E&M

2020/5

Stefano Basaglia Zenia Simonella

1988-1997: il dibattito sui modelli d’impresa

In occasione del trentennale della nostra rivista, inauguriamo qui una mini-serie di quattro articoli dedicati alla storia di Economia & Management : un contributo per comprendere, a partire dalle pagine di E&M, come il discorso manageriale sia stato costruito e diffuso in Italia dagli anni Ottanta a oggi. A questo primo articolo, che si concentra sul decennio fondativo, ne seguiranno due dedicati alle decadi 1998-2007 e 2008-2018, per concludere con una panoramica complessiva sull’intero periodo di vita di E&M .

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In uno degli articoli pubblicati su Economia & Management[1] è riportata una citazione tratta dal film di Nanni Moretti Palombella Rossa: «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!».

La scelta delle parole, l’uso del linguaggio e la costruzione del discorso sono i mezzi attraverso cui le idee si diffondono. La loro qualità, quindi, incide anche sulla qualità delle idee. Questo è vero in ogni campo, incluso quello delle discipline dell’economia e del management. Inoltre, il discorso che sospinge le idee non è creato e/o disseminato a caso. Come osservava Foucault[2], che ha di fatto inaugurato gli studi sul discorso, nelle società occidentali moderne, la produzione di discorsi cui si è attribuito (almeno per un certo periodo di tempo) un valore di verità è legata anche ai vari meccanismi e istituzioni di potere. Pertanto è rilevante comprendere come si crea e diffonde la conoscenza manageriale, come si costruisce e si legittima il discorso manageriale nel tempo e come si relazionano questa conoscenza e questo discorso rispetto all’evoluzione del contesto.

Origine, sviluppo e diffusione della conoscenza sono stati oggetto di ricerche di diversi autori di varie discipline, alcuni dei quali hanno analizzato i fenomeni di moda, poiché la scienza – come avevano già intuito Simmel e Veblen agli inizi del Novecento – ne è caratterizzata come qualsiasi altra impresa collettiva e storico-culturale. A questo proposito, non si può non menzionare il classico studio di Pitirim A. Sorokin del 1956[3] che fu dirompente per le tesi sostenute sulla diffusione delle mode di stampo quantofrenico nell’ambito delle scienze sociali. In economia e nel management abbiamo due riferimenti centrali: un articolo del 1966, pubblicato sull’American Economic Review, dove Martin Bronfebrenner[4] si cimenta nel distinguere trend, cicli e mode nella scienza economica: mentre i trend e i cicli riguardano processi di formazione e istituzionalizzazione di idee, le mode sono risposte immediate a problemi che riguardano gli sviluppi di lungo periodo della scienza. Se Bronfebrenner adotta una prospettiva di analisi «interna» della scienza, Abrahamson con il suo articolo sulle mode manageriali del 1996[5] e i successivi contributi[6] propone un modello in cui le scuole di management e il sistema dei media nel campo del management diventano attori chiave di questi processi. 

Analizzare l’evoluzione di Economia & Management, in occasione del suo trentennale, può quindi dare un contributo per comprendere come il discorso manageriale sia stato costruito e diffuso in Italia. In particolare passeremo in rassegna gli articoli pubblicati su Economia & Management dalla fondazione, avvenuta nel 1988, fino al 2018. Suddivideremo l’esposizione di questa analisi in quattro parti. Nelle prime tre parti descriveremo il contesto socio-economico e i contenuti (discipline di riferimento e temi) della rivista rispettivamente nei decenni 1988-1997, 1998-2007 e 2008-2018. La quarta e ultima parte, invece, presenterà una panoramica complessiva sul trentennio.

Partiamo, quindi, dal primo decennio, quello che va dal 1988 al 1997 e, in particolare, dalla fondazione della rivista.

La fondazione della rivista

Economia & Management è stata fondata nel 1988 da Claudio Dematté come rivista della Scuola di Direzione Aziendale (SDA) Bocconi che era stata creata proprio per iniziativa dello stesso Dematté nel 1971[7]. Claudio Dematté è stato anche il primo Direttore, e lo rimarrà fino alla sua prematura scomparsa nel marzo del 2004. Economia & Management si definiva «La rivista di direzione aziendale» e il primo editoriale si intitolava «Dedicato all’azienda» [8]. In questo editoriale, caratterizzato da uno stile asciutto e conciso, Dematté sottolineava quale dovesse essere il pubblico di riferimento: «Fra i protagonisti di quest’epoca storica vi sono indubbiamente gli imprenditori e i managers […] sono oltre un milione (il 5% dei lavoratori) […] Economia & Management è una rivista per loro». Metteva, inoltre, in evidenza quali dovessero essere l’oggetto – «l’attività di management, il lavoro di direzione» – e gli scopi della rivista:

proiettare anche fuori delle aule […] uno spettro ampio di conoscenze. Alcune per interpretare il contesto entro il quale operano le varie aziende. Altre per comprendere la loro logica di funzionamento; altre ancora per applicare o utilizzare i diversi strumenti di gestione. Ma non è tutto: l’efficacia del lavoro di direzione dipende anche da una situazione psicologica personale, al raggiungimento della quale possono contribuire altre conoscenze ancora o l’effetto «specchio» di certi spunti di meditazione.

La rivista non doveva limitarsi «solamente alla preparazione tecnica, ma anche a far maturare una capacità di interpretazione e di reazione continua che è la vera natura dell’attività di management nella sua accezione più piena». La rivista usciva come bimestrale (sei numeri all’anno). Dal 1988 al 1991 l’editore è stato Arnoldo Mondadori, quindi dal 1992 al 2015 EtasLibri del Gruppo Rizzoli. La Figura 1 presenta alcune copertine: la copertina del primo numero (marzo 1988); la copertina dell’aprile 1992, che segna un cambiamento grafico e il cambio di editore; la copertina del numero 2 dell’aprile 1993, con un editoriale di Claudio Dematté intitolato «Voltare pagina: in fretta e bene» e un’intervista al giudice di Mani Pulite Pier Camillo Davigo; la copertina del primo numero del 1996 (gennaio) con un nuovo cambiamento grafico; la copertina dell’ultimo numero del 1997 (dicembre). Le copertine mostrano una somiglianza grafica con l’Harvard Business Review e con molte riviste di carattere accademico (non ci sono immagini, gli articoli sono presentati al centro con il titolo e l’autore). C’è, inoltre, un chiaro legame con la Scuola di Direzione Aziendale: SDA Bocconi è indicata ed è presente il logo. Il logo diventerà preminente come sfondo della copertina a partire dal 1992.

Figura 1 Alcune copertine di Economia & Management.

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Lo Zeitgeist tra la fine degli anni Ottanta e la metà degli anni Novanta

Interpretare il contesto entro il quale operano le varie aziende e saper scrutare l’ambiente erano per Dematté due aspetti chiave dell’attività di management e del lavoro di direzione. Partiremo, quindi, da una rassegna delle principali caratteristiche dell’epoca storica e del contesto culturale, sociale ed economico che contraddistinse il primo decennio della rivista per definire il quadro entro cui essa si mosse.

Economia & Management nasce al finire degli anni Ottanta. Anni segnati a livello internazionale da due figure politiche: Margaret Thatcher, Primo Ministro inglese dal 1979 al 1990, e Ronald Reagan, Presidente degli Stati Uniti dal 1981 al 1989. Thatcher e Reagan legittimarono e contribuirono a diffondere un discorso liberista, centrato sull’individuo e sul mercato: quest’ultimo era considerato il miglior meccanismo per far funzionare l’economia e la società – con un ruolo dello Stato residuale. Si trattava di un modello rispetto al quale non si riteneva ci fossero alternative altrettanto valide[9].

Due film possono rendere bene l’idea dello spirito dei tempi: Wall Street di Oliver Stone uscito nel 1987 e Una donna in carriera di Mike Nichols, del 1988. Il primo mostra un mondo in cui la finanza prevale sull’industria («Il denaro non dorme mai», «È tutta una questione di soldi, il resto è conversazione», afferma Gordon Gekko, il protagonista del film, interpretato da Michael Douglas). Il secondo mette in evidenza come qualsiasi individuo se capace può far carriera, basta che lo voglia veramente («Non puoi aspettarti che gli eventi che desideri ti piovano dal cielo. Devi provocarli», dice Katharine Parker, interpretata da Sigourney Weaver, a Tess McGill, interpretata da Melanie Griffith).

Questo spirito dei tempi ha rappresentato l’humus su cui si è innestata una serie di eventi internazionali e nazionali che congiuntamente hanno contribuito a influenzare il contesto di riferimento per le imprese italiane. A livello internazionale gli eventi chiave sono stati l’integrazione europea in termini di libera circolazione delle persone, dei capitali e delle merci, la trasformazione della Comunità Economica Europea in Unione Europea e l’avvio del percorso di creazione della moneta comune[10]; la caduta del muro di Berlino (1989), la dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) e l’unificazione della Germania (1991). In Italia i passaggi cruciali di questo periodo sono stati Tangentopoli (1992), la svalutazione della lira (1992), la transizione verso la cosiddetta «seconda Repubblica» (1993-1994), il piano di privatizzazioni messo in atto dai differenti governi che si sono succeduti (1992-1997)[11]. Lo scenario internazionale si contraddistinse per il passaggio dal primato dello Stato nazionale alla centralità di entità sovranazionali e la trasformazione dei processi di internazionalizzazione in processi di globalizzazione. Gli eventi italiani, invece, determinarono un cambiamento negli equilibri di potere tra le differenti sfere e i diversi attori.

Il contesto sociale ed economico in Italia

Secondo il Censis[12], in Italia gli anni che vanno dal 1984 al 1990 sono caratterizzati dallo sviluppo di valori neo-borghesi che rafforzano il ruolo dell’impresa, del mercato e del privato contrapposto al pubblico inteso come Stato. Gli anni, invece, che vanno dal 1991 al 1996, sono segnati dalla «rottura del grande invaso borghese» nel quale emerge, sulla scorta dei valori del periodo precedente, una nuova borghesia minoritaria favorevole a un modello di sviluppo neo-competitivo centrato sull’iniziativa individuale, sulla responsabilità collettiva e su esigenze di trasparenza, efficienza e regole. Infine, il 1997 rappresenta il primo anno di un periodo storico definito «Società molecolare» in cui si sviluppa una nuova dialettica tra politica e società e si accentua la frammentazione della società italiana.

Da un punto di vista macro-economico (Tabella 1), l’Italia in quegli anni si caratterizza per:

 

  • una crescita del PIL tra il 1988 e il 1992 (anche se con un tasso in costante diminuzione) e tra il 1994 e il 1997 (però in misura inferiore rispetto al periodo precedente); il 1993 fa invece registrare un calo del PIL;
  • un rapporto deficit/PIL stabilmente sopra il 10 per cento nel periodo 1988-1993[13] e che si avvia a decrescere, dopo il 1993, fino a raggiungere -2,7 per cento nel 1997;
  • un rapporto tra debito pubblico e PIL che aumenta progressivamente tra il 1988 e il 1995, inizia la sua discesa a partire dal 1996;
  • un tasso di inflazione che rimane tra il 4 e il 6,3 per cento in tutti gli anni del periodo considerato con l’unica eccezione del 1997, quando si assesta all’1,9 per cento.

 

Il decennio considerato è un periodo di crescita, con l’eccezione del 1992-1993, e in cui lo Stato spende molto di più di quello che incassa. Alcuni[14] hanno definito questa crescita «artificiale» o «drogata». Questa tendenza si inverte solo alla fine del periodo considerato.

Tabella 1 L’Italia da un punto di vista macro-economico (1988-1997)

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Fonte: International Monetary Fund, World Economic Outlook Database, September 2011.

Passiamo ora dai dati macro-economici al tipo di attori che popolavano il sistema economico alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Questo sistema vedeva la convivenza di tre capitalismi: il «primo» (la grande impresa privata), il «secondo» (gli enti pubblici e le imprese a proprietà statale) e il «terzo» (le piccole e medie imprese e i distretti)[15]. Tale convivenza e l’equilibrio tra i tre capitalismi vengono intaccati dagli eventi che abbiamo citato. In particolare, l’apertura dei mercati, la fine della guerra fredda e l’ingresso, nei gangli dell’economia di mercato, dei Paesi del blocco ex-comunista, l’integrazione europea e la necessità per l’Italia di ridurre il proprio deficit e debito pubblico, pongono all’attenzione il tema dell’efficienza e dell’efficacia del sistema economico italiano considerato nel suo complesso, dei suoi tre capitalismi e degli attori che lo compongono. Le privatizzazioni e le liberalizzazioni del periodo 1992-1997 riducono il peso e il ruolo degli enti e delle imprese pubbliche. Inoltre, queste imprese, anche quando il capitale è di proprietà pubblica, saranno portate a seguire logiche di mercato[16].

Per le imprese ritorna centrale, innanzitutto, il tema della crescita dimensionale, delle economie di scala e degli investimenti in ricerca e sviluppo. Tutti elementi, questi, che spingono verso fenomeni di acquisizione, fusione, espansione oltre i confini nazionali e, quindi, di concentrazione a livello non più solo italiano, ma europeo e/o globale. In quest’ambito, però, alla fine degli anni Ottanta assistiamo al fallimento di alcuni progetti di consolidamento:

Dopo aver tentato, e fallito, un accordo prima con la Ford e poi con la Chrysler, le dimensioni e le ambizioni della Fiat si erano sostanzialmente ridotte; lo stesso era accaduto all’Olivetti, che non era riuscita a concludere un accordo con l’ATT; De Benedetti, dopo aver vinto la battaglia per ristrutturare l’Olivetti da industria elettromeccanica a industria elettronica, perse la guerra per la Société gènerale; anche il tentativo della Pirelli di prendere il controllo della Continental, trasformandosi in una delle maggiori multinazionali del settore, la spinse fuori dal grande giro; e la Montedison stava per precipitare in una crisi in buona parte determinata dai limiti culturali e morali del suo gruppo dirigente, limiti che affondavano le loro radici nel modo in cui si era artificialmente, e con il sostegno della politica, cercato di far nascere una grande industria chimica sulle ceneri della nazionalizzazione di quella elettrica[17]. 

Contemporaneamente, diviene importante anche il tema dell’efficacia. La pressione verso la concorrenza, l’efficienza dei processi e l’efficacia nel soddisfare i bisogni di clienti e consumatori globali portano le imprese a ripensarsi: a ripensare i propri processi e i propri prodotti. È tra la metà degli anni Ottanta e Novanta che si sviluppano le imprese e i settori del cosiddetto «Made in Italy». Si tratta di settori tradizionali dell’economia italiana (moda-tempo libero, arredo-casa e apparecchi-meccanica strumentale) le cui imprese si mostrano in grado di innovare sia i prodotti, sia i processi. Sul fronte dei prodotti lavorano sulle dimensioni immateriali e simboliche; sul fronte dei processi sono in grado di costruire e organizzare reti di subfornitori in Italia, ma sempre più all’estero (i Paesi dell’Est Europa diventano i candidati ideali di questo decentramento/delocalizzazione produttiva). Per finanziare questo sviluppo abbandonano il mercato finanziario italiano e si proiettano su quello internazionale.

Anche il settore bancario e assicurativo viene coinvolto in questi processi di cambiamento ed è caratterizzato, quindi, dalle privatizzazioni, dall’incremento della concorrenzialità e dell’internazionalizzazione[18].

Il dibattito manageriale

Anche il discorso manageriale si inserisce in un milieu, trasversale a diversi campi e discipline, in cui si tende a sottolineare uno stacco rispetto al secondo dopoguerra. Tutto questo avviene già negli anni Settanta. Si pensi, per esempio, a Future Shock di Alvin Toffler (1970) e a The Coming of Post-Industrial Society di Daniel Bell (1973) che si focalizzano sulle trasformazioni che accompagneranno lo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Può anche essere citato, sul piano più strettamente filosofico, La condition postmoderne di Jean-François Lyotard (1979) che getterà le basi del postmodernismo nel campo delle discipline sociali e, quindi, anche in quello del management, delle teorie organizzative e del marketing. Poi negli anni Ottanta, il discorso si fa più «pop» con The Third Wave sempre di Alvin Toffler (1980) e Megatrends di John Naisbitt (1984). Infine, gli anni Novanta sono segnati da testi quali The Condition of Postmodernity di David Harvey (1990), Being Digital di Nicholas Negroponte (1995) e The Rise of the Network Society di Manuel Castells (1996).

Questi testi gettano idee e concetti che entrano nel dibattito manageriale. In particolare, dal punto di vista manageriale inizia a essere messo in discussione il modello dell’impresa fordista basato sulla produzione di massa. Diventano popolari idee e concetti che possono rappresentare una soluzione alle questioni che un contesto «ipercompetitivo» [19] pone. Si tratta dei concetti di eccellenza, vantaggio competitivo, risorse e competenze distintive, conoscenza, apprendimento («l’organizzazione che apprende»), reingegnerizzazione dei processi, esternalizzazione, organizzazione snella, toyotismo, organizzazione a rete, catena del valore e dell’offerta, creazione di valore, tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Alcuni dei testi divenuti più popolari nelle università, nelle scuole di management – in maniera trasversale rispetto alle differenti discipline – e presso il pubblico dei professionisti sono: quelli di Michael Porter ossia Competitive Strategy (1980), Competitive Advantage (1985), «From competitive advantage to corporate strategy» (1987), The Competitive Advantage of Nations (1990); In Search of Excellence (1982) di Tom Peters e Robert H. Waterman; «Reengineering work: Don’t automate obliterate» (1990) di Michael Hammer; Reengineering the Corporation: A Manifesto for Business Revolution (1993) di Michael Hammer e James Champy; Process Innovation: Reengineering Through Information Technology (1993) di Thomas H. Davenport; «The core competence of the corporation» (1990) di Gary Prahalad e C.K. Hamel; The Knowledge Creating Company (1995) di Ikujiro Nonaka e Hirotaka Takeuchi.

Il ruolo di Economia & Management

Gli editoriali

Nel periodo 1988-1997 sono stati pubblicati 58 editoriali, tutti a firma di Claudio Dematté. I tre temi più frequenti degli editoriali (Figura 2) riguardano[20]: (i) la governance, i modelli d’impresa e i fondamenti del management; (ii) la competizione tra imprese e le relative strategie; (iii) il sistema-Paese.

Figura 2 I temi degli editoriali

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Gli editoriali che trattano i modelli d’impresa si occupano soprattutto di discutere della dimensione aziendale, sottolineando la necessità, per alcune imprese, di compiere un salto dimensionale a seguito dell’apertura del mercato europeo; Dematté discute anche di nuove forme d’impresa, come la cosiddetta «impresa-rete» – una soluzione che si prospetta quando le forti tensioni concorrenziali spingono a sfruttare sia le economie di grandi dimensioni, sia quelle di piccole dimensioni; tratta inoltre di assetti societari e di rapporti tra proprietà e management, temi che saranno ripresi negli editoriali dei decenni successivi.

Altri editoriali, invece, s’incentrano sull’attività delle imprese e si focalizzano su aspetti legati alle capacità competitive delle imprese in termini di imprenditorialità, innovazione e internalizzazione. Si tratta di articoli nei quali Dematté mette in luce i fattori che possono rilanciare le imprese e il sistema economico italiano di fronte alle nuove sollecitazioni del mercato globale.

Tre editoriali – tutti pubblicati nell’arco del 1989 – sono dedicati al management/economia aziendale come disciplina: in particolare al rapporto tra teoria e prassi e alla validità e solidità della ricerca nel campo del management; attenzione è posta anche al tema delle mode (con una riflessione sul termine «globalizzazione») e al linguaggio e alle metafore usate nella disciplina. Tali editoriali esprimono interesse e sensibilità verso l’uso della semantica e del linguaggio (con una forte attenzione, per esempio, ad alcuni concetti centrali della disciplina quali «imprenditore», «impresa»), aspetti che non saranno più oggetto di altri editoriali. Se questa sensibilità concettuale viene mano a mano abbandonata, resta l’attenzione a riflettere sulla natura della disciplina, e in particolare sui rapporti tra accademia e impresa, tra modelli manageriali e vita quotidiana delle aziende.

Negli editoriali che trattano più direttamente del sistema-Paese, Dematté analizza i problemi del sistema produttivo, della competitività dell’economia italiana, e affronta il tema spinoso dell’occupazione nel Mezzogiorno d’Italia, sostenendo che «gravi errori di politica economica sono stati compiuti dalla classe dirigente e […] dai governi locali»[21]. Vedremo come il tema del Mezzogiorno sarà via via meno ricorrente e sparirà definitivamente negli editoriali pubblicati dalla fine degli anni Novanta. Anche l’attenzione all’economia del sistema-Paese, seppur presente, sarà un tema meno trattato negli editoriali dei decenni successivi.

I temi modelli d’impresa e sistema-Paese dominano per tutto il decennio. Seguono poi, in ordine di frequenza, quelli del cambiamento, della nuova economia e dell’Unione Europea. Il tema del cambiamento riguarda sia la trasformazione della pubblica amministrazione nei termini di un’aziendalizzazione e managerializzazione della macchina burocratica – processi che Dematté vede come centrali – sia la risposta manageriale che le imprese devono dare al nuovo ambiente economico-sociale nel quale operano.

Dei dieci anni nel periodo che stiamo considerando, l’anno più critico è probabilmente il 1993. L’Italia si trova in una situazione di crisi politica, sociale ed economico-finanziaria. I titoli degli editoriali riflettono questa situazione: «Sostituire la cultura dell’emergenza con la cultura della concorrenza» (n. 1); «Voltare pagina: in fretta e bene» (n. 2); «Una cultura che contenga l’impresa» (n. 3); «Nuove condizioni, nuovo management» (n. 4); «Ristrutturare progettando sviluppo» (n. 5); «Alla ricerca di un nuovo modello» (n. 6). In questi titoli sono ricorrenti i termini «Sostituire», «Voltare pagina», «Nuovo», «Ristrutturare». Le cause di questa necessità di cambiamento sono: la crisi economica dovuta alla concretizzazione dell’integrazione europea e la conseguente realizzazione di una vera economia di mercato; la crisi etica messa in luce da Tangentopoli.

Sul primo punto scrive Dematté[22]:

Entriamo in uno spazio economico le cui regole non sono dettate da noi, ma dai paesi più forti. Quelle regole […] ci impongono anche l’osservanza dei principi della libera – e purtroppo più dura – concorrenza della vera economia di mercato. Pochi sono consapevoli che queste regole non sono un’ipotesi per il futuro: esse sono già nel nostro ordinamento dal 3 novembre 1992, con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della ratifica del Trattato di Maastricht. Molti, sulla base di vecchie e pericolose abitudini, si illudono che le leggi siano puramente «indicative» e rimangono convinti che ci sia rimasta la possibilità di condurre il gioco a modo nostro. Ma la realtà è ormai un’altra: non potremo più giocare «sporco», perché oltre ai nostri tribunali ora ci sono quelli della Comunità. Non abbiamo altra alternativa che rispondere con altrettanto impegno, altrettanta efficienza, altrettanta innovazione.

Se questo editoriale mette in evidenza la «causa», quello del n. 6 propone la soluzione[23], ossia realizzare un’autentica economia di mercato basata sulla responsabilizzazione diffusa, sulla disciplina dell’efficienza e sulla capacità di governare le tensioni e i conflitti che scaturiscono dall’economia di mercato realizzata; favorire la transizione da un capitalismo fondato sui debiti a uno fondato sul capitale di rischio; coinvolgere e responsabilizzare i lavoratori, ossia suddividere il rischio, ma anche i risultati ottenuti; non dimenticare la solidarietà perché

la spinta all’efficienza farà sorgere un problema di solidarietà verso i più deboli: un problema di natura etica, ma anche di tipo economico, posto che nessuna società può funzionare se confina ai margini quote rilevanti dei propri componenti. […] Per ovviare a squilibri di questa natura occorre […] investire con forza nella riqualificazione professionale [e predisporre] sistemi di solidarietà espliciti per chi si trova escluso dalla produzione. Solo così sarà possibile gestire i conflitti che sorgeranno quando le imprese monopoliste inefficienti o le strutture pubbliche ridondanti dovranno alleggerire i loro organici, fra i quali già oggi si annidano sacche di non occupazione.

Conclude scrivendo:

Compito di chi svolge un ruolo di direzione è quello di individuare e di indicare i nuovi punti di riferimento, e di convogliare le energie e la dialettica che esse sprigionano nella giusta direzione, gestendo al meglio gli inevitabili conflitti che il processo di riassestamento necessariamente comporta[24].

Era chiaro, per Dematté, nel lontano 1993 che la realizzazione di una vera economia di mercato non sarebbe stato un pranzo di gala.

Questa convinzione persistette, poiché anche l’ultimo editoriale del periodo che stiamo considerando si intitolava «Competizione senza confini e senza protezione di cambio: una sfida per le aziende e per il paese»[25]. L’editoriale era dedicato alla globalizzazione che da fenomeno di «moda» del 1989[26] si era trasformato in un vero e proprio «processo storico» che Dematté, però, preferiva chiamare «dilatazione spaziale dell’attività economica». Questo processo doveva essere percepito dalle persone nelle imprese:

Sono gli uomini, non le organizzazioni, che devono percepire i cambiamenti in atto; sono loro che devono avvertire le minacce connesse all’apertura dei mercati, così come le opportunità; sono loro che devono rivedere la strategia e cambiare l’organizzazione. Per fare tutto questo occorre lungimiranza, preparazione e coraggio. Una preparazione che può avvenire nelle aule, ma deve svilupparsi anche attraverso esperienze di vita proiettate nel mondo.

Ritorniamo al 1993:

Se si vuole assicurare una continua crescita della occupazione e dei redditi occorre che vengano sviluppate le competenze necessarie per accedere alle produzioni più difficili, ad alto valore aggiunto, quelle inaccessibili ai paesi con costo del lavoro inferiore. Queste competenze sono il frutto di una istruzione più alta, più diffusa e più consapevole del ruolo strategico che giovano la scienza e la tecnologia nei moderni processi di produzione[27].

Preparazione, competenze, istruzione: erano le parole chiave per provare a superare la crisi competitiva del Paese e delle imprese.

Riguardo, invece, alla questione etica portata alla luce da Tangentopoli sottolineava[28]:

troppi si illudono che lo stato di disgregazione sia esclusiva responsabilità della classe politica e ritengono che basti un cambiamento delle regole elettorali per ritrovare la via della virtù e dell’efficienza. Molti si scordano della propria parte di responsabilità: la gente nel chiedere piccoli, ma illeciti favori (raccomandazioni) o grandi regali (un salario senza lavoro, la precedenza in una assunzione oppure una pensione senza diritto); gli intellettuali e gli educatori nell’avere assistito al degrado senza denunciarlo in modo altro e forte, come avrebbero dovuto; i responsabili delle istituzioni economiche per avere talvolta colluso e talaltra per non essersi opposti alla corruttela; i sindacati per avere anche loro assistito allo scempio, quando non vi hanno concorso.

In sintesi, citando una vecchia canzone, «nessuno si senta escluso»; in un certo senso, l’editoriale mette in evidenza come vi fosse un legame tra crisi etica e crisi economica.

Gli articoli

Nel periodo 1988-1997 sono stati pubblicati 528 articoli[29]. Il numero di autori coinvolti, anche più di una volta, è pari a 670. Di questi l’85 per cento sono uomini e il 15 per cento donne. Le parole più usate nella titolazione degli articoli sono mostrate nella Figura 3[30]. Come si può vedere i termini più frequenti sono «impresa», «strategia», «management», «azienda», «organizzazione», «gestione» e «Italia».

Figura 3 Le parole chiave degli articoli (1988-1997)

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L’insieme degli articoli è stato raggruppato in due categorie[31]. La prima riguarda la disciplina di riferimento. Le tre discipline più frequenti (Figura 4) sono state: strategia, management ed economia aziendale (130 articoli pari a 24,6 per cento del totale), organizzazione aziendale (89 articoli pari al 16,9 per cento del totale) e finanza e intermediari finanziari (64 articoli pari al 12,1 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente, marketing, accounting, management pubblico/sanitario/non profit, operations, economia politica e altre discipline (comunicazione, diritto, storia, management cultuale).

Figura 4 Le discipline degli articoli (1988-1997)

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La seconda riguarda, invece, i macrotemi trattati negli articoli. I temi più frequenti (Figura 5) sono stati: dinamiche competitive e imprenditorialità (72 articoli pari al 13,6 per cento del totale), governance/assetti organizzativi/reti di imprese/fondamenti del management (66 articoli pari al 12,5 per cento del totale) e innovazione e cambiamento (52 articoli pari al 9,8 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente, focus per Paese e/o settore, temi vari di finanza e intermediari finanziari, ICT, marketing strategico/operativo/brand management, performance, contabilità e bilancio, clienti e consumatori, Europa, produzione/supply chain, conoscenza, HRM/comportamento organizzativo, decisioni, PMI, comunicazione esterna e altri temi con una frequenza inferiore all’1 per cento (cultura organizzativa, etica, concorrenza, project management, marketing territoriale ecc.).

Figura 5 I macro-temi trattati dagli articoli (1988-1997)

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Mentre gli editoriali hanno un contenuto «politico» di riflessione e di stimolo di carattere generale per imprenditori e manager, gli articoli invece sono più eterogenei, e sono spesso di carattere specialistico, sia di tipo accademico-concettuale, sia di tipo tecnico-pratico. Tra tutti gli articoli pubblicati, però, ci sembra utile porre l’attenzione su alcuni che possono dare il senso del discorso manageriale di quel momento e/o anticipare alcune tendenze che andranno a consolidarsi successivamente.

Partiamo da due articoli che affrontano il tema della «crisi» traslandola dal livello generale, che aveva caratterizzato gli editoriali del 1993 analizzati nel paragrafo precedente, al livello delle imprese, ossia a livello di modello d’impresa, di management e di organizzazione. I testi in questione sono: «Evoluzione organizzativa: crisi dei paradigmi dominanti e nuovi modelli di cooperazione» di Vincenzo Perrone e «Il management post-industriale è cominciato. Anzi, è già finito» di Salvatore Vicari. Entrambi gli articoli sono stati pubblicati nel 1996, il primo sul numero 2 e il secondo sul numero 4. Entrambi, inoltre, erano stati presentati a un convegno organizzato da Economia & Management nel novembre 1995 dal titolo Economia, società e management. Una riflessione alle soglie del terzo millennio. Partendo da un contesto caratterizzato da ipercompetizione, globalizzazione, diffusione del toyotismo, della terziarizzazione e delle nuove tecnologie, i due articoli condividono l’idea della crisi dei paradigmi dominanti (i principi tayloristici, i criteri organizzativi delle burocrazie, la separazione tra proprietà e management) e sottolineano la necessità di adottarne di nuovi. Questi nuovi paradigmi dovrebbero basarsi dinamicamente da una parte sulla cooperazione organizzativa (dentro le organizzazioni e tra organizzazioni di uno stesso network inter-organizzativo) e sull’apprendimento organizzativo, e dall’altra sulla capacità di gestire una complessità crescente.

Lo stimolo verso il cambiamento, inoltre, viene suggellato dalla pubblicazione di alcuni dossier tematici: «L’evoluzione istituzionale degli intermediari finanziari», dedicato alla trasformazione delle banche del 1993; «La riforma della sanità», sull’aziendalizzazione/managerializzazione delle organizzazioni attive nel campo della sanità sempre del 1993; «Il business process reengineering» del 1997, che si concentrava su come gestire progetti di reingegnerizzazione, ma anche sulla componente moda di questa pratica manageriale; «L’euro», sempre del 1997. 

Il tema delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione è trattato dalla rivista con una certa costanza. L’argomento viene affrontato inizialmente in ottica interna, ossia l’ICT e i sistemi informativi sono considerati come meccanismo operativo per il funzionamento delle organizzazioni e/o per l’abilitazione di progetti di reingegnerizzazione. Successivamente l’ottica si sposta all’esterno, sia perché alcune attività legate alla gestione delle ICT e dei sistemi informativi sono esternalizzate, sia perché le ICT e i sistemi informativi possono rappresentare una risorsa chiave per l’implementazione di reti di imprese. Infine, l’ICT è trattata come risorsa strategica per la realizzazione di nuovi prodotti e servizi. Già nel 1990 si inizia a parlare di fabbrica automatica («La fabbrica automatica: nostro prossimo futuro») e nel 1992 di intelligenza artificiale («Intelligenza artificiale e decisioni manageriali: un caso di marketing»). Inoltre, tra i tanti temi affrontati è qui il caso di focalizzare l’attenzione verso uno in particolare poiché rappresenta un’anticipazione di ciò che oggi viene chiamato lavoro agile/smart working: si tratta del telelavoro. I sostenitori del lavoro agile/smart working tendono a sottolineare che il lavoro agile non è telelavoro, ma gli aspetti che venivano associati al telelavoro in un articolo pubblicato nel 1996 potrebbero tranquillamente essere riferiti al lavoro agile: 

L’introduzione e la diffusione del telelavoro sono destinate a determinare profondi cambiamenti non soltanto nelle imprese che dovessero decidere di adottare questa modalità di lavoro, ma anche nel contesto più ampio dell’ambiente sociale ed economico in cui le imprese operano. […] A differenza di quanto avveniva in precedenza [i lavoratori] non dovrebbero più porsi alla ricerca di un «posto di lavoro», ma dovrebbero prefiggersi l’obiettivo di «ricercare del lavoro» da svolgere. […] Si dovrebbe verificare un alleggerimento della domanda di trasporti su tratte brevi […] Si dovrebbe ridurre la necessità di spazio per gli uffici delle aziende […] di contro le persone, lavorando a casa, dovrebbero richiedere un aumento delle dimensioni delle unità abitative[32].

Nel 1996-1997, inizia l’avvio di una pubblicazione sistematica di articoli dedicati alle PMI:

Tali articoli, nella loro probabile diversità, avranno una caratteristica omogenea: il tentativo di proporre all’attenzione del lettore problematiche importanti nella gestione di piccole e medie imprese, quali ad esempio lo sviluppo con o senza crescita dimensionale, l’evoluzione degli assetti proprietari, l’acquisizione e la gestione del capitale di rischio, l’ingresso in mercati esteri, lo sviluppo tecnologico, la costruzione del gruppo dirigente e l’utilizzo di tecniche manageriali adeguate, con il dichiarato intento di non sottovalutare gli ostacoli altrettanto specifici, perché dovuti alle caratteristiche strutturali di queste imprese, che si possono frapporre nella realizzazione di pur giuste iniziative. Non dunque una meccanica e inutile, se non deleteria, trasposizione dalla grande impresa delle soluzioni di successo ivi sperimentate, ma l’esame dei bisogni e l’approfondimento di proposte risolutive che sappiano superare i limiti naturali in cui queste imprese vivono[33].

Nel 1990 viene pubblicato uno dei primi articoli dedicato alla Cina, intitolato «L’impresa nella Cina di Deng», mentre nel 1995 è la volta di «Produrre in Cina: basso costo o mercato potenziale?». La Cina, quindi, comincia timidamente a entrare nel dibattito. Fino a quel momento l’attenzione verso l’estero, oltre alle questioni legate all’integrazione europea, era destinata da una parte agli Stati Uniti e al Giappone come fonte d’ispirazione sul fronte dei principi manageriali (dal fordismo al toyotismo spesso, però, lavato in acque statunitensi), dall’altra al mondo ex-comunista. Per esempio, la rivista si occupa della transizione all’economia di mercato da parte dell’Unione Sovietica («Ridisegnare il sistema economico sovietico», «Imprenditorialità e responsabilità in Unione Sovietica») e della Polonia («La riforma economica in Polonia», «Gli investimenti esteri in Polonia: aspetti economici e normativi per la costituzione di joint venture»). Infine, un articolo è dedicato alla riunificazione della Germania («L’unificazione tedesca: tendenze, rischi e opportunità»).

La trattazione dell’etica negli editoriali riguardava l’esito di Tangentopoli e la condizione dell’intero Paese. Un riflesso di questo argomento lo troviamo in una intervista, pubblicata nel 1993, a cura dello stesso Dematté al giudice Piercamillo Davigo intitolata «Tempo per un nuovo inizio. Intervista al giudice Piercamillo Davigo» e in un articolo pubblicato nel 1995 a firma di Antonio di Pietro («Istituzioni e imprese: etica e meritocrazia nel pubblico e nel privato»). Successivamente l’etica diviene «etica d’impresa» e viene trattata in due articoli: «L’etica nella gestione d’impresa» e «Etica aziendale e finalità imprenditoriali». Nel 1997 è pubblicato un articolo intitolato «Profitti a fin di bene. Dalla filantropia aziendale al marketing filantropico» in cui in maniera più netta il tema etico-filantropico è considerato in ottica utilitaristica:

Il marketing filantropico è uno strumento efficace a disposizione delle imprese che vogliono differenziarsi dai loro concorrenti, integrando vantaggi di tipo economico alla possibilità di aiutare la comunità nella quale operano. In questo articolo si propone un modello d’analisi, descrittivo della filantropia aziendale, con l’intento di sottolineare l’utilità della beneficenza aziendale quale strumento di marketing[34].

L’etica, da condizione per far funzionare il mercato, diventa essa stessa merce da «vendere» sul mercato.

E quindi…

Dall’analisi degli editoriali e degli articoli pubblicati nel decennio 1988-1997 emerge un legame tra fenomeni del contesto socio-economico e argomenti trattati/affrontati dalla rivista. Infatti, i temi più frequenti hanno riguardato i (nuovi) modelli d’impresa, le dinamiche competitive, il cambiamento e l’innovazione. In particolare, l’attenzione della rivista si è focalizzata sull’apertura dei mercati e sulla realizzazione di una «vera» economia di mercato; e anche su come le organizzazioni (le imprese, le banche, la pubblica amministrazione) e gli individui al loro interno (imprenditori, manager, amministratori, lavoratori) dovessero sapersi adattare a questo nuovo ambiente. Le parole chiave, al di là di quelle più frequenti citate nella Figura 3, sembrano essere efficienza del sistema-Paese e delle sue organizzazioni, innovazione e solidarietà – perché il cambiamento porta anche conflitto, e il conflitto va gestito. In maniera coerente con questo quadro, in Italia sembrano svilupparsi due gruppi di attori individuali e collettivi: gli attori, per dirla con le parole del Censis, neo-borghesi che hanno saputo percepire, scrutare e interpretare il cambiamento e che dispongono delle risorse, degli strumenti e delle capacità per reggere l’impatto d’urto che ne consegue; e quegli attori che non lo hanno percepito o non lo hanno voluto percepire e che, quindi, si sono trovati senza la preparazione e le competenze per affrontarlo.

La rivista inoltre si aggancia alle tendenze internazionali nel campo del management, della finanza e del marketing, contribuendo a diffondere nel contesto italiano sia i principi del business process reengineering, del total quality management, dell’aziendalizzazione del settore pubblico, sia nuove tecniche di gestione dei costi e nuovi strumenti finanziari; inizia inoltre a occuparsi dell’impatto delle innovazioni basate sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Si avvia un processo di legittimazione di questi principi manageriali da parte della comunità scientifica poiché essi sono, salvo rare eccezioni, presentati come le soluzioni più adatte ai problemi generati dal contesto economico-sociale.

1

V. Perrone, «Evoluzione organizzativa: Crisi dei paradigmi dominanti e nuovi modelli di cooperazione», Economia & Management, n. 2, 1996.

2

M. Foucault, La volontà di sapere: storia della sessualità 1, Milano, Feltrinelli, 1978 (ed. or. 1976).

3

P.A. Sorokin, Fads and Foibles in Modern Sociology and Related Sciences, Westport (CT), Greenwood Press, 1956.

4

M. Bronfebrenner, «Trends, cycles, and fads in economic writing», The American Economic Review, 56(1/2), 1966, pp. 538-552.

5

E. Abrahamson, «Management fashion», Academy of Management Review, 21(1), 1996, pp. 254-285.

6

E. Abrahamson, C. Fombrun, «Macro-cultures: determinants and consequences», Academy of Management Review, 19(4), 1994, pp. 728-755; E. Abrahamson, G. Fairchild, «Knowledge industries and idea entrepreneurs: new dimensions of innovative products, services, and organizations», in C. Bird Schoonhoven, E. Romanelli (eds.), The entrepreneurship dynamic: origins of entrepreneurship and the evolution of industries, Stanford (CA), Stanford Business Books, 2001, pp. 147-177.

7

Claudio Dematté è stato anche Direttore di SDA Bocconi dal 1984 al 1989 e Presidente dal 1996 al 2004 (https://www.sdabocconi.it/it/claudio-dematte).

8

C. Dematté, «Dedicato all’azienda», Economia & Management, n. 1, 1988, p. 1.

9

D. Harvey, A Brief History of Neoliberalism, Oxford, Oxford University Press, 2005.

10

Tutti questi eventi sono databili tra il 1985 e il 1992. L’Italia aderì a Schengen nel 1990 e avviò la libera circolazione delle persone nel 1997.

11

G. Amato, A. Graziosi, Grandi illusioni: ragionando sull’Italia, Bologna, il Mulino, 2013; E. Felice, Ascesa e declino: storia economica d’Italia, Bologna, il Mulino, 2015; G. Crainz, Storia della repubblica, Roma, Donzelli, 2016; M. Salvadori, Storia d’Italia: il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Torino, Einaudi, 2018.

12

G. De Rita, Dappertutto e rasoterra, Milano, Mondadori, 2017.

13

Quello della Francia nel periodo 1988-1993 era in media a -3,5 per cento.

14

Amato, Graziosi, op. cit; Felice, op. cit.

15

Felice, op. cit.

16

L’Iri, l’Eni, l’Ina e l’Enel vennero trasformati da enti pubblici in società per azioni nel 1992. Questa trasformazione comportò che le nuove società fossero sottoposte alla disciplina comunitaria in materia di concorrenza e aiuti pubblici.

17

Amato, Graziosi, op. cit., p. 160.

18

P. Bianchi, La rincorsa frenata: l’industria italiana dall’unità alla crisi globale, Bologna, il Mulino, 2013.

19

R.A. D’Aveni, Hyper-Competition. Managing the Dynamics of Strategic Maneuvering, New York, The Free Press, 1994.

20

In base alle informazioni ricavabili dal titolo e dal testo i ricercatori hanno individuato progressivamente una serie di temi/categorie e suddiviso gli editoriali all’interno di essi. I temi/categorie sono: la governance, i modelli d'impresa, i fondamenti del management; la competizione (strategie, imprenditorialità, innovazione, internazionalizzazione); il lavoro, il capitale umano, le organizzazioni; le patologie economico-finanziarie e sociali, il rapporto tra banche e imprese; le economie dell’Est Europa; la responsabilità della classe dirigente; la rivista; il sistema-Paese; il cambiamento; la nuova economia; l’Unione Europea.

21

C. Dematté, «Il Mezzogiorno in trappola: come uscirne», Economia & Management, n. 6, 1996.

22

C. Dematté, «Sostituire la cultura dell’emergenza con la cultura della concorrenza», Economia & Management, n. 1, 1993.

23

C. Dematté, «Alla ricerca di un nuovo modello», Economia & Management, n. 6, 1993.

24

Ivi, p. 8.

25

C. Dematté, «Competizione senza confini e senza protezione di cambio: una sfida per le aziende e per il paese», Economia & Management, n. 6, 1997.

26

  C. Dematté, «Management fra rigore e moda», Economia & Management, n. 9, 1989.

27

C. Dematté, «Sostituire la cultura dell’emergenza con la cultura della concorrenza», cit.

28

C. Dematté, «Voltare pagina: in fretta e bene», Economia & Management, n. 2, 1993.

29

Dal numero complessivo di contributi pubblicati nel periodo 1988-1997 sono stati esclusi: i 58 editoriali che sono stati analizzati separatamente; le rubriche «Risonanze» e «Fotogrammi» perché fanno riferimento a discipline differenti rispetto a quelle che ricadono nel campo del management. Queste rubriche saranno analizzate separatamente e la loro analisi sarà presentata nel quarto articolo di questa serie.

30

La grandezza delle parole rappresenta la frequenza con cui quella parola compare nel titolo dei 528 articoli analizzati. Per semplicità di analisi le parole con significato simile sono state accorpate. Per esempio, il termine «imprese» è stato reso con «impresa»; «aziendale», «aziendali» con «azienda»; i termini «strategico», «strategica» con «strategia», ecc.

31

In base alle informazioni ricavabili dal titolo, dall’abstract, dal testo, dall’autore/autori e dai riferimenti bibliografici i ricercatori hanno suddiviso gli articoli, prima di tutto, tra le seguenti discipline: accounting (programmazione e controllo, contabilità e bilancio), comunicazione, diritto, economia politica, finanza e intermediari finanziari, management delle organizzazione culturali, management pubblico/sanitario/non profit, marketing, operations (produzione, logistica), organizzazione (teorie organizzative, comportamento organizzativo, HRM), storia, strategia e management (strategic management, economia aziendale, gestione). Successivamente sono stati individuati uno o più temi chiave (per esempio, business process reengineering, total quality management ecc.). Questi temi chiave, per semplicità di esposizione, sono stati raggruppati in una serie di macrotemi che sono: assetti organizzativi, brand management, clienti e consumatori, comportamento organizzativo, comunicazione esterna, concorrenza, conoscenza, contabilità e bilancio, cultura organizzativa, decisioni, dinamiche competitive, etica, Europa, fondamenti del management, governance/assetti istituzionali, human resource management, sistemi informativi/information and communication technology (ICT), imprenditorialità, innovazione e cambiamento, marketing strategico/operativo, marketing territoriale, performance (misurazione, valutazione), produzione/supply chain, project management, reti d’imprese (network, distretto, cooperazione, collaborazione, relazioni inter-organizzative, joint venture), temi di finanza, focus per Paesi e/o settori.

32

P.F. Camussone, «Gli effetti del telelavoro: come la tecnologia cambierà gli assetti delle aziende e dell’ambiente socio-economico», Economia & Management, n. 3, 1996.

33

P. Preti, «Piccola e media impresa: il contributo di Economia & Management», Economia & Management, n. 5, 1996.

34

E. Valdani, «Profitti a fin di bene. Dalla filantropia aziendale al marketing filantropico», Economia & Management, n. 1, 1997.