E&M

2020/5

Stefano Basaglia Zenia Simonella

1998-2007: tra cambiamenti interni e New Economy

Scarica articolo in PDF

Questo secondo articolo della mini-serie dedicata ai trent’anni di Economia e Management si concentra sul decennio che va dal 1998 al 2007: è il decennio durante il quale, il 19 marzo del 2004, scompare prematuramente Claudio Dematté fondatore e primo Direttore della rivista. Il suo successore è Vincenzo Perrone (già Vicedirettore dal 1989), che rimarrà alla direzione fino al 2013. In questo decennio, quindi, si ha non solo un cambiamento dell’ambiente sociale, culturale ed economico, ma anche un cambiamento della rivista. Il passaggio dalla Direzione del fondatore a un altro Direttore è sempre un passaggio importante per l’identità e l’immagine di una rivista.

Già a partire dal numero 5 del 1999, lo stesso Dematté aveva deciso, insieme all’editore del tempo (la Etas del Gruppo Rizzoli), un cambiamento nei contenuti e nella grafica. Tra i cambiamenti più rilevanti: una maggiore messa a fuoco di temi di attualità, una nuova impaginazione con immagini e figure, uno spazio curato da quelle che erano le «Aree SDA Bocconi» (gruppi di docenti affiliati alla Scuola omogenei per disciplina e/o tematica), l’introduzione di una rubrica della posta, un’interfaccia con il sito web della rivista. Dematté nel suo editoriale precisa le ragioni di tali decisioni[1]:

«C’è, nel nostro paese, qualcosa di strano nel modo di affrontare la questione della formazione della classe dirigente: come minimo c’è una latitanza o una grave sottovalutazione. […] La latitanza su questo tema è ancora più singolare se si considera che non solo per tutti i mestieri, ma anche per alcune attività che mestiere non sono, è previsto un iter formativo, spesso obbligatorio, composto di teoria e di pratica. […] Altrettanto non accade per l’attività di direzione: per lo più si dà per scontato che a essa si pervenga per diritto di proprietà (l’esercizio imprenditoriale d’impresa propria), diretto o ereditato, oppure attraverso un semplice apprendistato sul campo, a gradini, senza necessità di una formazione strutturata. […] Le carenze che si registrano sul fronte delle istituzioni di management si riflettono anche nell’editoria di settore, quella libraria e quella periodica. In quest’ultimo campo poche sono le riviste sopravvissute alla latitanza della domanda. A giudicare dai dati, chi si prepara a svolgere attività di direzione, non solo investe poco o nulla sulla propria formazione attraverso la partecipazione a programmi finalizzati a questo scopo, ma legge anche poco. Forse anche per colpa dell’offerta che fatica a trovare un equilibrio fra il rigore “scientifico” delle proprie proposte e la necessità di renderle leggibili da chi ha poco tempo e molte cose a cui pensare. La reimpostazione, grafica ma anche editoriale, della nostra rivista […] risponde a una riflessione all’interno del comitato editoriale sui processi attraverso i quali gli imprenditori, i manager e coloro che si preparano a diventarlo lavorano sullo sviluppo delle proprie competenze gestionali. […] La reimpostazione della rivista […] è, e vuole essere, anche un’occasione per riflettere ancora una volta – dopo le molte discussioni e i molti progetti degli anni Settanta e Ottanta – sia sulla sottovalutazione dell’importanza della formazione manageriale sia sulla debolezza del sistema di offerta. […] In queste circostanze – e a maggior ragione in una fase di grandi e repentini cambiamenti – il dirigere presuppone un robusto bagaglio culturale, essenziale per cogliere e interpretare i fenomeni entro i quali si deve collocare l'azienda, bagaglio che può maturarsi attraverso diversi percorsi formativi o anche diverse esperienze di vita. Ma per dirigere un'organizzazione oggi occorrono anche la conoscenza e la capacità di usare una serie di strumenti, concettuali e pratici, specifici alla funzione del dirigere, la cui assimilazione richiede sia studio sia esercizio. […] Finche? la funzione del dirigere è (e può essere) concepita come un diritto-privilegio, per proprietà o per attribuzione nepotistica o clientelare, ed e? strutturalmente poco complessa o coinvolge interessi circoscritti, chiunque abbia intelligenza, carattere forte e una buona dose di senso comune può pensare di esercitarla anche senza una formazione specifica. Ma quando le condizioni ambientali (per esempio la pressione concorrenziale) o la complessità del compito (per la dimensione o l'articolazione dell'azienda) vanno oltre certi limiti, la funzione del dirigere acquista una forte dimensione professionale che richiede il possesso di un bagaglio di conoscenze e di strumenti come qualsiasi altra professione […].  La formazione per lettura si colloca in posizione centrale […] i libri e le riviste rimangono uno strumento indispensabile per costruire le nostre mappe mentali».

L’editoriale di Dematté era del 1999; il quadro delle conoscenze e competenze della classe dirigente italiana resta critico ancora oggi: in base a uno studio del 2015, i dirigenti e i professionisti italiani che non leggono neppure un libro all’anno sono il 38,1 per cento, contro il 17 per cento di quelli spagnoli e francesi[2].

In seguito alla scomparsa di Dematté, Perrone assume la direzione a partire dal numero 3 del 2004, ma è con l’editoriale del numero 1 del 2005 che traccia alcune linee guida. In particolare, definisce l’obiettivo della rivista, precisa il target di riferimento e il modo in cui soddisfare bisogni e aspettative dei lettori[3]:

«Offrire a quanti operano nelle imprese, pubbliche e private, uno strumento di aggiornamento professionale, di crescita culturale e civile, basato su contenuti scientifici ma orientato alla soluzione di problemi concreti e importanti per i propri lettori. Il tutto espresso in uno stile facile e accattivante che possa favorire la lettura. […] Conciliare […] rigore scientifico, rilevanza per la pratica e generalizzabilità a diversi contesti aziendali è un piccolo miracolo che non sempre riesce».

Inoltre, focalizzando l’attenzione alle caratteristiche di «quanti operano nelle imprese», precisa:

«Sapere chi siete e cosa volete è infatti estremamente importante per chi, come noi, fa una rivista di management in un paese come il nostro. Un paese con una struttura economico-produttiva peculiare e in continua trasformazione. […] Un paese nel quale il peso della grande impresa e dei manager che ne compongono i ranghi è andato a diminuire progressivamente nel tempo, nel quale contano molto i piccoli imprenditori e i professionisti, la pubblica amministrazione e le banche, con le loro peculiarità regolamentative, gestionali e organizzative. Puntare a un comune denominatore tra realtà così diverse tra loro non è facile, e a volte ci è parso più conveniente differenziare i contenuti in modo da avere contributi capaci di parlare a un particolare segmento di lettori; anche a costo di perdere in attrattività generale e di ridurre la compattezza dell’offerta per ciascun numero. Una scelta comunque consapevole, fatta com’è al fine di continuare a essere una rivista orgogliosamente italiana, sia pure con l’ambizione di rispettare standard di qualità internazionali, capace di parlare a lettori reali con interessi diversi».

Quindi, E&M si propone di essere una rivista professionale di management in grado di coniugare rigore scientifico e rilevanza pratica e che si rivolge a un pubblico di lettori italiani.

Abbiamo già visto che la linea editoriale di una rivista influenza sia i contenuti sia la sua veste grafica. A questo proposito la Figura 1 presenta alcune copertine che segnano un cambiamento nel corso del decennio (la prima, del gennaio 1998; la copertina del numero 5 del 1999, che segna un cambiamento grafico; il numero 1 del 2000 in cui si nota un aggiustamento nella testata; il numero 6 del 2003 in cui il richiamo a SDA Bocconi diventa più diretto e compare un nuovo logo; il numero 3 del 2004, il primo firmato da Vincenzo Perrone e il primo in cui compare il richiamo al fondatore Claudio Dematté). La Figura 2, invece, confronta alcuni lay-out interni.

Figura 1 Alcune copertine di Economia & Management

7_30anni

Figura 2 Alcuni esempi del lay-out interno di Economia & Management

8_30anni

Lo Zeitgeist tra la metà degli anni Novanta e la metà degli anni Duemila

Il periodo è segnato, a livello internazionale, da tre figure politiche: da una parte, Bill Clinton, Presidente degli Stati Uniti dal 1993 al 2001, e Tony Blair, Primo Ministro inglese dal 1997 al 2007; dall’altra da George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti dal 2001 al 2009. Clinton e Blair portarono al potere una nuova sinistra, la cosiddetta «terza via» che non contestava più il mercato e continuava, in campo economico, nel solco tracciato dai loro predecessori[4]. George W. Bush riportò al potere la destra conservatrice e, nel periodo successivo all’attentato alle Torri Gemelle, promosse, in accordo con Blair, la cosiddetta «guerra al terrore». Allargando lo spettro oltre il mondo anglo-americano, possiamo aggiungere: Angela Merkel, cancelliere della Repubblica Federale di Germania dal 2005; e Vladimir Putin, Presidente della Federazione Russa dal 1999 al 2008 per poi ritornarvi nel 2012.

Un film e una serie televisiva possono rendere l’idea dello spirito dei tempi.

Il film è Matrix dei fratelli Wachowski (1999), film culto come Blade Runner, Guerre Stellari e Metropolis. Il film catturava l’atmosfera di paranoia del millennio che si stava concludendo e di timore per il nuovo che si stava affacciando; gli effetti speciali facevano intuire le nuove potenzialità della tecnologia e della computer graphics e animation. L’uscita di Matrix avviene, infatti, nel pieno della bolla speculativa legata a quella che veniva definita la «New Economy» in cui la mistica tecnologica dominava l’attenzione dei media e l’immaginario dei cittadini[5], in cui i marketplace fisici si trasmutavano in marketspace digitali e il termine «virtuale» imperava nel discorso pubblico insieme alla rilevanza sociale ed economica delle ICT[6]. In Matrix contenuto, forma e modalità distributive sono l’emblema della cosiddetta società dell’informazione.

La serie televisiva è Sex and the City. Ideata da Darren Star sulla base dell’omonimo romanzo di Candace Bushnell per HBO, è stata trasmessa tra il 1998 e il 2004. I suoi protagonisti sono quattro amiche, il sesso e la città di New York, come recita il titolo. Sex and the City depoliticizza il femminismo e la diversità, trasformando il concetto di equità degli anni Settanta in qualcosa di differente: per la prima volta si pone il tema dell’emancipazione delle donne come un tema legato all’indipendenza nei comportamenti, nel lavoro e nei consumi. In particolare, il legame tra identità e consumo diventa uno dei tratti caratteristici della serie. Dice la protagonista Carrie Bradshow in una puntata della sesta stagione: «Io voglio i miei soldi là dove li posso vedere: tutti appesi nel mio armadio».

A livello internazionale alcuni eventi chiave sono stati: la nascita dell’euro (1999) e la sua entrata in circolazione (2002); l’attentato alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001 e la successiva guerra al terrore in Afghanistan e Iraq; gli accordi di Doha del WTO del novembre 2001 e l’ingresso della Cina nel WTO l’11 dicembre del 2001; l’allargamento a Est dell’Unione Europea (2004-2007).

A livello nazionale è rilevante citare l’alternanza tra governi di centro-sinistra e governi di centro-destra: i governi (Prodi I e II, D’Alema e Amato) della coalizione di centro-sinistra nel periodo 1996-2001 e 2006-2008; i governi (Berlusconi) guidati dalla coalizione di centro-destra. Rimanendo sul piano politico-istituzionale, possono essere citati: la nomina di Romano Prodi a presidente della Commissione Europea (1999-2004); l’elezione di Carlo Azeglio Ciampi a Presidente della Repubblica (1999-2006) e la successiva elezione di Giorgio Napolitano (2006-2015). Sul piano delle politiche è il caso di citare: lo sforzo per risanare le finanze pubbliche in vista dell’ingresso, fin dalla sua nascita, nell’euro (1996-1998); l’approvazione del cosiddetto «pacchetto Treu» che introduce la flessibilità e la precarizzazione del mercato del lavoro (1997); l’approvazione della riforma Bassanini della Pubblica Amministrazione (1997-1998); l’emanazione della cosiddetta «legge Draghi» sull’intermediazione finanziaria (1998); l’approvazione di ben due leggi sull’immigrazione (la Turco-Napolitano del 1998 e la Bossi-Fini del 2002). A questo proposito, inizia a emergere il tema della diversità non solo in relazione alle dinamiche legate all’invecchiamento della popolazione, ma anche per il rafforzamento dei processi migratori verso l’Italia[7].

 

Il contesto sociale ed economico in Italia

Il Censis[8] suddivide il decennio in due sotto-periodi: un primo sotto-periodo (1997-2003) definito «La società molecolare» e un secondo sotto-periodo (2004-2008) sintetizzato come «Il rallentamento dell’economia e le minoranze attive».

Il primo periodo veda la centralità dell’individuo e della sua autonomia rispetto a qualsiasi dimensione collettiva che si concretizza in una diversificazione e frammentazione dei comportamenti, in una personalizzazione dei bisogni e della politica. In particolare, si nota la mancanza di un collante sociale e di «una classe che abbia cultura e ambizioni di guida dello sviluppo»[9].

Il secondo periodo è caratterizzato, invece, da una spaccatura tra, da una parte, una maggioranza ripiegata su se stessa in cui si va intensificando un disagio economico e sociale che fa emergere piccole paure e un bisogno di sicurezza; dall’altra, da una serie di minoranze attive, meglio attrezzate ad affrontare la globalizzazione, accomunate da un approccio positivo verso l’innovazione e il cambiamento culturale, sociale e tecnologico.

Da un punto di vista macro-economico (Tabella 1), l’Italia in quegli anni vede una crescita del PIL con una media del 2,1 per cento nel periodo 1998-2001 (con un picco di +3,7 per cento nel 2000), dello 0,7 nel periodo 2002-2005 (con un minimo di crescita praticamente pari a zero nel 2003) e una media dell’1,8 per cento nel periodo 2005-2008; un rapporto deficit/PIL al di sotto o intorno al 3 per cento nel periodo 1988-2002 (con un quasi pareggio -0,9 per cento nel 2000), intorno al 3,5 per cento nel biennio 2003-2004, al 4,4 per cento nel 2005 per poi scendere al 3,3 per cento nel 2006 e all’1,5 per cento nel 2007; il rapporto tra il debito pubblico e PIL diminuisce progressivamente dal 114,9 per cento del 1998 al 103,6 per cento del 2007. Il tasso di inflazione rimane tra l’1,7 per cento del 1999 e il 2 per cento del 2003 con una media del 2,3 per cento; Il tasso di disoccupazione scende progressivamente dall’11,3 per cento del 1998 al 6,1 per cento del 2007.

Tabella 1L’Italia da un punto di vista macro-economico

9_30anni

Fonte: International Monetary Fund, World Economic Outlook Database, September 2011.

 

Passiamo ora al tipo di attori che popolavano il sistema economico nel periodo 1998-2007[10].

Il sistema economico di questo periodo è il risultato di quattro fenomeni: le privatizzazioni culminate nel 2000 con la messa in liquidazione dell’IRI, l’affermazione di nuovi imprenditori, la riorganizzazione dei vecchi gruppi familiari, il vincolo dell’euro e il ripensamento del modello di sviluppo. In particolare, veniva meno a partire dalla seconda metà degli anni Novanta la possibilità di basare lo sviluppo sull’interrelazione tra svalutazione competitiva, deficit/debito e inflazione. La risposta degli attori economici ha avviato, tra il 1998 e il 2001, operazioni di acquisizione, fusione e concentrazione a livello nazionale e internazionale. Inoltre, in questi anni si ripropone in maniera ancora più pressante il tema delle dimensioni e degli investimenti in ricerca e sviluppo al fine di rafforzare il capitale umano dei singoli attori e del sistema economico italiano considerato nel suo complesso.

In particolare, c’è la tendenza ad abbandonare il mito del «piccolo e bello» e dei distretti industriali e a recuperare l’importanza della grande impresa. Alcuni focalizzano l’attenzione su una forma d’impresa intermedia tra quella dei distretti industriali e la grande impresa: si tratta delle cosiddette «multinazionali tascabili», imprese di medie dimensioni orientate all’internazionalizzazione espressione di un quarto capitalismo, che seguiva il primo capitalismo della grande impresa privata, il secondo capitalismo degli enti pubblici e delle imprese a proprietà statale, il terzo capitalismo delle piccole e medie imprese e dei distretti[11]. Tra le imprese del quarto capitalismo: Merloni, Tod’s, Luxottica, Brembo, Pininfarina. Queste imprese andavano ad aggiungersi a quelle rimaste del primo capitalismo (Fiat, Pirelli), quelle uscite dal secondo capitalismo (Telecom Italia), quelle rimaste, in ottica nuova e diversa, nel secondo capitalismo (da una parte, Finmeccanica, Eni, Enel; dall’altra Poste Italiane e Ferrovie dello Stato), alla miriade di micro e piccole imprese che popolavano il terzo capitalismo e a quelle imprese che decisero di diversificarsi verso il settore dei servizi (Edizione della famiglia Benetton). Inoltre, non bisogna dimenticare il mondo della cooperazione, delle municipalizzate, delle assicurazioni (Generali, Unipol) e ciò che accade nel settore bancario. In particolare, in questo settore, tra la fine degli anni Novanta e il 2007 abbiamo l’avvio del processo che porterà alla nascita di due dei campioni nazionali, ossia Intesa Sanpaolo e Unicredit. Infine, il processo di privatizzazione e liberalizzazione di alcuni mercati si associa alla nascita di agenzie settoriali di regolamentazione.

 

Il dibattito manageriale

Il discorso manageriale in questo periodo è fortemente influenzato dallo sviluppo delle innovazioni, di prodotto e di processo, basate sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Internet e il Word Wide Web iniziano ad acquisire una dimensione rilevante alla comparsa dei primi browser (Mosaic nel 1993, Navigator 1.0 nel 1994, Explorer 1.0 nel 1995). Vengono coniati termini quali New Economy, Net Economy, e-business, Information Society e Information Age. Queste innovazioni sono trasversali rispetto ai settori e alle differenti discipline manageriali; le industrie culturali e i mass media sono però i primi settori a essere investiti dalla diffusione del digitale e dei relativi dispositivi. Diventano popolari i media elettronici, il commercio elettronico, le banche virtuali. Nuove imprese nascono o ritornano in auge e diventano modelli di riferimento: Amazon (fondata nel 1994 da Jeff Bezos, al quale sarà dedicata la copertina di uomo dell’anno dalla rivista americana Time nel 1999), Apple dopo il ritorno di Steve Jobs nel 1997, Google fondata nel 1998 da Larry Page e Sergey Brin, Facebook fondato nel 2004 da Mark Zuckerberg. Alcuni libri anticipano e diffondono i principi della nuova economia: Competing in the Age of Digital Convergence (1997) di David Yoffie, Information Rules di Carl Shapiro e Hal Varian (1998), Competing On Internet Time: Lessons From Netscape and Its Battle With Microsoft di Michael Cusumano e David Yoffie (1998). L’entusiasmo accademico, del mondo della consulenza e dei practitioner porta a una vera e propria bolla intorno a Internet e al mondo «.com»[12].

In questo contesto di novità, sul fronte sempreverde delle fonti del vantaggio competitivo e delle determinanti del successo delle imprese andarono consolidandosi due macro-filoni di ricerca: uno rivolto all’esterno, ossia all’ambiente organizzativo; e uno rivolto all’interno, ossia alle risorse e alle competenze delle organizzazioni. Il primo filone alla classica analisi dell’ambiente competitivo alla Porter ne, aggiunse un’altra più ampia e di matrice sociologica. Divennero così popolari, tra altri, il tema della selezione darwiniana delle organizzazioni più adatte da parte dell’ambiente e il tema dell’ambiente come fonte di legittimazione sociale.

Il secondo filone, invece, concentrava l’attenzione sull’individuazione e lo sviluppo, da parte delle organizzazioni, di risorse e competenze chiave e distintive. L’analisi di queste competenze venne anche visto come una delle determinanti delle scelte di make-or-buy, delle decisioni di riduzione/modifica delle dimensioni e dei confini organizzativi (diventano popolari termini quali outsourcing, downsizing, delayering) e della costruzione e gestione di catene/reti del valore e dell’offerta globali (per esempio, attraverso l’offshoring). In questo ultimo ambito, divenne popolare, tra le altre, la teoria dei costi di transazione proposta dall’economista Oliver Williamson che sarà insignito del premio Nobel per l’economia nel 2009.

Infine, il discorso manageriale fu investito da alcuni scandali che portarono al centro dell’attenzione il tema dell’etica. A livello internazionale fece scalpore, nel 2001, lo scandalo Enron. In Italia, ma con un’eco anche internazionale, destarono stupore lo scandalo Cirio del 2002 e Parmalat del 2003.

 

Il ruolo di Economia & Management

Gli editoriali

Nel periodo 1998-2007 sono stati pubblicati 61 editoriali: 36 a firma di Claudio Dematté, 13 di Vincenzo Perrone e 4 di Andrea Sironi; i restanti sono stati scritti da Bruno Busacca, Mario Monti, Fabrizio Pezzani, Severino Salvemini, Giuseppe Soda e Gianmario Verona. A partire dalla direzione di Perrone gli editoriali non sono più scritti solo dal Direttore. Questo comporta un ampliamento dei temi che vi vengono affrontati e un approccio più tecnico-specialistico nel modo di svilupparli.

I macrotemi più frequenti degli editoriali (Figura 3) riguardano[13]: la governance, i modelli d’impresa e i fondamenti del management (23 per cento); la competizione tra imprese e le relative strategie (13 per cento); il sistema-Paese (11 per cento); la nuova economia (10 per cento); le patologie economiche, finanziari e sociali (10 per cento); il lavoro, il capitale umano e le organizzazioni (10 per cento); la concorrenza e la regolamentazione dei mercati (8 per cento); gli intermediari finanziari e la finanza (8 per cento). Le parole più frequenti sono[14]: «imprese» e «impresa», «mercato» e «mercati». Intorno a questi due poli («l’impresa e il mercato») si sviluppano molti dei macrotemi degli editoriali.

Figura 3 I temi degli editoriali

10_30anni

 

Il decennio si apre con un editoriale di Dematté sulla natura e sulla relazione tra funzione manageriale e imprenditoriale[15]. A partire dalla pubblicazione di un libro di Pier Luigi Celli, L’illusione manageriale (1997), Dematté sviluppa una riflessione sul concetto di leadership, sostenendo come l’aspetto tecnico non sia sufficiente per gestire bene l’impresa:

«è importante vedere la strada da percorrere, ma altrettanto importante la capacità di creare dei processi di identificazione organizzativa, di coinvolgimento emotivo, di entusiasmo pionieristico, così come la capacità di vincere le paure e le angosce di fronte ai cambiamenti di rotta»[16].

Per Dematté bisogna andare oltre l’analisi e la razionalizzazione delle informazioni, compiendo valutazioni più ampie per le quali è necessario avere «sensibilità, equilibrio, saggezza e capacità di soppesare azioni e reazioni complesse»[17]. Ecco perché diventa essenziale «un management più profondo e più articolato di quello che si nasconde sotto le pretese del management scientifico»[18].

Nel 1999, Dematté riprende un altro tema a lui caro – la strategia d’impresa – ma, questa volta, in collegamento con la funzione finanziaria. Il rischio paventato da Dematté è che

«i nostri imprenditori, impegnati a fondo nell’attività industriale e commerciale, pur mantenendosi competitivi sul piano dei prodotti, finiscano con il trovarsi spiazzati, rispetto ai concorrenti di altri paesi, proprio per la loro incapacità di usare la funzione finanziaria in modo coordinato con le altre funzioni aziendali per un corretto posizionamento nella nuova dinamica concorrenziale»[19].

A partire dall’editoriale pubblicato sul primo numero dell’anno 2000 Dematté ne inaugura una serie sul tema della New Economy, discutendo del modo in cui il nuovo strumento cambierà il modo di organizzare le attività produttive di beni materiali e immateriali, e, più in generale, i modelli d’impresa e i modi di competere sul mercato[20]. Quest’ultimo è un aspetto che approfondirà nell’editoriale successivo, «Come cavalcare l’e-business»[21], dove analizza le trasformazioni delle imprese alla luce «della rivoluzione tecnologica»; in chiusura dell’editoriale, Dematté sottolinea la necessità per le imprese di dotarsi di un sistema formativo integrato per gestire in maniera efficiente tutte le informazioni:

«Troppi sottovalutano il ruolo centrale dei sistemi informativi. Una strategia Internet – fosse anche centrata solo sull'ottimizzazione del canale comunicativo e a maggior ragione se intesa a realizzare le transazioni on line – non coglie che una porzione limitata del potenziale se non si basa su un sistema informativo integrato all'interno – del tipo Enterprise Resource Planning (ERP) e interconnesso in automatico verso tutti coloro che la tecnologia Internet consente di integrare. Una buona strategia Internet che manchi di questa piattaforma informativa integrata è destinata a bloccarsi»[22].

Gli editoriali successivi[23] affrontano lo stesso argomento da angolature diverse: non limitandosi ad analizzare il tema dell’e-commerce, ma trattando il modo in cui le imprese si possono (e si devono) adattare al nuovo contesto.

Riprenderà la questione l’anno successivo nell’editoriale «L’altalena degli umori verso le imprese della new economy: la necessità di una bussola»[24], ma con toni diversi: nel frattempo, infatti, la bolla speculativa di Internet era scoppiata e le aziende che si erano buttate nel settore avevano subìto un duro colpo, spesso andando incontro al fallimento. Per Dematté, lo stato di generale euforia e di ottimismo che aveva caratterizzato il sorgere della New Economy era stato seguito da un periodo di crisi, nel quale «i risultati promessi dalle nuove imprese, o attesi dal mercato anche se non promessi, non si sono realizzati o hanno subito ritardi e ridimensionamenti»[25]. Ciò era avvenuto perché «gli scenaristi hanno tracciato profili di espansione dimostratisi fuori da ogni realtà»[26].

Dematté sostiene che le aziende dovrebbero rimettersi in moto, analizzando punti di forza e di debolezza della loro offerta e i motivi di resistenza all’accettazione del prodotto/servizio da parte del cliente; è necessario che lavorino per la costruzione della credibilità del loro marchio, ma anche per controllare i costi e gli investimenti, dove serve maggiore oculatezza e riflessione. Insomma, «è necessario riprendere la marcia verso l’e-business, con la stessa fede nelle sue potenzialità, ma sapendo che i frutti non sono dietro l’angolo»[27].

Inoltre, Dematté affronta tre temi d’attualità del tempo. Il primo rientra nel campo della governance e riguarda l’acquisizione di Telecom Italia da parte della Pirelli[28]. Il caso Pirelli-Telecom è visto da Dematté come la riproposizione di un principio espresso da un famoso banchiere d’affari della «Prima Repubblica»: «Le azioni si pesano, non si contano». Per Dematté questo è un problema perché le imprese[29]:

«hanno bisogno – per affrontare l’ampliamento del teatro competitivo – di darsi dimensioni maggiori con acquisizioni e operazioni straordinarie non finanziabili con il flusso di cassa corrente e nemmeno con i soli mezzi propri degli attuali azionisti di controllo. [...]Sembra abbastanza chiaro che in futuro solo gli imprenditori che sapranno dare al mercato dimostrazione di competenza e di imprenditorialità e contemporaneamente anche prova di rispettare i principi di tutela degli azionisti esclusi dal controllo riusciranno a ottenere i capitali di rischio necessari per crescere».

Gli altri due riguardano il tema delle patologie economico-finanziarie e fanno riferimento ai casi Enron, Parmalat e Cirio[30]. A proposito di Enron Dematté scriveva[31]:

«Enron era uno dei casi più studiati e acclamati nelle business school statunitensi. Lo si presentava come esempio di strategia innovativa, precursore di un nuovo modello di impresa, reso possibile – se non obbligato – dalla spinta delle nuove tecnologie informatiche e telematiche (ITC) e dalla liberalizzazione dei mercati. […] Con queste premesse il titolo ha iniziato la sua cavalcata, che sembrava inarrestabile. Nessuno si era accorto che la vecchia azienda aveva cambiato non solo modello di gestione, ma anche natura. Da azienda manifatturiera era diventata soprattutto un intermediario. [… ;N]essuno si era accorto che il management della società, lungi dal seguire le pratiche di gestione che sarebbero state indispensabili, data la nuova e diversa natura, aveva imboccato una strada senza sbocco anche per un’impresa industriale: quella di imbrogliare i conti, dapprima per soffiare sul corso dei titoli, poi per non essere travolti dalla caduta. La storia successiva è nota: l’azienda è crollata, gli azionisti hanno perso tutti i loro risparmi; i dipendenti sono rimasti senza lavoro, ma anche senza le loro pensioni, dato che queste erano state prevalentemente investite in azioni della società; le banche hanno perso i loro crediti; il mercato azionario americano è stato scosso da una crisi di fiducia che richiederà tempo e interventi robusti per rientrare».

Dematté vide un legame con i casi Parmalat e Cirio. In particolare, nell’analizzare questi due ultimi casi mise in evidenza come il principio della massimizzazione del valore per gli azionisti se portato alle estreme conseguenze ha effetti degenerativi[32]:

«La pressione esclusiva, eccessiva e ossessiva verso la massimizzazione del valore degli azionisti, rinforzata da sistemi aggressivi di incentivi e di sanzioni, ha prodotto due risultati deleteri: 1. la disattenzione verso gli interessi degli altri stakeholder (creditori, obbligazionisti, dipendenti); 2. uno slittamento “etico” di molti responsabili della gestione che si e? tradotto in vere e proprie espropriazioni di valore, dapprima nei confronti degli stakeholder, ma poi anche degli stessi azionisti esterni, quelli privi dei poteri di gestione».

L’editoriale di Vincenzo Perrone «La fiducia è una cosa seria», pubblicato sul numero 3 del 2004, riprende il macrotema «patologia economico-finanziaria»: ripartendo dal caso Parmalat viene analizzato il ruolo della fiducia per il funzionamento di «una sana economia e di una società nella quale sia bello vivere»[33]. Infine, sempre riguardo alle patologie del sistema economico e finanziario, nell’editoriale del numero 1 del 2006 Andrea Sironi definisce il 2005 come «l’annus horribilis delle banche italiane», con riferimento ai casi di Banca Antonveneta e BNL[34]:

«La gestione di questi eventi ha pesantemente coinvolto l’organo di vigilanza italiano, fortemente criticato per il proprio operato che non può definirsi da arbitro indipendente dalle parti in causa. Questi eventi hanno contribuito a determinare un clima di crescente criticismo nei confronti dell’operato del sistema bancario, il quale ha indubbiamente subito un notevole danno di tipo reputazionale».

Sul fronte del «sistema-Paese», la rivista affronta non solo il tema degli scandali, ma anche quello della competitività. In particolare si occupa più direttamente del tema dei distretti[35] e del Made in Italy[36], con una forte attenzione al territorio come asset strategico. Nell’editoriale a firma di Severino Salvemini «Quando ‘carmina dant panem’: la cultura come risorsa economica»[37] si sottolinea l’idea di trattare la cultura come un fattore su cui puntare per la crescita attraverso l’implementazione di politiche ad hoc. In generale, negli editoriali scritti tra il 2005 e il 2007, si rileva una forte attenzione al tema dei beni simbolici, immateriali o intangibili e all’importanza di una loro valorizzazione per favorire lo sviluppo economico del Paese.

Il tema «lavoro, capitale umano e organizzazioni» viene affrontato da due angolature. La prima[38] analizza il tema del capitale umano come fattore strategico per la crescita della produttività, con particolare attenzione alla quantificazione, rilevazione e valutazione della performance. La seconda[39] si sofferma su questioni che hanno a che vedere più con gli individui, le loro relazioni e il loro benessere: il ruolo del capitale sociale, delle sue potenzialità, i rischi e le possibili patologie connesse; l’età, la carriera e il rapporto tra generazioni; le trasformazioni del lavoro, lette anche alla luce dell’instabilità e della precarietà, che spingono gli studiosi a interrogarsi sul senso che il lavoro assume in questo nuovo contesto. Non solo è necessario condurre una «ricerca seria che porti elementi utili per decidere non solo delle forme e delle regole che devono governare le condizioni alle quali un lavoro lo si trova, lo si mantiene, lo si cambia o lo si lascia». Ma bisogna anche «saper prestare nuovamente attenzione alle qualità intrinseche dell’esperienza di lavoro e alla qualità dell’ambiente organizzativo nel quale quella esperienza si realizza»[40].

Infine, sul fronte strategico-competitivo, viene data importanza al tema dell’innovazione e della sua gestione, dove si comincia a discutere di modelli di collaborative innovation, di customer-centricity e di tecnologia[41].

Gli articoli

Nel periodo 1998-2007 sono stati pubblicati 694 articoli[42]. Il numero di autori coinvolti, anche più di una volta, è di 1014. Di questi il 71 per cento sono uomini e il 28 per cento donne. Le parole più usate nella titolazione degli articoli sono «impresa», «management», «Italia», «valore», «analisi», «innovazione», «opportunità». La Figura 4, invece, mostra i termini più frequenti degli abstract degli articoli[43]. Si nota una certa specularità rispetto ai titoli dato che le parole più frequenti sono: «imprese» e «impresa», «mercato», «sviluppo», «gestione» e «management», «sistema» e «sistemi», «modello», «analisi».

Figura 4 Le parole più frequenti negli abstract degli articoli

11_30anni

Le parole più frequenti nei titoli e negli abstract riflettono il fatto che l’attore prediletto dagli autori della rivista sia l’impresa (in Italia) e la sua gestione. Nel fare questo, l’ottica prevalente è tendenzialmente favorevole al mercato, all’innovazione e al cambiamento.

Al di là delle parole più ricorrenti nel titolo e negli abstract, sono categorizzati gli articoli lungo due dimensioni[44]. La prima riguarda la disciplina di riferimento. Le tre discipline più frequenti (Figura 5) sono state: strategia, management ed economia aziendale (174 articoli pari al 25,1 per cento del totale), organizzazione aziendale (118 articoli pari al 17 per cento del totale) e finanza e intermediari finanziari (109 articoli pari al 15,7 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente, marketing, economia politica, management pubblico/sanitario/non profit, accounting e operations.

Figura 5 Le discipline degli articoli

12_30anni

La seconda riguarda, invece, i macrotemi trattati negli articoli. I macrotemi più frequenti (Figura 6) sono stati dinamiche competitive e imprenditorialità (117 articoli pari al 16,9 per cento del totale), temi di finanza e intermediari finanziari (81 articoli pari all’11,7 per cento del totale), governance/assetti organizzativi/reti di imprese/fondamenti del management (79 articoli pari all’11,4 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente: focus per Paese e/o settore, ICT, HRM/comportamento organizzativo, marketing strategico/operativo/brand management, performance, innovazione e cambiamento, concorrenza, contabilità e bilancio, conoscenza, etica e clienti e consumatori, e altri temi con una frequenza uguale o inferiore all’1 per cento (cultura organizzativa, project management, marketing territoriale, comunicazione esterna, Europa, globalizzazione, PMI e decisioni).

Figura 6 I macrotemi trattati dagli articoli

13_30anni

Passando dai macrotemi a argomenti più specifici, in questo periodo la rivista, come messo in evidenza da Perrone nell’editoriale del primo numero del 2005, è caratterizzata da un’elevata differenziazione dei contenuti. Questo accade sia per scelte editoriali dirette (per esempio, l’introduzione di spazi riservati ai contributi delle Aree di SDA Bocconi, l’avvio di rubriche tematiche ecc.), sia per le ricadute del processo di call for paper aperto e basato sulla revisione cieca nell’ambito della quale la selezione degli articoli non è basata sul tema/argomento, ma sul rispetto di determinati standard di affidabilità e validità scientifica. Questo significa far entrare nella rivista una marcata specializzazione di derivazione accademica. Pertanto, data l’eterogeneità nella composizione dei lettori e degli autori, la rivista si trova a lavorare su due livelli: un livello generale, per cui si affrontano temi che riguardano tutte le organizzazioni (argomenti che potremmo definire di «general management»), e un livello più particolare, che riguarda specifiche organizzazioni o specifici settori. Per esempio, nel campo della finanza e degli intermediari finanziari viene dato spazio al risk management e, in particolare, a «Basilea 2». Nel campo del management pubblico, si affronta il tema dell’aziendalizzazione, della managerializzazione e acquistano rilevanza il cambiamento e le trasformazioni delle aziende del settore delle utilities. Di conseguenza, per dare l’idea di cosa ci sia dentro le categorie, si è deciso di focalizzare l’attenzione su quei temi che sono trasversali rispetto alle discipline o rappresentano una novità nel panorama del management.

Rispetto a questi temi trasversali, quello dominante è la «New Economy» e l’«e-business», che investe ambiti relativi alla strategia (per esempio, in termini di opportunità di business[45], ma anche di minaccia o retorica[46]), al marketing (per esempio, in termini di sviluppo di nuove forme di fedeltà del cliente basate sull’integrazione tra affiliation e lock-in, tra fedeltà cognitiva e comportamentale[47] o in termini di personalizzazione dei prodotti, dei servizi e dell’esperienza di consumo resa possibile dallo sviluppo degli ambienti digitali[48]), all’organizzazione (per esempio, come modalità di gestione della formazione e aggiornamento professionale dei dipendenti[49]), alla logistica (per esempio, in termini di efficacia ed efficienza nella gestione delle consegne al cliente finale[50]) e alla finanza (per esempio, in termini di struttura finanziaria che permetta all’impresa di sostenere lo sviluppo, minimizzare il costo del capitale e massimizzare il valore del capitale economico sul fronte dello sviluppo del proprio patrimonio tecnologico[51]). L’e-business, inoltre, investe direttamente i sistemi informativi. Su questo fronte grande attenzione è dedicata al cosiddetto millennium bug e, più in generale, ai già citati sistemi di enterprise resource planning (ERP) e alla gestione per processi. Quest’ultimo argomento è spesso trattato anche da chi si occupa di accounting dato che investe gli aspetti più strettamente amministratavi legati al controllo di gestione e alla misurazione delle performance. Infine, il tema delle ICT, di Internet e del Web non riguarda solo le imprese, ma anche la pubblica amministrazione e la sanità. In particolare, questo tema può essere declinato nel campo pubblico lungo due direttrici: quella dell’introduzione delle nuove tecnologie nelle aziende pubbliche e quello della regolamentazione delle tecnologie stesse a livello legislativo[52].

Il riferimento alla questione della regolazione ci consente di andare a focalizzare l’attenzione verso le nuove tematiche che emergono in questo decennio. La regolazione dei mercati è una di queste. In particolare, la rivista decide di sistematizzare la copertura del tema avviando, a partire dal numero 4 del 2005, la rubrica «Il mercato delle regole» a cura di Donato Masciandaro. La rubrica, nel corso del 2007, si concentra sulla Banca d’Italia, sulla Vigilanza bancaria, sul ruolo delle banche centrali e delle autorità indipendenti. A questo proposito Masciandaro scrive[53]:

«A sentire l’analisi economica, lo spazio per la creazione di autorità indipendenti è ampio. Ma due caveat sono d’obbligo. In primo luogo, non bisogna mai dimenticare […] che la scelta di cosa far fare ai politici e cosa ai burocrati è spesso dei politici stessi, i quali […] si chiederanno pragmaticamente quali funzioni fanno guadagnar voti e credibilità – per tenersele – e quali lasciare invece alle authority. In secondo luogo, tutto il ragionamento [a favore delle authority] si regge sulla capacità di definire regole che garantiscano un’autentica indipendenza alle autorità di regolamentazione e di controllo. Il diavolo, come sempre, è nei dettagli, e i dettagli sono proprio nelle leggi, statuti e regolamenti che possono sancire l’autentica autonomia di una authority, ovvero quel sottile equilibrio tra l’essere succubi dei politici, ovvero divenire soggetti autoreferenziali e irresponsabili (nel senso letterale del termine). Rispondere all’antica domanda “Quis custodet custodes?” diventa allora una sfida tremendamente moderna, e alla fine l’unica strada per comprendere se una certa istituzione è stata creata, o viene gestita, per servire l’interesse pubblico ovvero per compiacere il politico oppure il boiardo di turno».

Altri due temi che la rivista decide di seguire in maniera sistematica sono la Cina e l’imprenditorialità. A partire dal numero 1 del 2005 prendono avvio due rubriche: «Doing business in China» a cura di Maria Weber e «Storie di straordinaria imprenditorialità» a cura di Paolo Preti e Marina Puricelli.

L’avvio della rubrica sulla Cina segue un dossier dedicato all’Asia pubblicato sul numero 4 del 1998 (nella quale la Cina era ancora un di cui dell’Asia orientale) e un articolo di Maria Weber pubblicato sul numero 6 del 2003 dal titolo «La Cina del XXI secolo: la locomotiva dell’economia mondiale». Scriveva Maria Weber[54]:

«La Cina è entrata nel terzo millennio come il paese a maggior crescita economica a livello mondiale. L’ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), deciso a Doha nel novembre 2001, ha sancito ufficialmente l’integrazione del paese nell’economia mondiale. […] Le opportunità di business sono crescenti, così come le garanzie legali, ma permane tra gli operatori economici italiani un diffuso scetticismo sulla reale possibilità della Cina di adeguarsi alle norme fondamentali dell’OMC […]. A ciò si aggiunge la percezione di un elevato rischio di contraffazione del marchio, ancora diffuso in Cina. Questo scetticismo rischia di frenare le strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane».

All’interno della rubrica il tema della Cina è declinato in termini strategici (per esempio, il posizionamento competitivo) e organizzativi (per esempio, sul fronte del comportamento organizzativo per tenere conto delle differenze culturali e per quanto riguarda la gestione delle risorse umane). Viene dato spazio ai temi dell’accounting (i principi contabili in Cina) e delle operations (la logistica). La rivista, però, tratta anche gli aspetti problematici legati all’apertura nei confronti della Cina. In particolare, analizzando il cambiamento che investe il distretto tessile di Prato[55]:

«L’entrata della Cina nel WTO e la liberalizzazione degli scambi hanno prodotto un’inondazione di capi di abbigliamento nei mercati europei. Le merci in entrata dilagano e i prezzi sono al ribasso. […] Il distretto pratese è sottoposto a una doppia sfida a causa dello straordinario sviluppo della Cina: per la pressione competitiva cui sono sottoposte le imprese e, nello stesso tempo, per la consistente comunità di immigrati che si è insediata nel distretto, dove vive e lavora. La comunità cinese a Prato è oggi considerata una delle più consistenti concentrazioni in Europa. Difficile ipotizzare un afflusso così massiccio in assenza di potenzialità dell’economia locale. Come conseguenza, Prato è alla ricerca di un nuovo equilibrio, di un nuovo assetto sociale e urbano, mentre le istituzioni locali si trovano di fronte alla complessità di una società multietnica».

La rubrica «Storie di straordinaria imprenditorialità» si concentra invece sul tema dell’imprenditorialità, del rapporto tra questa e la managerialità e su casi di piccole o medie imprese che hanno saputo distinguersi all’interno del panorama italiano e internazionale. Per esempio, il primo caso è dedicato alla Luigi Guffanti di Arona, «Formaggi per tradizione dal 1876». L’azienda

«è diventata lo strumento per valorizzare produzioni artigianali, in qualche caso al limite dell’estinzione, e connetterle a una clientela di buongustai sparsi nel mondo e capaci di apprezzare formaggi sofisticati. […] Per comprendere l’ultima fase del processo, vengo invitata a osservare i dipendenti impegnati nella fase di porzionatura, di confezionamento e di spedizione. Tra loro, mi viene indicata una ragazza, laureata addirittura in filosofia, in azienda da almeno dieci anni, impegnata nella spedizione più complessa: deve fare in modo che ogni settimana trenta chili di mozzarella di bufala di Aversa arrivino sulle tavole giapponesi, non impiegando più di due giorni e mezzo per la spedizione»[56].

Nel decennio oggetto di questo articolo fa la sua comparsa anche il tema della diversità con particolare attenzione al ruolo delle donne nelle organizzazioni e nella società. Il primo articolo in materia è del 1998: «Management delle differenze: gestire il genere», di Maria Cristina Bombelli. Leggiamo nell’abstract[57]:

«Il management del futuro si trova di fronte a situazioni molto diverse dal passato. […] Le differenze di genere sono una delle possibili chiavi di lettura da utilizzare per progettare strumenti e comportamenti di gestione del personale che possono costituire una dimensione innovativa nelle modalità di gestione. Inoltre, l’ottica del genere diventa tanto più importante in quanto le tendenze del mercato del lavoro descrivono una femminilizzazione spinta e irreversibile. Il lavoro seguente si propone di affrontare questo tema – con una focalizzazione esplicita sul genere femminile e sul segmento manageriale – mettendo innanzitutto in guardia rispetto alle letture affrettate che possono ingenerare stereotipi e proponendo una lettura culturale come equilibrio possibile tra la negazione delle differenze e l’irrigidimento delle caratteristiche del maschile e del femminile. […; Occorre, per le organizzazioni, riconoscere, ove necessario, le competenze femminili come valore aggiunto nel quadro delle tendenze organizzative in essere, ripensando l’articolazione dei sistemi premianti in funzione di diverse esigenze emergenti, in relazione sia al genere, sia ad altre possibili angolature di differenza».

È da notare che in questo primo articolo compare il termine «differenze» e non «diversità». Il termine «diversità» lo si ritrova più avanti, nel 2003, sempre in un articolo di Maria Cristina Bombelli[58] anche se si preferisce impiegarlo nella sua versione in inglese, diversity. In un articolo del 2006 («L’esercito di riserva: femminizzazione e profitto nella professione legale inglese» di Daniel Muzio) si mettono in evidenza gli effetti degli stereotipi, pregiudizi e discriminazioni che caratterizzano le donne nelle organizzazioni[59]:

«Nella professione legale la segregazione orizzontale (divisione fra aree femminili e non) riproduce situazioni di stratificazione verticale, contribuendo a spiegare il ruolo prettamente salariato delle donne avvocato negli studi associati. Ciò comporta una polarizzazione netta fra aree di esercizio principalmente femminili, sottopagate e orientate alla soluzione di problemi di natura privata, e aree giuridiche dominate dagli uomini, lucrative e orientate verso attività di stampo societario. […] La segregazione orizzontale non rispecchia scelte e attitudini delle donne avvocato, ma risponde a pregiudizi secondo cui queste ultime debbano occupare ruoli più consoni alla loro femminilità».

La rivista si occupa di diversità dei lavoratori, ma anche degli effetti delle politiche di downsizing avviate dalle imprese. Si legge nell’articolo di Giuseppe Soda del 2002 dal titolo «Licenziamenti e valore: una ricerca empirica sulla relazione tra annunci di downsizing e quotazione azionaria»[60]:

«La peculiarità del downsizing come vera e propria corporate strategy si basa sull’ipotesi per cui un ridimensionamento della struttura organizzativa, attraverso una riduzione rapida e consistente dei costi fissi legati al lavoro, possa consentire a un’organizzazione di perseguire non solo obiettivi di economicità, ma anche un vantaggio competitivo duraturo […]. In aggiunta, le grandi riduzioni di personale sono generalmente affiancate dal massiccio ricorso all’outsourcing determinando una riduzione più generale di componenti di costo fisso non direttamente riconducibili al lavoro umano. Questa riduzione dei costi fissi è in parte compensata dalla crescita dei costi variabili ma anche da una conseguente maggiore flessibilità e reattività rispetto al ciclo economico».

Gli effetti del downsizing però non sono negativi solo per i lavoratori, ma anche per le imprese. Continua, infatti, Soda[61]:

«Dalla ricerca emerge in modo chiaro che gli investitori messi di fronte ad annunci di downsizing di aziende italiane non reagiscono in modo euforico, al contrario mostrano reazioni tendenzialmente negative. […] In un contesto culturalmente e cognitivamente ostile verso i licenziamenti potrebbe amplificare le difficoltà di ripristino della competitività d’impresa dimostrate dallo strumento del downsizing. […] certamente si comprende come gli investitori non amino le scorciatoie per arrivare a una competitività che si potrebbe rivelare effimera. […] Grazie a questo lavoro, sappiamo ora dello scetticismo degli investitori riguardo agli annunci di downsizing e sappiamo della relazione tra radicalità delle riduzioni di personale e negatività della reazione».

Infine, Soda cita l’etica con riferimento alla valutazione della riduzione di personale e proprio l’etica, nel decennio considerato, diventa un tema sempre più trattato e legato a quello della cosiddetta corporate social responsibility (CSR) e della sostenibilità. Scrive a questo proposito Francesco Perrini[62]:

«Il 2006 può e deve essere l’anno della responsabilità sociale dell’impresa o corporate social responsibility (CSR), intesa come approccio innovativo alla gestione d’impresa, un nuovo modello di gestione delle relazioni con gli stakeholder, in grado di realizzare un corretto bilanciamento tra dimensione sociale, economica e ambientale in linea con lo sviluppo sostenibile. […] La CSR può fornire un contributo concreto a tale processo di rinnovamento attraverso la ricerca di nuovi equilibri negli obiettivi della gestione d’impresa».

E quindi…

Economia & Management ha subìto nel suo secondo decennio di attività (1998-2007) molti cambiamenti. Uno in particolare drammatico, ossia la prematura scomparsa del suo Direttore e fondatore nel 2004. L’editore e il Direttore del momento, infatti, non possono prescindere dall’imprinting del fondatore, dalla storia e dal percorso della rivista nel tempo. Nell’analizzare i motivi dell’imprinting Stinchcombe[63] cita, tra gli altri, la forza della tradizione, la persistenza di determinati interessi, un afflato ideologico che lo sostenga. Non a caso fu presa la decisione di inserire il richiamo a Claudio Dematté nella testata della rivista: «Economia & Management, rivista della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Luigi Bocconi fondata da Claudio Dematté».

Altri cambiamenti, invece, fanno parte della normale evoluzione di una rivista: è il caso del rinnovamento nei contenuti e nella veste grafica a partire dal numero 5 del 1999. Quel cambiamento venne accompagnato da un editoriale di Dematté in cui si metteva in evidenza la questione della formazione della classe dirigente italiana. Una classe dirigente, secondo Dematté, poco propensa alla crescita professionale e, secondo Perrone, poco omogenea e altamente differenziata – il che rende difficile l’individuazione dei temi che potrebbero andare incontro ai suoi bisogni di aggiornamento professionale.

Per quanto riguarda i temi dominanti, le tecnologie nella veste delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) rivestono un ruolo da protagoniste. È questo il decennio in cui si ha l’ascesa, la caduta (dopo la bolla speculativa delle imprese «.com») e la resurrezione dalle sue ceneri della società dell’informazione e di quello che veniva chiamato «e-business». La rivista dà ampio spazio a questi argomenti, seguendone l’evoluzione.

Il decennio vede anche il rafforzamento e il consolidamento dei processi di globalizzazione e liberalizzazione dei mercati. Da questa prospettiva, un nuovo attore diventa protagonista: la Cina. Economia & Management affronta il tema dedicando alla Cina una rubrica a partire dal 2005. La globalizzazione e la liberalizzazione, però, si accompagnano anche a scandali economico-finanziari (Enron, Parmalat, Cirio, le vicende bancarie italiane del 2005) e allo sviluppo di modelli che vedono nella massimizzazione del valore degli azionisti, nella riduzione del personale e nell’esternalizzazione di attività e processi aspetti centrali. Tutto questo pone all’attenzione il tema delle regole, della legittimazione sociale, dell’etica e del rispetto di tutti i portatori di interesse. Proprio alle regole Economia & Management dedica una rubrica a partire dal 2005. Relativamente alla legittimazione sociale, Economia & Management inizia a pubblicare contributi che tentano di coniugare economia, etica e politica e contribuisce alla disseminazione di un tema associato a quello dell’etica, la CSR.

Il Censis nel descrivere la società italiana nel decennio usava due concetti: società molecolare e minoranze attive. Nel campo del management quei due concetti li ritroviamo in tutti quegli articoli di strategia e di marketing che si concentrano sull’importanza della personalizzazione e in quegli articoli di gestione delle risorse umane che iniziano ad affrontare il tema della discriminazione e della segregazione. Sul primo fronte, si tende a impiegare espressioni quali «personalizzazione di massa», «personalizzazione del servizio», «personalizzazione dei prodotti», «personalizzazione delle esperienze di consumo». Con riferimento al secondo fronte, Economia & Management inizia a trattare il tema della gestione delle differenze o gestione della diversità –  ossia ciò che oggi più comunemente si chiama diversity management – partendo dall’analisi del ruolo delle donne nelle organizzazioni e nella società e iniziando ad affrontare il tema dell’età e delle generazioni e quello delle differenze etnico-culturali.

1

C. Dematté, «Il mestiere di dirigere», Economia & Management, n. 5, 1999, pp. 4-10.

2

«La “classe dirigente” che non legge e il futuro dell’Italia», Il libraio, 15.10.2015, www.illibraio.it/classe-dirigente-non-legge-258871.

3

V. Perrone, «Il nuovo anno di Economia & Management», Economia & Management, n. 1, 2005, pp. 3-6.

4

D. Harvey, A Brief History of Neoliberalism, Oxford, Oxford, University Press, 2005. Si veda anche A. Giddens, The Third Way and Its Critics, Cambridge, Polity Press, 2000.

5

A. Mattelart, Storia della Società dell’Informazione, Torino, Einaudi, 2002.

6

Per un approfondimento del rapporto tra discorso pubblico e ICT si veda S. Iacono, R. Kling, «Computerization movements: The rise of the Internet and distant forms of work», in J. Yates, J. van Maanen (eds.), Information Technology and Organizational Transformation: History, Rhetoric, and Practice, Thousand Oaks (CA), Sage, 2001.

7

P. Bianchi, La rincorsa frenata: l’industria italiana dall’unità alla crisi globale, Bologna, il Mulino, 2013; G. Amato, A. Graziosi, Grandi illusioni: ragionando sull’Italia, Bologna, il Mulino, 2013; E. Felice, Ascesa e declino: storia economica d’Italia, Bologna, il Mulino, 2015; G. Crainz, Storia della repubblica, Roma, Donzelli, 2016; M. Salvadori, Storia d’Italia: il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Torino, Einaudi, 2018.

8

G. De Rita, Dappertutto e rasoterra, Milano, Mondadori, 2017.

9

Ivi, p. 580.

10

Questo paragrafo si basa su Bianchi, op. cit.; Amato, Graziosi, op. cit.; Felice, op. cit..

11

Si veda Felice, op. cit.

12

P. M. Lee, «What’s in a name.com? The effects of ‘.COM’ name changes on stock prices and trading activity», Strategic Management Journal, 22, 2001, pp. 793-804.

13

In base alle informazioni ricavabili dal titolo e dal testo i ricercatori hanno individuato progressivamente una serie di temi/categorie e suddiviso gli editoriali all’interno di questi temi/categorie. I temi/categorie sono: la governance, i modelli d'impresa i fondamenti del management; la competizione (strategie, imprenditorialità, innovazione, internazionalizzazione); il sistema-Paese; la nuova economia; le patologie (economiche, finanziarie, sociali); la concorrenza, la regolazione, i mercati; il lavoro, il capitale umano, le organizzazioni; la rivista; il sistema bancario italiano; il diversity management; il ruolo della finanza; il rapporto tra economia e cultura; l'Unione Europea.

14

È stata analizzata la frequenza con cui ogni parola compare nel titolo dei 61 editoriali.

15

C. Dematté, «Tecnica, progettualità e arte politica: tre ingredienti essenziali della funzione manageriale», Economia & Management, n. 1, 1998.

16

Ivi, p. 9.

17

Ivi, p. 10.

18

Ivi, p. 12.

19

C. Dematté, «Strategia e finanza: un legame sempre più stretto», Economia & Management, n. 3, 1999, p. 1.

20

C. Dematté, «Internet: una rivoluzione annunciata, ma sottovalutata», Economia & Management, n. 1, 2000.

21

C. Dematté, «Come cavalcare l’e-business», Economia & Management, n. 2, 2000.

22

Ivi, p. 11.

23

C. Dematté, «Crescere velocemente anche oltre confine è un imperativo tipico della nuova economia», Economia & Management, n. 3, 2000; C. Dematté, «Crucialità della finanza negli start-up della nuova economia», Economia & Management, n. 4, 2000; C. Dematté, «Come pilotare un’impresa tradizionale verso l’e-business», Economia & Management, n. 5, 2000.

24

C. Dematté, «L’altalena degli umori verso le imprese della new economy: la necessità di una bussola», Economia & Management, n. 6, 2001.

25

Ivi, p. 3.

26

Ivi, pp. 11-12.

27

Ivi, p. 16.

28

C. Dematté, «Il caso Pirelli-Telecom: una riprova del nodo scorsoio del capitalismo italiano», Economia & Management, n. 5, 2001.

29

Ivi, p. 10.

30

C. Dematté, «Il caso Enron: una lezione per tutti», Economia & Management, n. 2, 2002; C. Dematté, «Parmalat e Cirio: l’occasione per cambiare», Economia & Management, n. 2, 2004.

31

C. Dematté, «Il caso Enron», cit., p. 3.

32

C. Dematté, «Parmalat e Cirio», cit., p. 6.

33

V. Perrone, «La fiducia è una cosa seria», Economia & Management, n. 3, 2004, p. 10.

34

A. Sironi, «L’annus horribilis delle banche italiane: alcune idee per non sbagliare ancora», Economia & Management, n. 1, 2006, p. 5.

35

V. Perrone, «Oltre l’orizzonte dei distretti», Economia & Management, n. 5, 2004.

36

B. Busacca, «Made in Italy: la tutela di una marca che non c’è», Economia & Management, n. 6, 2004.

37

S. Salvemini, «Quando ‘carmina dant panem’: la cultura come risorsa economica», Economia & Management, n. 3, 2005.

38

G. Soda, «Se la cattiva finanza affonda il capitale umano», Economia & Management, n. 6, 2005; G. Soda, «Fannulloni o disorganizzati? Viaggio nella produttività che non c’è», Economia & Management, n. 3, 2007.

39

V. Perrone, «Dell’età. Ovvero: la sindrome della banana acerba», Economia & Management, n. 3, 2006; V. Perrone, «Chi trova un amico trova un tesoro», Economia & Management, n. 4, 2006; V. Perrone, «La quinta stagione del lavoro», Economia & Management, n. 5, 2007.

40

V. Perrone, «La quinta stagione del lavoro», Economia & Management, n. 5, 2007, p. 10.

41

G. Verona, «Un anno di innovazione», Economia & Management, n. 5, 2005; G. Verona, «La Corporate America dal ponte di comando», Economia & Management, n. 4, 2007.

42

Dal numero complessivo di contributi pubblicati nel periodo 1998-2007 sono stati esclusi: i 61 editoriali che sono stati analizzati separatamente; le rubriche «Fotogrammi», «Management e dintorni», «Fuori campo» e «Libri», perché fanno riferimento a discipline differenti rispetto a quelle che ricadono nel campo del management. Queste rubriche saranno analizzate separatamente e la loro analisi sarà presentata nel quarto articolo di questa serie.

43

La grandezza delle parole rappresenta la frequenza con cui quella parola compare nell’abstract dei 624 articoli

44

In base alle informazioni ricavabili dal titolo, dall’abstract, dal testo, dall’autore/autori e dai riferimenti bibliografici i ricercatori hanno suddiviso gli articoli, prima di tutto, tra le seguenti discipline: accounting (programmazione e controllo, contabilità e bilancio), comunicazione, diritto, economia politica, finanza e intermediari finanziari, management delle organizzazione culturali, management pubblico/sanitario/non profit, marketing, operations (produzione, logistica), organizzazione (teorie organizzative, comportamento organizzativo, HRM), storia, strategia e management (strategic management, economia aziendale, gestione). Successivamente sono stati individuati uno o più temi chiave. Questi temi chiave, per semplicità di esposizione, sono stati raggruppati in una serie di macrotemi che sono: assetti organizzativi, brand management, clienti e consumatori, comportamento organizzativo, comunicazione esterna, concorrenza, conoscenza, contabilità e bilancio, cultura organizzativa, decisioni, dinamiche competitive, etica, Europa, fondamenti del management, governance/assetti istituzionali, human resource management, sistemi informativi/information and communication technology (ICT), imprenditorialità, innovazione e cambiamento, marketing strategico/operativo, marketing territoriale, performance (misurazione, valutazione), produzione/supply chain, project management, reti d’imprese (network, distretto, cooperazione, collaborazione, relazioni inter-organizzative, joint venture), temi di finanza, focus per Paesi e/o settori.

45

P. Dubini, «Passa per la personalizzazione di massa l’e-strategy dei produttori di contenuti informativi», Economia & Management, n. 1, 2000.

46

F. Perretti, «Il futuro di internet e della new economy: scenari e strategie per le imprese», Economia & Management, n. 4, 2001.

47

E. Prandelli, G. Verona, «Affiliation o lock-in? Strategie di marketing per competere in internet», Economia & Management, n. 4, 2001.

48

M. Costabile, F. Ricotta, G. Miceli, «La personalizzazione dell’offerta in ambienti digitali: un modello per il Dynamic Profiling dei clienti», Economia & Management, n. 1, 2005.

49

P. Bielli, «E-learning sotto la lente d’ingrandimento», Economia & Management, n. 1, 2002.

50

V. Belvedere, «L’outsourcing logistico nel B2C», Economia & Management, n. 5, 2001.

51

F. Perrini, «Innovazione, struttura finanziaria e valore d’impresa», Economia & Management, n. 1, 2000.

52

V. Mele, «Paradigmi e progetti di e-government: l’impatto delle ICT sul settore pubblico», Economia & Management, n. 3, 2003.

53

D. Masciandaro, «Autorità indipendenti: panacea o placebo?», Economia & Management, n.3, 2007.

54

M. Weber, «La Cina del XXI secolo: la locomotiva dell’economia mondiale», Economia & Management, n. 6, 2003, pp. 40-41.

55

D. Toccafondi, «Ombre cinesi nel distretto di Prato», Economia & Management, n. 5, 2005.

56

M. Puricelli, «Professione affinatore: il caso Luigi Guffanti», Economia & Management, n. 1, 2005, pp. 120-122.

57

M.C. Bombelli, «Management delle differenze: gestire il genere», Economia & Management, n. 6, 1998, p. 43.

58

M.C. Bombelli, «Uguali o diversi? Per un utilizzo consapevole del diversity management», Economia & Management, n. 5, 2003.

59

D. Muzio, «L’esercito di riserva: femminizzazione e profitto nella professione legale inglese», Economia & Management, n. 5, 2006.

60

G. Soda, «Licenziamenti e valore: una ricerca empirica sulla relazione tra annunci di downsizing e quotazione azionaria», Economia & Management, n. 6, 2002, p. 86.

61

Ivi, p. 97.

62

F. Perrini, «Corporate Social Responsibility: nuovi equilibri nella gestione d’impresa», Economia & Management, n. 2,  2006, p. 7.

63

A.L. Stinchcombe, «Social structure and organizations», in J.C. March (ed.), Handbook of Organization, Chicago, Rand McNally, 1965.