E&M
2020/4
Indice
Faccia a faccia
Dossier. Ripensare la globalizzazione
Lo Stato in economia? Conta la qualità
Una nuova gestione dei mercati globali
Perché sarebbe utile tornare a leggere Marx
Dossier. Chi rappresenta cosa
Tutti i dubbi e le sfide in casa Confindustria
Impresa-lavoro: pari dignità e una progettazione comune
Quattro possibili destini per il sindacato
Visual readings
Focus. L’industria della moda e i nuovi consumi
Il mondo del lusso non è più lo stesso (ed è meglio così)
Innovation & Operation Management
Cinque passi chiave per migliorare la gestione dell’innovazione
Sharing economy
Digital Procurement
Istituzioni e società
Elementi essenziali di management per gli istituti penitenziari
Gioie e dolori dello smart working
Durante i mesi di lockdown, la mancanza di dispositivi elettronici, la presenza di vincoli culturali (cultura della presenza), l’assenza di incentivi economici per sviluppare progetti di smart working , unite a una difficile gestione a distanza del rapporto tra capi e collaboratori e alla complessità nel ridisegnare i processi aziendali calibrandoli sul lavoro da remoto sono stati i principali fattori che hanno impedito o reso difficile l’adozione del lavoro agile. Tuttavia, nel 70 per cento dei casi le aziende che hanno adottato politiche di smart working sono riuscite a superare gli ostacoli.
I mesi di lockdown hanno imposto alle aziende di trasferire buona parte del lavoro dagli uffici alle abitazioni dei dipendenti. Un passaggio imposto dall’emergenza sanitaria e che ha presentato non poche difficoltà, soprattutto per quelle aziende che mai prima di allora avevano sperimentato lo smart working. La mancanza di dispositivi elettronici, la presenza di vincoli culturali (cultura della presenza), l’assenza di incentivi economici per sviluppare progetti di smart working, unite a una difficile gestione a distanza del rapporto tra capi e collaboratori e alla complessità nel ridisegnare i processi aziendali calibrandoli sul lavoro da remoto sono i principali fattori che hanno impedito o reso difficile l’adozione del lavoro agile (Figura 1).
Sono questi alcuni dei risultati preliminari di uno studio condotto dall’Osservatorio sul Diversity, Inclusion and Smart working di SDA Bocconi School of Management. Grazie all’aiuto del Comune di Milano e dell’Associazione Piccole e Medie Industrie (A.P.I.), l’Osservatorio ha raccolto (da giugno a inizio settembre), 93 questionari di aziende, principalmente private, di piccole (30 per cento), medie (27 per cento) e grandi dimensioni (53%), di diversi settori.
Se è vero che nel 70 per cento dei casi le aziende che hanno adottato politiche di smart working sono riuscite a superare gli ostacoli iniziali, il grado di efficacia, efficienza e soddisfazione della gestione del lavoro da remoto cambia: in particolare, è superiore in quelle organizzazioni (gli adottanti storici, il 56 per cento delle aziende) che già prima dello scoppio della pandemia avevano implementato politiche di smart working (Figura 2).
Tra le motivazioni emerse da quanti non continueranno ad adottare lo smart working al termine della crisi troviamo: la natura dell’attività svolta, che ne impedisce una piena applicazione, l’importanza attribuita all’interazione sociale sul luogo di lavoro e la persistenza del valore della presenza del lavoratore in ufficio.
Per una più ampia panoramica sullo smart working e sui risultati dello studio, si veda anche l’E&M Podcast sul tema curato dall’Osservatorio, e disponibile su E&M Plus.
Figura 1 I fattori che hanno ostacolato o reso difficile l’adozione dello smart working
(1= fattore giudicato poco importante; 10 = fattore giudicato molto importante)
Figura 2 Grado di efficacia, efficienza, soddisfazione della gestione dello smart working
(1= per nulla; 10 = moltissimo)