenza Covid-19, come i purificatori dell’aria o i sistemi di intelligenza artificiale utili ad affrontare specifiche situazioni indotte dalla pandemia. Alle imprese che sono state in grado di avviare queste nuove produzioni è stato inoltre chiesto se, terminata l’emergenza pandemica, intendano continuare a produrre gli articoli e i servizi di recente introduzione sul mercato. In una scala da 1 (assolutamente in disaccordo) a 5 (assolutamente d’accordo) la media rilevata è stata pari a 3,8. Questo sembra dimostrare che le imprese in oggetto non solo sono state capaci di rispondere a uno momento di stallo dei propri mercati tradizionali lanciando nuovi prodotti e servizi, ma anche che questa esperienza è apparsa utile per apprendere come saturare tatticamente le proprie linee con produzioni che, pur non costituendo il core business dell’impresa, consentono di sostenerne la redditività complessiva.

Per quanto attiene alle motivazioni rilevanti nella decisione di lanciare un nuovo prodotto, interessante è l’analisi dei dati riportati nella Figura 2, che mette a confronto le valutazioni mediamente rilevate presso le aziende del campione che hanno avviato nuove linee di produzione con quelle di chi, invece, ha lasciato immutata la propria offerta (espresse in scala da 1 a 5).

Figura 2 – Motivazioni rilevanti nella decisione di lanciare un nuovo prodotto

Grando 

A questo proposito, appare significativo che, per le aziende che hanno avviato nuove linee di produzione, la motivazione più rilevante riguarda la velocità di sviluppo di nuovi prodotti (valutazione media: 4,2), seguita dal grado di semplicità/standardizzazione del prodotto (valutazione media: 3,7). Questi due dati, letti congiuntamente, lasciano intendere una maggiore consapevolezza di questo sottoinsieme di imprese rispetto al processo di innovazione di prodotto che, in un momento come quello della pandemia da Covid-19 e del relativo lockdown, ha richiesto una notevole tempestività d’azione, garantita tra l’altro dalla semplicità del prodotto da sviluppare. Al contrario, le aziende che non hanno lanciato nuovi articoli dimostrano di ritenere che la motivazione più rilevante per lo sviluppo di un nuovo prodotto risieda nel margine di contribuzione generabile per ora di lavoro (valutazione media: 3,8).

Sebbene il ridotto numero delle imprese sin qui coinvolte nello studio non consenta al momento di verificare la significatività statistica del confronto fra queste medie, i dati a oggi disponibili cominciano a delineare i tratti di due tipologie di imprese con una cultura e un livello di competenze produttive diverse, che incidono sulla capacità di risposta alle turbolenze dei mercati e del contesto economico generale.

Fasi e casi esemplari

Osservando le azioni realizzate dalle imprese che meglio di altre hanno saputo mitigare gli effetti della crisi e avviare interventi di recovery, è possibile identificare alcune fasi principali:

  • la fase di reazione;
  • la fase di resilienza e ripartenza;
  • la fase del ridisegno.

La fase di reazione, immediata, è stata volta a fronteggiare l’emergenza, garantire sicurezza e riavvio del business, attraverso la creazione crisis team e primi protocolli di azione, la revisione delle modalità operative per garantire sicurezza al personale, il training e gli investimenti per facilitare il distance working, una comunicazione trasparente agli stakeholder e il monitoraggio costante della liquidità e delle dinamiche di cashflow attraverso uno stretto controllo del time to recovery e del time to cash (a tal proposito si veda «Il caso Agrati»).

Il caso Agrati

Settima al mondo nel suo settore, presente in 3 continenti con una produzione di circa 8 miliardi di pezzi all’anno, Agrati opera con i suoi 12 stabilimenti produttivi, 5 centri logistici e 2400 dipendenti nel mondo delle soluzioni di fissaggio e della componentistica automotive. Già all’inizio del gennaio 2020, in virtù della presenza in Cina del Gruppo, l’azienda raccoglie i segnali allarmanti della pandemia in corso. Viene immediatamente organizzata presso l’head quarter una crisis task force, costituita da 10 persone, con l’obiettivo di monitorare l’evoluzione della situazione pandemica nei Paesi in cui l’azienda è presente, definire le priorità, assicurare uno stretto coordinamento con le unità locali, rafforzare la comunicazione e l’allineamento delle iniziative attuabili e sviluppare un processo di scenario planning.

La crisis task force elabora rapidamente un piano organizzato su cinque cluster di attenzione: persone, operations, clienti, fornitori e cash flow, definendo le seguenti priorità: 1) garantire la salute e sicurezza delle proprie persone, identificando le possibili vulnerabilità: 2) avviare il processo di rump-down e di chiusura dei propri stabilimenti ubicati nelle aree vulnerabili; 3) attivare misure in grado di assicurare liquidità di breve, massimizzano le opportunità locali rispetto a iniziative di cash pooling; 4) assicurarsi il supporto e finanziamento dai governi dei Paesi in cui è presente il Gruppo; 5) preparare un efficiente ripartenza post-crisi con l’obiettivo di emergere più forte attraverso un miglioramento delle sue performance e di capitalizzare ogni opportunità strategica emergente.

Agrati ha brillantemente superato il 2020 anche grazie alla ripresa del mercato nella seconda parte dell’anno, soprattutto nell’ultimo trimestre, riuscendo a chiudere l’anno con un risultato economico positivo nonostante un calo dei volumi del 20 per cento. Tuttavia, il 2021 si è rivelato un anno altrettanto difficile, forse ancora più sfidante del 2020, con volumi molto deboli a cui si aggiungono diversi elementi di volatilità e incertezza legati ai prezzi delle materie prime e altri fattori di produzione quali trasporti, energia e componenti.

 

La fase di resilienza e ripartenza, basata su agilità operativa e capacità di selezionare e garantire continuità al business, è stata attuata grazie alla capacità di focalizzare le priorità (selezione canali, prodotti, mercati ecc.), di allocare investimenti in base a priorità di business, di bilanciare il trade-off tra esigenze di ridondanza (scorte, nuovi fornitori ecc.) e di liquidità, di pianificare le produzioni in base alle dinamiche di effettivo sell-out di canale (a tal proposito si veda «Il caso Arstana Group»).

Il caso Arstana Group

Arstana è un Gruppo da 1,7 miliardi di fatturato che, avendo tra il 50 per cento e il 90 per cento delle proprie forniture provenienti dalla Cina, si è trovata a subire a gennaio 2020 prima uno stop in quel Paese e poi, in conseguenza dei diversi lockdown promossi nei Paesi europei e nelle Americhe, uno stop anche nei mercati di sbocco.

Il Gruppo ha quindi avviato un progetto teso alla massima resilienza, muovendo da una supply chain lean a una agile, organizzato in due fasi principali: una prima fase, di lockdown a monte e a valle, principalmente finalizzata a: 1) non perdere quote di mercato, focalizzando le proprie consegne verso i canali praticabili, quali gli e-tailers; 2) non perdere efficienza nella produzione e lungo la supply chain, ripensando alle logiche di posizionamento delle scorte di prodotto; 3) avviare un controllo strettissimo sul proprio capitale circolante e sul cash flow. Nel breve termine, si è reso necessario un approccio di planning ancor più integrato con i settori Finance e Marketing/Vendite, volto a definire più chiaramente classi di priorità sugli articoli, sui mercati, sui canali/clienti. Questo è stato attuato attraverso una attenta focalizzazione su quali articoli produrre, dove produrli, e con una rilevante azione di planning finalizzata a contenere un eventuale incremento di scorte, operando in logica make-to-order verso i clienti in grado di ricevere le consegne e attuando azioni di mitigazione del rischio attraverso iniziative di condivisione e compensazione di materie prime e prodotti tra i diversi magazzini distribuiti nelle aree servite.

Una seconda fase, post lockdown, paradossalmente assai più complessa a causa dell’incertezza legata alle difficoltà di prevedere la reazione dei propri clienti, ha avuto l’obiettivo di: 1) incrementare i volumi di vendita attraverso iniziative mirate di promozione, che guidassero la crescita dei volumi produttivi; 2) mantenere una forte attenzione al contenimento del capitale circolante e all’efficienza complessiva. Questo ha inoltre accelerato progetti di revisione del foot print, rivalutando in modo più consistente soluzioni di reshoring/near shoring, con l’obiettivo di aumentare la resilienza e l’agilità della supply chain.

Questa seconda fase si è basata su una elevata frequenza di previsione e pianificazione alimentate da analisi sul sell-out in termini di mix e volumi; una riduzione dei lead time tesa a una pronta reazione agli stimoli di mercato; l’impiego di strumenti di simulazione di scenari alternativi per modificare coerentemente l’operatività del proprio network produttivo. 

La fase del ridisegno ha avuto come obiettivo quello di valorizzare le lezioni apprese e di ripensare nuove opportunità di business attraverso interventi di reshoring e insourcing e di ridisegno delle supply chain in una prospettiva local for local, valorizzando la digitalizzazione dei processi e accedendo a nuovi canali (online), sino a giungere a operazioni di parziale riconversione industriale o di lancio di nuovi business (si veda «Il caso RadiciGroup»).

Il caso RadiciGroup

Con circa 1 miliardo di euro di fatturato e 3.000 dipendenti, RadiciGroup produce e vende intermedi chimici, tecnopolimeri e soluzioni tessili attraverso un network produttivo e commerciale che conta oltre 30 siti nel mondo. Il cuore di RadiciGroup è ubicato nell’area bergamasca e nel marzo 2020 risponde alla disperata richiesta legata all’emergenza sanitaria, lanciando una iniziativa denominata WeCare, per la realizzazione di capi di protezione a uso medico. Nel giro di solo 12 giorni seleziona quali materiali impiegare, con quali partner interagire e quali standard utilizzare; costruisce la supply chain, predispone i materiali per i primi test e la fase prototipale, ottiene la certificazione e avvia la produzione. Grazie all’esperienza e al know-how accumulato in anni di manifattura, il Gruppo in sole due settimane è stato in grado di consegnare camici chirurgici, cuffie e copricalzature agli ospedali locali, riconvertendo alcuni impianti di produzione e garantendo l’occupazione alle proprie maestranze durante e dopo il periodo di lockdown.

Dalla decisione di sostenere la comunità locale nella fase emergenziale, la produzione di dispositivi di protezione individuale (DPI) si è in seguito trasformata in una nuova linea di offerta del Gruppo, focalizzata sulla produzione di DPI sia in ambito medico sia industriale. Inoltre, a seguito di contatti con Oerlikon, fornitore di impianti leader nel mondo, nel luglio 2020 RadiciGroup viene informato della disponibilità di un nuovo macchinario, immediatamente disponibile per via di un ordine cancellato, e decide di investire 15 milioni di euro in una tecnologia di frontiera per la produzione meltblown, un tessuto con elevate capacità di filtrazione usato per le mascherine. Il nuovo impianto, consegnato a settembre, viene rapidamente installato e comincia a produrre nel dicembre 2020, aprendo nuove opportunità di business, sinergiche con il core del Gruppo, soprattutto in termini di applicazioni volte ai mercati industriali e medicali della filtrazione di gas e liquidi.

Un’azione corale e coordinata

La sintetica disamina delle esperienze qui riportate, tra le tante che, nel nostro Paese e in tutto il globo, si sono attivate per resistere all’ondata di crisi provocata dalla pandemia per assicurare continuità alle proprie attività e, dove possibile, per ricercare nuove opportunità di business, testimonia la necessità di un approccio strutturato di crisis management e di tempestivo rilancio delle attività aziendali. Chi meglio di altri ha saputo gestire la crisi, ha dimostrato la capacità di:

  • predisporre soluzioni organizzative, procedure e protocolli per identificare e fronteggiare tempestivamente l’emergenza e ogni conseguente area di discontinuità nella gestione;
  • focalizzare la propria azione e le risorse disponibili selezionando canali, mercati e prodotti da servire, elaborando sistemi di pianificazione multi-scenario e tempestive azioni commerciali guidate da informazioni raccolte sui processi di sell-out;
  • ricercare continuità nelle forniture attraverso interventi di ridisegno delle supply chain, sostegno ai fornitori strategici e presidio dei processi di procurement;
  • assicurarsi risorse finanziarie e progettare misure e sistemi di controllo relativi alle grandezze chiave, quali il time to cash e il time to recovery;
  • cogliere le opportunità emergenti facendo leva su creatività progettuale, flessibilità della propria struttura produttiva e sui nuovi spazi di mercato aperti dalla crisi.

 

Non vi è dubbio che il superamento di questa crisi, forse unica per durata, severità, pervasività ed estensione globale, necessiti di interventi di sostegno a livello nazionale e sovranazionale. In tal senso, è cruciale rammentare l’insieme di manovre che si inserisce nel quadro più ampio del PNRR e, in particolare, nelle sue missioni legate alla digitalizzazione, all’innovazione, alla competitività e alla cultura, ma anche alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica, all’istruzione e alla ricerca, per le quali è previsto uno stanziamento che sfiora i 150 miliardi di euro[6]. Un’occasione unica per rilanciare e ammodernare il sistema produttivo di un Paese, l’Italia, che si colloca al secondo posto in Europa e al settimo al mondo per il suo sistema industriale. La visione è chiara e gli intenti coerenti con le necessità del Paese. L’auspicio è che alla ingente dotazione di risorse rese disponibili possa poi corrispondere una concreta capacità di execution da parte dei soggetti pubblici e privati identificati quali attuatori delle linee programmatiche del Piano.

Come per tutte le crisi che il sistema economico-sociale ha dovuto affrontare, anche questa selezionerà le imprese che meglio avranno saputo mitigarne gli effetti, e che saranno in grado di ripartire grazie a solide basi finanziarie e manageriali, valorizzando le lezioni apprese e puntando su una ricostruzione che faccia leva sulla concretezza e la creatività nella ricerca di nuove opportunità di business. I rilevanti impatti che la crisi attuale ha già evidenziato e i riflessi che riverbererà mettendo alla prova la tenuta del sistema sociale di molti Paesi, tuttavia, rafforzano la convinzione che sia necessario sostenere una rinascita che ponga al centro le persone, nella quale la ripresa economica non venga realizzata a scapito della solidarietà sociale, ma che la prima sia il mezzo per affermare la seconda.

In sintesi

  • Nel corso del 2020-2021, il sistema produttivo italiano, grazie al dinamismo di singole imprese o tramite la creazione di network, si è rivelato resiliente e in grado di recuperare velocemente i cali di produzione sofferti nel periodo iniziale della pandemia.
  • Nei mesi di lockdown diverse imprese hanno dato avvio a nuove linee di prodotto (dispositivi di protezione individuale, dispositivi medici, purificatori dell’aria, prodotti e servizi di natura non sanitaria la cui domanda è esplosa durante l’emergenza Covid-19) che sono poi state integrate nella produzione aziendale.
  • Le imprese che meglio di altre hanno saputo mitigare gli effetti della crisi e avviare interventi di recovery, hanno agito seguendo tre fasi principali: di reazione alla pandemia, volta a fronteggiare l’emergenza e garantire sicurezza e riavvio del business; di resilienza e ripartenza, basata su agilità operativa e capacità di selezionare e garantire continuità al business; di ridisegno, per valorizzare le lezioni apprese e ripensare nuove opportunità di business.

 

3

M. Hamalainen, J. Karjalainen, «Social Manufacturing: When the Maker Movement Meets Interfirm Production Networks», Business Horizons, 60(6), 2017, pp. 795-805.

5

G. Ferrigno, V. Cucino, «Innovating and Transforming During Covid-19: Insights from Italian Firms», R&D Management, 51(4), 2021, pp. 325-338.