E&M

2020/5

Zenia Simonella Stefano Basaglia

2008-2018: come leggere il dopo-crisi

Questo terzo articolo della mini-serie dedicata ai trent’anni di Economia & Management si concentra sul terzo decennio della storia della rivista, dal 2008 al 2018, cui si aggiunge qualche excursus relativo al 2019.

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Sul fronte della rivista, il decennio 2008-2018 vede il succedersi di tre Direttori: Vincenzo Perrone, che rimarrà direttore fino al numero 3 del 2013, Guido Corbetta, che dirige la rivista dal 2014 al 2017, e Fabrizio Perretti, che assume la direzione a partire dal numero 1 del 2018. Inoltre, a partire dal numero 3 del 2015 cambia anche l’editore: non più la Etas del Gruppo Rizzoli, ma Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi.

Uno dei temi più dibattuti sulla rivista in questi anni riguarda quale sia il pubblico di riferimento di Economia & Management: i manager? Gli studiosi di management? Sia gli uni sia gli altri? Una discussione che si lega anche al modo attraverso cui diffondere le idee, i risultati delle ricerche, le interpretazioni. Tutte queste domande si possono condensare nel rapporto tra rigore (accademico e scientifico) e rilevanza (pratica). A questo proposito, Vincenzo Perrone nell’editoriale di commiato dalla rivista scrive[1]:

 

«Ho scelto una linea editoriale chiara che ho sintetizzato nello slogan “l’interessante proposto e sostenuto in modo rigoroso”. Sono convinto, infatti, che si possa avere un impatto sulla pratica manageriale, che è l’obiettivo che riviste come la nostra si propongono, senza dovere rinunciare a fondare scientificamente le proprie idee e le proprie proposte. Lascio una rivista leggibile con profitto e senza troppo annoiarsi da chi un’impresa la gestisce ogni giorno e del pari accettata come rivista scientifica dall’Accademia Italiana di Economia Aziendale».

 

Un esempio di questo connubio è la creazione (dal numero 2 al numero 5 del 2012) di una sezione chiamata «Rilevanza e Rigore» in cui pubblicare estratti delle ricerche degli studiosi che avevano appena completato il percorso di dottorato.

Guido Corbetta quando assume la direzione nel 2014 rinnova la sfida di far dialogare ricercatori e manager[2]:

 

«In questi ultimi anni non è sempre stato facile far confluire i risultati [delle] ricerche e [delle] idee in un format come quello di E&M. Eppure, credo che ci sia la possibilità di tornare ad attivare un circolo virtuoso in cui ricercatori e ricercatrici, uomini e donne che lavorano nelle e per le aziende si arricchiscano reciprocamente […]. Questa è la sfida che si può affrontare, provando a vincerla. […] La primaria missione di E&M è pubblicare articoli che contengano idee, modelli e strumenti utili per coloro che lavorano nelle e per le aziende: imprenditori, manager, lavoratori, professionisti, consulenti, sindacalisti, policy maker e così via. E quando si parla di aziende, come scriveva spesso Dematté, ci si riferisce all’ordine economico di tutte le istituzioni, siano esse imprese manifatturiere, imprese di servizi, banche e altri istituti finanziari, istituti pubblici. Ritengo che questa missione debba ancora essere la stella polare della rivista».

 

Per sostenere questa sfida, a partire dal numero 3 del 2014, sono introdotte alcune innovazioni. Ogni numero è dedicato a un tema dominante o dossier e si aggiungono nuove rubriche (descritte in dettaglio più avanti). I cambiamenti di contenuto sono accompagnati da un rinnovamento nella grafica[3]:

 

«Fra le innovazioni più evidenti un ripensamento della “navigazione”, cioè delle coordinate che permettono di orientarsi nella rivista. Quindi l’introduzione di un “piano colore” che segnala, anche concettualmente, il passaggio fra le sezioni, dando ritmo e carattere. Poi alcuni tentativi di ripensamento della “griglia” e del “lettering”, i sistemi che aggiungendo profondità alle pagine donano velocità diverse alla lettura e facilitano la distinzione tra i vari tipi di contributi, che abbiamo deciso di valorizzare puntando sulla “personalizzazione”, ovvero su una maggior capacità d’identificazione tra gli articoli e gli autori. Last but not least, abbiamo iniziato a lavorare sull’aspetto più evidente e rischioso: la copertina. Questa è il biglietto da visita di un periodico, la faccia dove si sintetizzano la personalità, gli obiettivi e l’identikit del lettore. […] Quelli che appaiono semplici formalismi estetici sono l’esito di un percorso di pensiero, il segno tangibile di un ripensamento concettuale che comporta una precisa volontà di cambiamento che intendiamo perseguire. La ragione dei cambiamenti è chiara: preservare lo spirito e la funzione che la nostra rivista possiede fin da quando Claudio Dematté l’ha fondata, adeguandola agli standard, ai codici e ai ruoli attuali. Viviamo un’epoca di trasformazione e vogliamo impegnare ogni energia per far sì che E&M rimanga uno dei protagonisti del dibattito culturale intorno ai fatti e alle idee di economia e di management».

 

A partire dal numero 1 del 2016, viene introdotta non solo una nuova veste grafica, ma vi è il lancio vero e proprio del sito della rivista e una maggiore differenziazione tra la rivista (su supporto cartaceo e digitale) e il sito stesso. Inoltre, viene introdotta una chiara distinzione tra articoli prettamente pratici pubblicati nella sezione «Themes» e articoli dichiaratamente accademici pubblicati nella sezione «Science».

Il passaggio di testimone tra Guido Corbetta e Fabrizio Perretti avviene nel numero 5 del 2017. Scrive Perretti[4]:

 

«Da allievo di Claudio Dematté, essere chiamato alla guida di Economia & Management, la rivista della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi da lui fondata quasi trent’anni fa, è per me allo stesso tempo un grande onore e una sfida. Si tratta di portare avanti, in un contesto profondamente cambiato e in continua evoluzione, un lavoro orientato allo sviluppo e alla promozione di una cultura economica e manageriale moderna nel nostro paese».

 

Nel numero 1 del 2018, Fabrizio Perretti precisa come portare avanti l’eredità di Dematté concentrando maggiormente l’attenzione sulla rilevanza e sul contributo che la rivista può dare al dibattito pubblico[5]:

 

«L’attività di management e il contesto economico e sociale entro cui operano le aziende rappresentano – fin dall’origine – il centro d’attenzione della rivista, sia come focus sia come prospettiva di analisi e interpretazione, da parte di chi le studia nelle università e nei centri di ricerca, ma anche di chi vi opera dall’interno e ne fa oggetto di riflessione. Interpretazione caratterizzata quindi da un pluralismo di voci e di prospettive, ma che deve nello stesso tempo rifuggire l’adesione acritica, l’abbandono fideistico e il cedimento intellettuale. Il fine che la rivista si propone non è però solo quello di interpretare la realtà, ma è anche quello di stimolare una reazione continua, di partecipare a un dibattito pubblico che coinvolga anche il management e le stesse imprese che studia e a cui si rivolge. Come ricordato da Dematté, il modo migliore per aiutare le imprese a trovare ciascuna la propria strada è quello di esporle all’insieme delle esperienze e delle idee che si confrontano sul tema, anche costringendole a guardare quello che preferirebbero evitare, toccando alcuni nervi scoperti. Ciò che qualifica una classe dirigente è infatti la sua capacità di mettersi in gioco, di rendersi disponibile, di farsi giudicare. È su questa visione originaria, su questa eredità, che si fondano la premessa e la promessa della futura linea editoriale della nostra rivista».

 

Questi propositi si trasformano in una nuova impostazione a partire del numero 1 del 2019: la rivista esce con una nuova grafica, il dossier tematico di ciascun numero viene ampliato e le rubriche sono pubblicate solo sul sito della rivista.

La Figura 1 presenta alcune copertine della rivista: la copertina del primo numero del decennio (gennaio 2008); la copertina del numero 1 del 2014, il primo firmato da Guido Corbetta; la copertina del numero 3 del 2014 dedicata al fondatore della rivista Claudio Dematté; la copertina del numero 1 del 2016, che si caratterizza per un rinnovamento in conseguenza del cambio di editore; le ultime due copertine del 2019 che segnano una profonda revisione grafica e contenutistica. 

Figura 1 Alcune copertine di Economia & Management

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Lo Zeitgeist tra il 2008 e il 2018

Il periodo oggetto di questo terzo articolo è segnato, a livello internazionale, da figure politiche molto diverse le une dalle altre. Sul fronte atlantico si ha il passaggio dalla presidenza di Barack Obama (2009-2017) a quella di Donald Trump (2017-). In Europa, si assiste: al tramonto di David Cameron dopo l’esito del referendum sulla Brexit del 2016; al perdurare del lungo «regno» di Angela Merkel in Germania; all’ascesa di Emmanuel Macron in Francia (2017). In Asia, emerge la figura del presidente cinese Xi Jinping (2012). Alcuni degli eventi chiave sono stati: l’avvio di una profonda crisi economica e finanziaria a livello globale, simbolicamente rappresentata dal fallimento della banca statunitense Lehman Brothers (12 settembre 2008); la caduta del regime di Gheddafi in Libia (2011) inserita in un contesto di forti tensioni nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente, che diventa causa di un movimento migratorio verso l’Europa; gli attentati terroristici dell’Isis tra i quali quello al Bataclan di Parigi (13 novembre 2015); la vittoria del leave al referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea (23 giugno 2016).

A livello nazionale il 2008 si apre con il ritorno al governo del centro-destra (IV governo Berlusconi) cui succederà nel 2011, a seguito delle tensioni all’interno della maggioranza di governo e della grave crisi finanziaria, un governo tecnico guidato dall’economista Mario Monti (2011-2013) e appoggiato dal Popolo delle Libertà e dal Partito Democratico. Nel periodo 2013-2018 ritorna al governo il centro-sinistra con i governi Letta, Renzi e Gentiloni. L’esito delle elezioni del marzo 2018 porta alla nascita di un governo di coalizione tra il partito della Lega e il Movimento Cinque Stelle. Alla Presidenza della Repubblica, nel 2015, a Giorgio Napolitano succede Sergio Mattarella. Sul piano delle decisioni è il caso di citare (in ordine cronologico): il decreto Salva Italia per risanare le finanze pubbliche (2011) del governo Monti; la riforma del diritto del lavoro denominata Jobs Act (2014-2105), la riforma della scuola (la cosiddetta Buona scuola) e della pubblica amministrazione (2015), la riforma della seconda parte della Costituzione (approvata nell’aprile del 2016 e bocciata al referendum popolare nel dicembre dello stesso anno), la legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso (maggio 2016) del governo Renzi; il cosiddetto Decreto dignità (2018) che modifica alcuni aspetti del Jobs Act, l’introduzione della «quota 100» relativamente al sistema previdenziale e del reddito di cittadinanza (2019) da parte del governo Lega-Movimento Cinque Stelle[6].

I temi cardine di questo decennio sono ben rappresentati da due film: Io, Daniel Blake di Ken Loach, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 2016, e La forma dell'acqua di Guillermo del Toro, Leone d’oro alla Mostra di Venezia nel 2017. Il film di Loach pone all’attenzione il tema del lavoro, dei lavoratori e di cosa succede quando, per dirla à la Weber, la razionalità formale prevale su quella sostanziale e quando lo Stato affida ai privati attività che dovrebbero essere di sua competenza: Daniel Blake è un carpentiere, ha sessant’anni ed è malato di cuore. Dovrebbe avere il sussidio di invalidità, ma l’assistenza pubblica è stata appaltata dallo Stato a società private che hanno l’interesse a non assegnare i sussidi. Blake, quindi, dovrà iscriversi alla disoccupazione e cercare lavoro, in attesa che la sua domanda sia respinta per poter fare ricorso. In tutto questo entrano in gioco anche le nuove tecnologie. Infatti, Blake, completamente a digiuno di competenze informatiche, per poter iscriversi alla disoccupazione e/o per chiedere il sussidio deve compilare domande esclusivamente online. Il film di Del Toro, invece, è la storia d’amore, ambientata negli Stati Uniti degli anni Sessanta, tra una donna delle pulizie muta e una creatura anfibia ed è stato definito un «inno alla diversità». Dice il regista:

 

«I veri mostri sono gli uomini ossessionati dalla perfezione, che non tollerano difetti, diversità. E ciò che mi spaventa di più, nella vita reale, è questa mostruosità che volevo affrontare, anche dal punto di vista politico. […] Nel 1962 l'America era protesa verso il futuro perfetto: corsa spaziale, macchine lunghe, cucine belle, donne eleganti. Chi oggi dice di voler fare l'America di nuovo grande guarda a questa America. Ma il 1962 è stato l'anno in cui hanno sparato a Kennedy, c'è stata l'escalation della guerra in Vietnam e l'arrivo della disillusione. Quell'America aveva problemi con l'identità sessuale, era razzista e classista. I pregiudizi di allora sono ancora qui: i messicani rubano il lavoro, non servono bagni per i transgender, i neri sono criminali. Tutte idee sbagliate che sono fonti di odio»[7].

 

Il film di Loach ha una dimensione pubblica e sociale, il film di Del Toro ha una dimensione privata ed individuale, ma entrambi sono politici, nel senso di porre all’attenzione il tema dell’esclusione dal lavoro e dalla società.

 

Il contesto sociale ed economico in Italia

Il rapporto del Censis[8] suddivide il periodo oggetto di questo articolo in due sotto-periodi: il primo (2009-2013) definito «L’adattamento alla crisi» e il secondo (2013-2016) sintetizzato come «L’età del rancore e della nostalgia». Nel rapporto del 2018, invece, si punta l’attenzione verso le radici sociali di un «sovranismo psichico» che sostituisce al rancore la cattiveria. Le parole chiave del decennio sembrano essere «crisi», «rancore», «cattiveria». L’adattamento alla crisi si concretizza in leader ingabbiati nell’opinionismo, in una separazione tra istituzioni politiche dedite al rigore (riduzione di spese, razionalizzazione dell’apparato pubblico) e alla credibilità finanziaria internazionale e soggetti sociali impegnati in affannose strategie di sopravvivenza (sacrifici e restrizioni). La società italiana, quindi, vive in apnea, fragile, isolata, eterodiretta. L’età del rancore e della nostalgia è caratterizzata da un «limbo italico» in cui gli individui, le famiglie e le imprese restano in un recinto securizzante in preda appunto al malanimo del rancore e al languore della nostalgia. Il malanimo del rancore, poi, si trasforma in cattiveria. Scrive il Censis alla presentazione del 52° rapporto[9]:

 

«Dopo il rancore, la cattiveria: per il 75% degli italiani gli immigrati fanno aumentare la criminalità, per il 63% sono un peso per il nostro sistema di welfare. Solo il 23% degli italiani ritiene di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore di quella dei genitori e il 67% ora guarda il futuro con paura o incertezza. Il potere d'acquisto delle famiglie ancora giù del 6,3% rispetto al 2008. Emergenza lavoro: scompaiono i giovani laureati occupati (nel 2007 erano 249 ogni 100 lavoratori anziani, oggi sono appena 143)».

 

Da un punto di vista macro-economico (Tabella 1), l’Italia in questi anni vede: un calo del PIL nel 2008, 2009, 2012 e 2013 e una crescita media dello 0,9 per cento nel periodo 2014-2018; un rapporto deficit/PIL al di sopra del 3 per cento nel 2009, 2010 e 2011 e su una media del 2,5 per cento nel periodo 2014-2018; il rapporto tra il debito pubblico e PIL aumenta progressivamente dal 102,3 per cento del 2008 al 131,6 del 2015 per poi scendere lievemente nel periodo 2016-2018; il tasso di inflazione è in media dell’1,4 per cento, con un picco del 3,3 per cento nel 2008 e un minimo dello 0,1 per cento nel 2015 e 2016; il tasso di disoccupazione sale progressivamente dal 6,7 per cento del 2008 al 12,7 per cento del 2014, per poi scendere al 10,6 per cento del 2018.

Tabella 1 L’Italia da un punto di vista macro-economico (2008-2018)

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Fonte: ISTAT, dati.istat.it.

Passiamo ora dai dati macro-economici al tipo di attori che popolano il sistema economico nel periodo 2008-2018. Patrizio Bianchi divide questi attori in tre gruppi[10]: le imprese pubbliche (Eni, Enel, Gse, Finmeccanica-Leonardo, Poste Italiane, A2A), le imprese private che hanno acquisito attività regolate pubblicamente (Telecom Italia, Edizione, Edison, Wind-3 e Fininvest) e un insieme di gruppi manifatturieri grandi e medio-grandi (nel settore meccanico, chimico, farmaceutico, alimentare) in grado di fronteggiare la competizione globale. In termini generali, comunque, le imprese multinazionali italiane sono poco presenti nelle aree ad alta tecnologia, abbastanza presenti nelle aree a tecnologia medio-alta, molto presenti nelle aree a bassa tecnologia. Bianchi sottolinea anche [11]:

 

«Pare che in Italia questo lungo periodo di stagnazione, ma anche di esaltazione del conflitto e di rottura di ogni concertazione, successivo al governo dell’Ulivo, abbia minato quel capitale sociale di relazioni che veniva considerato dalla letteratura italiana e soprattutto internazionale come l’elemento sostanziale del successo italiano».

 

A questo proposito Giuseppe Berta puntualizza[12]:

 

«Altre sono le tendenze di un cambiamento economico che ha assorbito un’impronta marcatamente individualistica negli ultimi due decenni del Novecento, vissuti all’insegna di una mobilitazione molecolare assai distante dall’andamento collettivo del processo di industrializzazione degli anni Cinquanta e Sessanta. Tanto allora il movimento economico era stato attivato e modellato dal principio dell’organizzazione e dai suoi valori gerarchici, quanto quello recente si è riversato piuttosto lungo una rete infinita di percorsi individuali, particolari. Ne è scaturito un microcapitalismo animato da progetti economici dei singoli e non più disciplinato da esplicite cornici organizzative».

Il dibattito manageriale

Il discorso manageriale in questo periodo è, da un punto di vista teorico-concettuale, sostanzialmente in continuità con quello del decennio precedente e influenzato da tre fenomeni: lo sviluppo tecnologico, la crisi finanziaria, il cambiamento socio-demografico a livello globale.

Per quanto riguarda lo sviluppo tecnologico, sotto l’etichetta di «quarta rivoluzione industriale» rientrano contributi che mirano ad analizzare gli impatti economici e sociali, positivi e negativi, legati allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. A questo proposito possono essere citati a titolo di esempio: secondo una prospettiva più ottimista e positiva, The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies (2014) e Machine, Platform, Crowd: Harnessing Our Digital Future (2017) entrambi di Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee; da una prospettiva critica, The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power (2017) di Shoshana Zuboff. Inoltre, alcuni contributi si focalizzano sulle piattaforme della cosiddetta sharing economy: per esempio, in un articolo di Peter Fleming pubblicato su Organization Studies nel 2017[13], al famoso termine mcdonaldization coniato dal sociologo George Ritzer[14] sostituisce il termine uberization ossia un sistema economico basato sul lavoro autonomo (self-employment), sui freelance e su modelli di business on-demand. Oppure, Uberland: How Algorithms Are Rewriting the Rules of Work (2018) di Alex Rosenblat.

Gli altri due fenomeni (crisi e cambiamenti socio-demografici) sono trattati in alcuni dei titoli delle conferenze annuali dell’americana Academy of Management. Quella del 2010 era dedicata a «Dare to Care: Passion and Compassion in Management Practice and Research», mentre quella del 2013 aveva per titolo «Capitalism in Question». In entrambe le conferenze l’invito era a discutere del benessere della società in generale – quindi, non solo delle imprese – e degli aspetti negativi per l’ambiente naturale e sociale legato alle attività delle imprese. Il titolo dell’edizione del 2011 era «West Meets East: Enlightening, Balancing, and Transcending». In questo caso, lo stimolo era a lavorare su modelli non necessariamente americo-centrici e, quindi, ad aprire la ricerca a contesti socio-culturali differenti, in primis quelli asiatici. Il titolo dell’edizione del 2019 è «Understanding the Inclusive Organization» e l’invito è a lavorare sullo sviluppo di organizzazioni che siano in grado di fronteggiare l’aumento della diversità della forza lavoro e l’allentamento dei legami tra i lavoratori e le organizzazioni (in seguito alla già citata uberization).

Il ruolo di Economia & Management

Gli editoriali

Nel periodo 2008-2018 sono stati pubblicati 65 editoriali: 17 a firma di Vincenzo Perrone (di cui uno con Giuseppe Soda), 12 di Guido Corbetta (di cui uno con Fabrizio Perretti), 11 di Gianmario Verona, 7 di Andrea Sironi, 6 di Giuseppe Soda, 5 di Fabrizio Perretti, 2 di Stefano Gatti, 1 di Emanuele Borgonovo (con Bruno Busacca e Giuseppe Soda), 1 di Giovanni Fattore, 1 di Giovanni Ferri, 1 di Marco Onado, 1 di Severino Salvemini.

I due macro-temi prevalenti sono il lavoro, il capitale umano e le organizzazioni (20 per cento) e la competizione (20 per cento); seguono il tema degli intermediari finanziari e della finanza (15 per cento), quello relativo al ruolo di Economia & Management (15 per cento) e il tema della governance, dei modelli d’impresa e dei fondamenti del management (11 per cento) (Figura 2). Le parole più frequenti nei titoli degli editoriali (Figura 3) sono «crisi», «crescita», «manager», «innovazione», «riforma» e «riformare»[15]. Da queste parole emerge sia il problema (la crisi) sia la soluzione proposta (il cambiamento).

Figura 2 I temi degli editoriali (2008-2018)

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Figura 3 Le parole più frequenti nei titoli degli editoriali (2008-2018)

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Il decennio si apre con l’editoriale di Vincenzo Perrone «Elogio della malinconia. Realismo, creatività e possibilità di cambiamento», nel quale si pone al centro il tema del cambiamento a partire da una mobilitazione delle risorse psicologiche (tanto che la malinconia viene considerata una molla fondamentale per l’attivazione dei processi creativi) e di quelle economiche e simboliche. Attivare i processi di creatività e innovazione diventa la chiave per affrontare il futuro. Scrive infatti Perrone[16]:

«Certe illusioni non possiamo più coltivarle: non possiamo pensare di mantenere i nostri livelli di benessere producendo meno e in settori nei quali ricerca avanzata e innovazione non fanno la differenza. Non possiamo distribuire diversamente una ricchezza che non riusciamo più a creare al ritmo del quale siamo stati capaci in passato».

 

È quindi il tema dell’innovazione a caratterizzare il dibattito di questi anni, come a indicare che la strada per uscire dalla crisi si trovi in una diversa e creativa combinazione delle risorse esistenti. A partire dal numero 3 del 2008 si susseguono diversi editoriali sul tema: «Winter in Venice. Riflessioni sul cambiamento (e la politica)» (a firma di Perrone, numero 3 del 2008), «Chi protegge l’innovazione?» (di Verona, numero 6 del 2008), «Dieci, cento, mille ITEA. Condizioni per un nuovo Rinascimento italiano» (di Perrone, numero 1 del 2009), «Perché il leader di mercato non sa più innovare?» (di Verona, numero 6 del 2009), «E se, oltre al software e alla musica, anche il romanzo va a finire sulle nuvole?» (di Verona, numero 2 del 2011), «Se l’impresa intercetta i movimenti sociali, il processo vince sul prodotto» (di Soda, numero 4 del 2011), «L’innovazione di mercato quale leva per la crescita» (di Verona, numero 2 del 2013), «Dove l’innovazione meno te la aspetti» (di Verona, numero 6 del 2013), «Dai bilanci alle nuvole: l’evanescenza del valore secondo la Rete» (di Verona, numero 6 del 2014), «Sharing economy. Sfida a tutto campo» (di Verona, numero 3 del 2016). L’innovazione viene quindi affrontata da diversi punti di vista: dalla protezione tramite diritti d’autore e brevetti (con una discussione della loro efficacia e dei loro limiti) fino al ruolo dei movimenti sociali nella generazione di nuovi business più coerenti ai bisogni del mercato. Scrive a questo proposito Giuseppe Soda[17]:

 

«le imprese possono inserirsi provando a modificare i propri processi per sviluppare modi di produzione e distribuzione che rispecchiano e rispondono ai valori e alle richieste dei movimenti sociali. Si tratta di uno spazio amplissimo che produce peraltro effetti positivi sulla reputazione e la legittimazione delle imprese, certamente più positivi di qualche bilancio di sostenibilità discusso in qualche tempio della finanza. Il tema qui non è quello della responsabilità sociale dell’impresa, bensì l’idea di intercettare il potenziale di sviluppo che si cela dietro le trasformazioni sociali».

 

S’introduce anche il tema della sharing economy che mette in discussione i business model tradizionali[18]:

 

«In molti sembrano rimanere a osservare o al più contrattaccare, ostacolando l’operato di questi nuovi soggetti con iniziative legali che richiamano il rispetto delle regole. Seppur sia decisamente auspicabile una regolamentazione internazionale sotto il profilo fiscale e giuslavoristico di questi operatori anomali, è bene non farsi facili illusioni. La storia di internet ci insegna come la formazione delle nuove regole raramente evolva a favore degli operatori tradizionali – si pensi per tutti al caso degli over-the-top rispetto agli operatori delle telecomunicazioni e dell’editoria […]. La sharing economy è la punta dell’iceberg della digital transformation, la rivoluzione che ormai vent’anni fa ha cominciato a trasformare più o meno lentamente ogni settore dell’economia globale».

 

In questo decennio il problema fondamentale rimane comunque comprendere e analizzare le cause della crisi economico-finanziaria. Lungo il quinquennio 2008-2013 diversi editoriali, tutti a firma di Andrea Sironi, sviscerano il tema. Per esempio, in «La crisi finanziaria internazionale un anno dopo: quali lezioni per le banche e le autorità di vigilanza», pubblicato sul numero 5 del 2008, si analizzano i motivi della formazione di alcune fragilità del sistema economico[19]:

 

«Le condizioni macroeconomiche favorevoli – crescita economica sostenuta, bassi tassi di interesse e di insolvenza, ridotti spread creditizi – hanno favorito l’emergere di quattro importanti elementi di fragilità: 1. un elevato livello di leva finanziaria di imprese e individui; 2. un’inadeguata valutazione da parte delle banche del rischio di credito connesso a prestiti bancari che sarebbero successivamente stati oggetto di cessione nel mercato; 3. una scarsa attenzione da parte delle istituzioni finanziarie al rischio di credito connesso ai titoli risultanti dai processi di titolarizzazione; 4. un elevato grado di leva dei processi di titolarizzazione».

 

Gli editoriali pubblicati successivamente a firma dello stesso Sironi – «Quali regole e quale banca dopo la crisi?» (numero 4 del 2009), «Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le banche e il sistema economico?» (numero 3 del 2010), «Chi ha paura di Basilea 3?» (numero 6 del 2010), «L’industria bancaria europea fra crisi economica e ri-regolamentazione: quali strategie per il futuro?» (numero 5 del 2011), «Le agenzie di rating sul banco degli imputati: colpevoli o innocenti?» (numero 3 del 2012) – discutono le possibili riforme da attuare a partire dalla revisione del sistema di vigilanza prudenziale proposta dal «Comitato Basilea»: si parla di una revisione della composizione del capitale delle banche, dei requisiti patrimoniali a fronte della prociclicità, della leva finanziaria, della liquidità e della possibilità di inserire requisiti addizionali per le cosiddette «banche a rischio sistemico»[20]. Vengono messe sotto esame anche le agenzie di rating, accusate di conflitto d’interesse e di errori commessi nella valutazione di strumenti finanziari complessi, tutti elementi che avrebbero contribuito all’esasperazione dei cicli economici. Tuttavia, scrive sempre Sironi[21]

 

«la regolamentazione introdotta in sede europea ha finora affrontato in modo corretto questi problemi, imponendo alle imprese del settore il rispetto di fondamentali principi di rigore, trasparenza e indipendenza. Più di recente, alle agenzie di rating è stata almeno in parte imputata la responsabilità dei problemi economici e finanziari che caratterizzano gli emittenti, specie quelli sovrani dell’area dell’euro, di fatto confondendo il sintomo con la causa della malattia».

 

A partire dal 2015 gli editoriali relativi all’ambito «Economia degli intermediari finanziari e finanza» non riguardano più l’analisi della crisi economico-finanziaria internazionale, ma piuttosto la riforma del credito cooperativo italiano[22].

L’altro macro-tema rilevante che attraversa tutto il decennio è quello relativo al lavoro, al capitale umano e alle organizzazioni: in esso rientrano editoriali che si occupano dell’impatto della crisi sul mercato del lavoro («Careful with That Axe, Eugene! Il dramma silenzioso dei manager senza lavoro», di Perrone, uscito sul numero 2 del 2009; e «Perché l’orso polare ci commuove più di un cassintegrato? Sostenibilità ambientale e umana», sempre di Perrone, numero 1 del 2011) e aspetti più generali della vita dell’organizzazione, quali i processi di identificazione e d’inclusione, considerati asset fondamentali per la sopravvivenza dell’impresa, soprattutto nei momenti di incertezza e di crisi («Nella sfida col mondo ci giochiamo la carta dell’identità», di Perrone, numero 1 del 2010).

Si segnalano inoltre editoriali che trattano nuove tematiche o affrontano problemi contingenti, come il ruolo dei social network nella costruzione di reti nel mercato del lavoro («“Ma sei proprio tu?” Relazioni, reti ed economia ai tempi del social networking», di Soda, uscito sul numero 3 del 2009), il ripensamento della formazione executive alla luce dei nuovi cambiamenti nel settore dell’istruzione («MBA e manager: ma è veramente crisi?», di Verona, numero 2 del 2012), la necessità della costruzione di team di valore per il successo dell’impresa. Scrive a questo proposito Corbetta[23]:

 

«Per organizzare una bella squadra manageriale occorre partire da una convinzione, semplice ma non scontata: “L’errore più grande in cui si può cadere è credere che si possa fare tutto da soli”. Un leader di un’azienda deve costruire un gruppo di persone motivate a partecipare al sogno del leader e a realizzarlo dando il proprio contributo. Senza questa premessa non si possono far diventare grandi le aziende e trasmetterle al futuro, perché non si attivano processi di delega ben strutturati e non si attraggono manager di valore. In quest’ambito è innegabile che gli imprenditori italiani abbiano ancora della strada da percorrere».

 

Insieme al tema della costruzione dei processi d’identificazione e d’inclusione, l’altra questione strettamente connessa è la creazione di un buon clima organizzativo per attirare e trattenere le persone nelle organizzazioni[24]:

 

«Nel linguaggio manageriale corrente, il “clima organizzativo” sintetizza lo stato (positivo o negativo) della relazione che lega le persone all’organizzazione a cui contribuiscono con il proprio lavoro. La qualità di questa relazione è un elemento cruciale nel funzionamento di qualsiasi organizzazione o collettività, perché è in grado di influenzare le attività, i processi e i risultati […]. Una lunga e prolifica tradizione di ricerca scientifica nel campo del comportamento organizzativo suggerisce che le conoscenze e le competenze generano effetti molto marginali se non si accompagnano a motivazione, coinvolgimento, identificazione e soddisfazione e, dunque, alla qualità delle relazioni che legano ciascun individuo all’organizzazione nelle sue molteplici sfaccettature (il job, i colleghi, i capi diretti, la leadership aziendale, l’organizzazione)».

 

Con il cambio di direzione nel 2018, e il passaggio di testimone da Guido Corbetta a Fabrizio Perretti, negli editoriali si dà nuovamente spazio ai temi della governance e della competizione[25], e si torna a discutere del ruolo della disciplina manageriale: in particolare, il rapporto tra la conoscenza generata dall’accademia e la sua fruizione da parte dei diversi pubblici, la dialettica tra teoria-ricerca e teoria-utilità. Scrive Fabrizio Perretti[26]:

 

«La rilevanza della scienza per l’attività pratica è un tema ricorrente che oscilla tra due estremi. Da un lato la posizione di netta indipendenza e separazione tra teoria e prassi, in cui la ricerca conoscitiva non deve porsi finalità pratiche. Dall’altro, la posizione opposta di tipo strumentale, in cui la ricerca scientifica deve innanzitutto essere orientata in funzione della sua applicabilità e della sua utilità nella vita activa […]. Il fatto che i manager non leggano gli articoli scientifici pubblicati sulle riviste accademiche non solo non ci deve stupire, ma non deve nemmeno essere considerato un problema. Le riviste scientifiche sono scritte da accademici per accademici, non sono riviste professionali o divulgative (come è per esempio la nostra rivista) rivolte a soggetti esterni. Questo avviene in tutte le discipline, anche in quelle ove la rilevanza pratica risulta addirittura maggiore. Pensiamo forse che i medici di base (ma anche molti di quelli specialistici) leggano regolarmente gli articoli pubblicati su riviste prestigiose come il New England Journal of Medicine, Nature o The Lancet? La risposta è no. Questo però non significa che non vi sia avanzamento nella pratica medica. Il fatto è che i canali attraverso cui si disseminano i risultati scientifici sono altri».

 

Con questo editoriale, come abbiamo accennato, la rivista rinuncia alla sezione «accademico-scientifica» per caratterizzarsi a tutti gli effetti come rivista di cultura manageriale; richiamando il già citato editoriale apparso sul numero 1 del 2018, «Il fine che la rivista si propone non è […] solo quello di interpretare la realtà, ma è anche quello di stimolare una reazione continua, di partecipare a un dibattito pubblico che coinvolga anche il management e le stesse imprese che studia e a cui si rivolge»[27]. Questo nuovo imprinting sarà evidente nella scelta dei dossier tematici del 2019 dedicati prima all’Europa e poi al cinquantesimo del 1969.

Gli articoli

Nel periodo 2008-2018 sono stati pubblicati 816 articoli[28]. Il numero di autori coinvolti, anche più di una volta, è pari a 1282. Di questi il 63 per cento sono uomini e il 37 per cento donne. Le parole più usate nella titolazione degli articoli sono mostrate nella Figura 4[29]. Come si può vedere i termini più frequenti sono, oltre a «intervista» e «caso» – che si riferiscono al tipo di articolo o al metodo usato – «Italia», «impresa/imprese», «crisi», «mercato», «management/gestione», «innovazione», «opportunità», «private equity». La Figura 5, invece, mostra i termini più frequenti degli abstract degli articoli. Si nota una certa specularità rispetto ai titoli dato che le parole più frequenti sono: «impresa/imprese/aziende», «mercato», «sviluppo», «gestione», «settore», «performance», «lavoro», «valore», «sistema», «Italia» e «crescita».

Figura 4 Le parole più frequenti nei titoli degli articoli (2008-2018)

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Figura 5 Le parole più frequenti negli abstract degli articoli (2008-2018)

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Al di là delle parole più frequenti nel titolo e negli abstract, si è proceduto a categorizzare gli articoli lungo due dimensioni[30]. La prima riguarda la disciplina di riferimento. Le tre discipline più frequenti (Figura 6) sono state: strategia, management ed economia aziendale (214 articoli, pari al 26,2 per cento del totale), finanza e intermediari finanziari (139 articoli, pari al 17 per cento del totale), organizzazione aziendale (115 articoli, pari al 14,1 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente, economia politica, marketing, management pubblico/sanitario/non profit, operations e accounting.

Figura 6 Le discipline degli articoli (2008-2018)

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La seconda riguarda, invece, i macro-temi trattati negli articoli. I macro-temi più frequenti (Figura 7) sono stati temi di finanza e intermediari finanziari (126 articoli, pari al 15,4 per cento del totale), dinamiche competitive e imprenditorialità (107 articoli, pari al 13,1 per cento del totale), HRM e comportamento organizzativo (73 articoli, pari all’8,9 per cento del totale). Seguono, in ordine decrescente: concorrenza, focus per Paese e/o settore, marketing strategico/operativo/brand management, governance, assetti organizzativi, reti d’imprese e fondamenti del management, etica, innovazione e cambiamento, contabilità, bilancio e performance, scenari economici e società, ICT, produzione e supply chain, decisioni e altri temi con una frequenza uguale o inferiore all’1 per cento (burocrazia, comunicazione esterna, conoscenza, cultura organizzativa, Jobs Act, marketing territoriale, PMI, project management).

Figura 7 I macro-temi trattati dagli articoli (2008-2018)

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Un modo per comprendere meglio la linea editoriale della rivista è quello di analizzare le rubriche che la caratterizzano. Le rubriche, infatti, sono specializzate per argomento, seguono l’evoluzione di quell’argomento e nascono e muoiono nel tempo. Ricostruirne il percorso, quindi, ci dice qualcosa sui temi che la rivista ha considerato più rilevanti.

Nel periodo di riferimento di questo articolo sono avviate le seguenti rubriche: «La finestra sul mondo» (numero 5 del 2009- numero 1 del 2014), «China Lab» (numero 6 del 2012-numero 5 del 2013), «Diversity Management» (2010-2015), «Il mercato del private equity e degli LBO» (2009-2015), «Euroscenari» (2014-2018), «Numbers» (2014-2015), «I costi della burocrazia» (2016), «Work and Wellbeing» (2017). La rubrica «Il mercato delle regole» è ridenominata, a partire dal numero 1 del 2010, «Moneta, finanza, regole»[31] mentre la rubrica «Storie di straordinaria imprenditorialità» è ridenominata, a partire dal numero 3 del 2014, «Imprenditori ed imprese» (la rubrica sarà pubblicata fino al 2015, per poi essere spostata online).

La rubrica «La finestra sul mondo» rappresenta un’evoluzione della rubrica «Doing business in China» avviata a partire dal numero 1 del 2005. A seguito della scomparsa della curatrice Maria Weber, il comitato editoriale della rivista decise di affidare la rubrica a Bettina Gehrke e a Margherita Sportelli con l’obiettivo di andare oltre la Cina per occuparsi più in generale dei paesi BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), del Medio Oriente, dell’Asia e dell’Africa[32]:

 

«Al di là delle distanze geografiche e delle differenze, era intenzione di noi curatrici andare oltre gli stereotipi comparativi, mantenere al centro “la cultura” quale parola chiave della comprensione, volgendone però l’analisi verso un taglio pratico. Siamo profondamente convinte che poter agire praticamente ed efficacemente in un altro paese significhi comprendere come in quel paese, nel contesto della loro cultura di appartenenza, le persone pensino. […] Nonostante tutte le diversità, i paesi che abbiamo incontrato presentano però alcune caratteristiche in comune: la liberalizzazione economica abbastanza recente, le istituzioni in transizione, lo sviluppo ineguale e la disparità dei redditi. I mercati emergenti appaiono sempre più integrati nell’economia mondiale, a causa dei flussi globali non solo di persone, ma anche di idee e di risorse; eppure […] tutti i paesi hanno mantenuto le proprie caratteristiche culturali distintive, un proprio stile di management e i propri orientamenti di valore, rendendo la comprensione della cultura una variabile di grande peso nelle chance di successo del business. Alcune parole chiave sono apparse ricorrenti […] e sono state cambiamento, complessità, paradossi, insieme all’emergere di forme culturali ibride, rappresentate dalla convergenza e dalla coesistenza dei modelli culturali tradizionali con i valori organizzativi d’Occidente. La tensione tra differenze culturali e convergenze ha fatto emergere così la consapevolezza sempre più convinta della necessità di uno stile di leadership adattabile al contesto, in grado di integrare e bilanciare valori e criteri che si contraddicono, in una continua accoglienza dell’ossimoro. Dalla consapevolezza che non si possa trasferire tout court un’esperienza culturale e di management fatta in India a un’altra da farsi, per esempio, in Mozambico, nasce anche quella che un manager di qualità oggi debba sviluppare una complessità cognitiva e comportamentale che va al di là delle competenze tecniche».

 

La Cina, però, non scompare dal radar della rivista perché sarà oggetto di una rubrica ad hoc, a cura di Fabrizio Perretti, denominata «China Lab», riprendendo il nome dall’omonimo osservatorio della SDA Bocconi attivo tra il 2012 e il 2018. A partire dal 2016 la rubrica cambia nome in «China Watching» ed è pubblicata solo online.

La rubrica «Diversity Management» a cura dei ricercatori dell’omonimo osservatorio di SDA Bocconi aveva l’obiettivo di diffondere dati, risultati, esperienze relative alla gestione della diversità (di genere, orientamento sessuale, età, etnia, abilità ecc.) nelle aziende. Nel primo articolo della rubrica si legge[33]:

 

«La rubrica si occuperà di presentare di volta in volta i risultati dei progetti di ricerca più significativi, le sperimentazioni e i casi organizzativi più rilevanti, le riflessioni e le opinioni di esperti sul tema. Lo scopo è esemplificare con dati oggettivi ed esperienze concrete come la gestione della diversità nelle organizzazioni moderne sia necessaria per far fronte al cambiamento sociale in atto e per garantire uno sviluppo funzionale non solo al vantaggio competitivo dell’impresa ma anche al benessere delle persone che la abitano».

 

A partire dal 2016 la rubrica – che ora si chiama «Articolo 3» – è pubblicata sul sito della rivista. Al diversity management è stato dedicato anche il dossier del numero 1 del 2016, intitolato «Tutto il meglio della diversità».

La rubrica «Il mercato del private equity e degli LBO» analizza e interpreta il mercato del capitale di rischio in società non quotate (private equity) italiane, con l’obiettivo di[34]:

 

«sviluppare una sensibilità e una cultura manageriale sul tema dell’apertura al capitale di rischio a supporto della crescita, favorendo l’avvicinamento degli interessi dell’imprenditore e del management a quelli degli investitori istituzionali in un mercato di non facile lettura. Il settore presenta, infatti, una discreta opacità e ancora oggi scarseggiano ricerche empiriche in grado di offrire una chiara fotografia delle operazioni svolte e delle condizioni operative di negoziazione».

 

A partire dal numero 3 del 2014, sono state introdotte le rubriche «Euroscenari» e «Numbers». «Euroscenari» è dedicata agli scenari macro-economici e ha la seguente finalità[35]:

 

«Con la crisi la macroeconomia è entrata direttamente nei bilanci aziendali. Acquisire consapevolezza e monitorare l’evoluzione degli scenari macro è diventato un obbligo per ogni manager aziendale, molto più che in passato e indipendentemente dalla precisa funzione aziendale svolta. Malgrado i fallimenti degli economisti nel prevedere la crisi, oggi più di ieri conoscere la macroeconomia serve e fa la differenza in azienda. Con la nuova rubrica “Euroscenari”, E&M vuole offrire ai suoi lettori punti di vista e spunti di riflessione su questi scenari macro. Sempre a partire da casi concreti, da un grafico o una tabella illustrativa di un problema o di un’opportunità macroeconomica o di mercato. In questo numero cominciamo parlando di reindustrializzazione».

 

«Numbers» è dedicata, invece, alla business analytics e ai big data. Queste le motivazioni che stanno dietro all’introduzione della rubrica[36]:

 

«Che i numeri siano importanti per decidere è assodato. Siamo nell’epoca dei big data e della business analytics. Imprese e comunità scientifica sono oramai consapevoli che l’informatizzazione del business rende disponibile alle aziende un’enorme mole di dati. Non occorre avere milioni di clienti per esserne circondati. E, soprattutto, c’è accordo sul fatto che organizzare e interpretare in modo efficace i dati si trasforma in un vantaggio competitivo».

 

Nel 2016 viene pubblicata sulla rivista cartacea una mini-serie di articoli dedicata ai costi della burocrazia[37]:

 

«E&M prosegue la pubblicazione – avviata su E&MPLUS (www.economiaemanagement.it) – di una miniserie di articoli sui temi della burocrazia, dei suoi costi e delle principali necessità di semplificazione. Negli articoli, frutto di una collaborazione con l’Osservatorio sulla Semplificazione di Assolombarda, vengono riportati una serie di casi concreti di mala burocrazia, a partire dalle segnalazioni delle imprese, esaminando anche possibili soluzioni alle criticità con cui si scontrano gli imprenditori italiani. La miniserie consiste di un articolo introduttivo e di cinque interventi su temi più specifici come l’ambiente, l’edilizia, il fisco, lavoro e previdenza, e salute e sicurezza».

 

Infine, nel corso del 2017, è pubblicata una mini-serie dal titolo «Work and well-being», a cura di Beatrice Bauer. La rubrica è dedicata al tema del benessere dei lavoratori e al legame tra management e psicologia[38]:

 

«Come si fa a lavorare bene con gli altri senza comprendere come funziona la loro testa, quali emozioni provano, cosa li spinge ad agire in un certo modo? E si può interagire bene con gli altri senza conoscere sé stessi e le proprie dinamiche psicologiche? Ognuno sviluppa una propria comprensione di questi fenomeni con le esperienze e spesso attraverso fallimenti anche gravi. Il problema è che spesso questa psicologia naïve, sviluppata sul campo, è più una collezione di luoghi comuni che uno strumento utile per migliorare l’ambiente di lavoro e i propri risultati nella relazione con gli altri. La ricerca scientifica in campo psicologico produce ogni anno migliaia di studi che potrebbero aiutare le organizzazioni d’impresa a essere ambienti migliori per lo sviluppo personale degli individui che ne fanno parte e per la loro produttività. Gettare un ponte tra i risultati più interessanti e utili della ricerca psicologica e della pratica terapeutica e il mondo di chi lavora in azienda è l’obiettivo di questa nuova serie E&M».

E quindi…

L’ultimo decennio della storia di Economia & Management sfocia nella contemporaneità. Il contesto nel quale si muove la rivista è un contesto in crisi: la società italiana è sfilacciata, in preda al rancore e alla cattiveria, l’economia arranca, il mondo delle imprese non sta troppo bene ed è polarizzato tra poche imprese in grado di fronteggiare la competizione globale e molte imprese che non sono state in grado di cavalcare o di adeguarsi al contesto tecnologico e globale così come si è andato definendo dopo la crisi del 2008. La rivista cerca di affrontare alcuni nodi legati alla crisi economica e finanziaria, rafforza la propria attività di sensibilizzazione proponendo rubriche dedicate a temi attuali: l’importanza degli scenari, la rilevanza dei dati e dei numeri, la necessità di sviluppare modelli manageriali che tengano conto della diversità dei contesti socio-culturali delle persone. A conclusione del decennio, inoltre, la rivista scioglie il trade-off tra rigore e rilevanza puntando sulla rilevanza, cercando, quindi, di entrare nel dibattito pubblico e di diffondere idee in grado di fornire lenti di lettura del presente e del futuro. Non è un caso che il titolo del numero 2 del 2019 dedicato al 1969 fosse «Ritorno al futuro» e che Fabrizio Perretti concludesse così l’introduzione al dossier sul tema[39]:

 

«Se il 1968 è stato simbolicamente l’anno in cui si è immaginato un mondo diverso, il 1969 è invece l’anno in cui si è iniziato a trasformarlo, gettando alcuni di quei semi di cui oggi osserviamo i frutti. Il 1969 può essere infatti considerato l’anno dell’incontro, ma anche del conflitto che da tale incontro si genera, tra il materiale e l’immaginario. È proprio in quell’anno che diventa evidente quella fusione tra tecnologia e società, che aprirà nuove prospettive per realizzare i mondi sognati e immaginati negli anni precedenti e, forse, anche alcuni incubi».

1

V. Perrone, «Cambio di direzione», Economia & Management, n. 3, 2013.

2

G. Corbetta, «Per una rivista dedicata a chi lavora nelle e per le aziende», Economia & Management, n. 1, 2014.

3

G. Corbetta, «Le novità di E&M sulle tracce del fondatore», Economia & Management, n. 3, 2014.

4

F. Perretti, «Passaggio di testimone», Economia & Management, n. 5, 2017.

5

F. Perretti, «Leggere la realtà per trasformarla», Economia & Management, n. 1, 2018.

6

P. Bianchi, La rincorsa frenata: l’industria italiana dall’unità alla crisi globale, Bologna, il Mulino, 2013; G. Amato, A. Graziosi, Grandi illusioni: ragionando sull’Italia, Bologna, il Mulino, 2013; E. Felice, Ascesa e declino: storia economica d’Italia, Bologna, il Mulino, 2015; G. Crainz, Storia della repubblica, Roma, Donzelli, 2016; M. Salvadori, Storia d’Italia: il cammino tormentato di una nazione 1861-2016, Torino, Einaudi, 2018.

7

A. Finos, «La creatura di Guillermo Del Toro, un inno alla diversità: “Il mio mostro cerca solo amore”», la Repubblica, 1.9.2017.

8

G. De Rita, Dappertutto e rasoterra, Milano, Mondadori, 2017.

9

Censis, L'Italia preda di un sovranismo psichico, 7.12.2018, disponibile online su: www.censis.it/rapporto-annuale/litalia-preda-di-un-sovranismo-psichico.

10

Bianchi, op. cit.

11

Ivi, p. 266.

12

G. Berta, La via del nord: dal miracolo economico alla stagnazione, Bologna, il Mulino, 2015, p. 83.

13

P. Fleming, «The human capital hoax: Work, debt and insecurity in the era of Uberization», Organization Studies, 38(5), 2017.

14

G. Ritzer, «The McDonaldization of society», Journal of American Culture, 6(1), 1983, pp. 100-107.

15

La grandezza delle parole indica la frequenza con cui quella parola compare nel titolo dei 65 editoriali.

16

V. Perrone, «Elogio della malinconia. Realismo, creatività e possibilità di cambiamento», Economia & Management, n. 1, 2008.

17

G. Soda, «Se l’impresa intercetta i movimenti sociali, il processo vince sul prodotto», Economia & Management, n. 4, 2011.

18

G. Verona, «Sharing economy. Sfida a tutto campo», Economia & Management, n. 3, 2016.

19

A. Sironi, «La crisi finanziaria internazionale un anno dopo: quali lezioni per le banche e le autorità di vigilanza?», Economia & Management, n. 5, 2008.

20

A. Sironi, «Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le banche e il sistema economico?», Economia & Management, n. 3, 2010.

21

A. Sironi, «Le agenzie di rating sul banco degli imputati: colpevoli o innocenti?», Economia & Management, n. 3, 2012.

22

M. Onado, «Popolari: la lunga strada della riforma», Economia & Management, n. 3, 2015; G. Ferri, «Una rottamazione avventata», Economia & Management, n. 3, 2015; S. Gatti, «Credito cooperativo: i perché della riforma», Economia & Management, n. 2, 2016.

23

G. Corbetta, «Idee per la costruzione di team manageriali di valore», Economia & Management, n. 6, 2014.

24

G. Soda, «#bettertogether», Economia & Management, n. 4, 2017.

25

F. Perretti, «La crescita delle imprese: limiti e prospettive», Economia & Management, n. 2, 2018; F. Perretti, «Dall’equilibrio politico al catastrofismo ecologico», Economia & Management, n. 3, 2018; F. Perretti, «Il ritorno dei padri fondatori», Economia & Management, n. 4, 2018.

26

F. Perretti, «La ricerca scientifica sul management: a chi serve?», Economia & Management, n. 6, 2018.

27

Perretti, «Leggere la realtà per trasformarla», cit.

28

Dal numero complessivo di contributi pubblicati nel periodo 2008-2018 sono stati esclusi: i 65 editoriali che sono stati analizzati separatamente; le rubriche «Fotogrammi», «Fuori campo» e «Letti per me» perché fanno riferimento a discipline differenti rispetto a quelle che ricadono nel campo del management. Queste rubriche saranno analizzate separatamente e la loro analisi sarà presentata nel quarto articolo di questa serie.

29

La grandezza delle parole indica la frequenza con cui quella parola compare nel titolo dei 624 articoli analizzati.

30

In base alle informazioni ricavabili dal titolo, dall’abstract, dal testo, dall’autore/autori e dai riferimenti bibliografici i ricercatori hanno suddiviso gli articoli, prima di tutto, tra le seguenti discipline: accounting (programmazione e controllo, contabilità e bilancio), comunicazione, diritto, economia politica, finanza e intermediari finanziari, management delle organizzazione culturali, management pubblico/sanitario/non profit, marketing, operations (produzione, logistica), organizzazione aziendale (teorie organizzative, comportamento organizzativo, HRM), storia, strategia e management (strategic management, economia aziendale, gestione). Successivamente sono stati individuati uno o più temi chiave. Questi temi chiave, per semplicità di esposizione, sono stati raggruppati in una serie di macro-temi che sono: assetti organizzativi, brand management, burocrazia, cambiamento e innovazione, clienti e consumatori, comportamento organizzativo, comunicazione esterna, concorrenza, conoscenza, contabilità e bilancio, cultura organizzativa, decisioni, dinamiche competitive, etica, focus per Paese/settore, fondamenti del management, governance, HRM, ICT, imprenditorialità, Jobs Act, marketing strategico/operativo, marketing territoriale, performance, PMI, produzione/supply chain, project management, reti d'imprese, scenari economici, società, temi di finanza.

31

A partire dal 2019 sarà pubblicata solo online, con la denominazione Economia & Mercati.

32

B. Gehrke, M. Sportelli, «Un giro del mondo per le imprese», Economia & Management, n. 1, 2014.

33

S. Cuomo, A. Mapelli, C. Paolino, «Dalla retorica manageriale all’azione concreta», Economia & Management, n. 3, 2010.

34

V. Conca, «Il mercato del private equity in Italia», Economia & Management, n. 3, 2009.

35

F. Daveri, «La reindustrializzazione dell’Occidente», Economia & Management, n. 3, 2014.

36

E. Borgonovo, «Quando ai manager danno i numeri», Economia & Management, n. 3, 2014.

37

A. Parodi, «Una questione di ambiente», Economia & Management, n. 1, 2016.

38

B. Bauer, «Work and Wellbeing», Economia & Management, n. 1, 2017.

39

F. Perretti, «L’incontro-scontro tra materiale e immaginario», Economia & Management, n. 2, 2019.