E&M
2007/6
Indice
Il mercato delle regole
Lotta al crimine finanziario: meno costi privati = più benefici pubblici
Doing business in China
Temi di Management
Non bastano i tagli alla spesa: occorre rinnovare la classe dirigente pubblica italiana
Sistemi contabili pubblici a un bivio: come cogliere un’occasione di rinnovamento
Lo stato di attuazione dell’e-government negli enti locali italiani: tra retorica e realtà
Fuoricampo
Articoli
Valorizzare le risorse umane ovvero la coerente incoerenza
La riforma manageriale della Commissione Europea: analisi e spunti di riflessione
Storie di straordinaria imprenditorialità
Fotogrammi
Manigolda
Nell’ultimo film del regista Ken Loach ( In questo mondo libero… , 2007) il ritratto problematico e provocatorio di una giovane disoccupata che cerca di diventare imprenditrice adottando gli stessi metodi che in precedenza avevano portato alla sua emarginazione.
In questo mondo libero…
Regia: Ken Loach
Interpreti: Kierston Wareing, Julkiet Ellis
Gran Bretagna/Germania/Italia/Spagna, 2007
Chi abbia visto anche solo un paio di suoi film sa che Ken Loach è regista ad alta vocazione sociale: da una ventina d’anni a questa parte, con un linguaggio sempre secco e asciutto, mette in scena le nuove forme del lavoro nel mondo globalizzato.
In passato, soprattutto in film come Riff Raff o Piovono pietre, compensava e bilanciava il lato tragico delle sue storie con un uso spregiudicato del registro dell’ironia. Ora però il suo sguardo sembra cambiato: nel suo ultimo film, per esempio (In questo mondo libero…, 2007), Loach scherza poco con i suoi personaggi, e si mantiene a distanza, come se volesse avere sempre a disposizione un quadro d’insieme. Come se fosse interessato prima di tutto a capire in profondità le motivazioni individuali e i condizionamenti sociali che determinano o facilitano le trasformazioni in atto nel mercato del lavoro. Basandosi su un solido copione di Paul Laverty (premiato con l’Osella per la miglior sceneggiatura all’ultima Mostra del Cinema di Venezia), Loach indaga questa volta le vite vendute e disperate dei tanti migranti clandestini (ucraini, bielorussi, kosovari, montenegrini, polacchi, sudamericani, indiani…) che approdano in Occidente nella speranza di trovare una vita migliore. Al centro del racconto, tuttavia, non c’è il loro punto di vista, bensì quello di chi li fa lavorare: nella fattispecie, il punto di vista di una ragazza inglese, Angie, che viene a sua volta da una condizione disperata e cerca con ogni mezzo di uscire dalla marginalità in cui la vita sembra averla relegata. Trentenne, energica e ambiziosa, licenziata da un giorno all’altro dall’agenzia di collocamento per cui reclutava lavoratori provenienti dall’Europa Orientale, Angie decide di tentare di dare una svolta alla sua vita. Così prova a mettersi dall’altra parte: con la sua coinquilina Rose (laureata ma costretta a lavorare in un call center per campare) fonda a sua volta un’agenzia di lavoro interinale per lavoratori stranieri e si mette a reclutare manodopera clandestina per poterla pagare il meno possibile. A suo modo, diventa così un’imprenditrice: e la sua figura consente di ragionare su alcuni aspetti paradossali e problematici dell’imprenditorialità nel mondo contemporaneo. Ne discutono, come di consueto, Severino Salvemini e Gianni Canova.
S.S. Loach, si sa, è un regista molto ideologico. Mi ha perciò stupito la lucidità con cui questa volta riesce a lasciarsi alle spalle i suoi pregiudizi ideologici per salire al livello dell’imprenditorialità e darci un ritratto molto nitido di un’imprenditrice dei nostri tempi. Rampante, certo, e aggressiva, non c’è dubbio. Un vero spirito animale. Ma come sono spesso gli imprenditori…
G.C. A me sembra che, più che incarnare una visione obiettiva dell’imprenditorialità, la protagonista del film serva a Loach per ampliare la sua visione critica e portarla fino a una sorta di radicale pessimismo sullo stato attuale della società occidentale…
S.S. Non direi. Loach colloca questa vicenda in un contesto preciso, l’hinterland londinese. E si chiede realisticamente cosa sia e come possa esprimersi l’imprenditorialità in un contesto di questo tipo, dove l’imprenditore è costretto a confrontarsi con i boss di strada, e dove tutto è sempre borderline. Io trovo che la figura della protagonista, ex precaria vessata ed emarginata ma decisa a trovare la sua rivincita diventando imprenditrice, trabocchi di un’energia veramente positiva.
Credo cioè che In questo mondo libero… ci offra un quadro realistico di come funziona l’economia ai bordi delle regole, per di più in una fase storica in cui le regole stanno rapidamente cambiando. Se suo padre ha fatto per trent’anni lo stesso lavoro, Angie si rende conto che lei ha fatto negli ultimi anni trenta lavori diversi, e che ogni volta è stata licenziata in nome della flessibilità del mercato. Tanto che decide di fare a sua volta il suo gioco dentro il mercato della flessibilità.
G.C. Il personaggio della protagonista è molto interessante, sono d’accordo. A volte sembra riaffiorino in lei alcuni guizzi di solidarietà nei confronti degli immigrati, altre volte invece sembra lasciar emergere in tutta la sua durezza il cinismo necessario ad affrontare i mille ostacoli – la burocrazia, gli uffici di collocamento, la criminalità organizzata – che si parano sul suo cammino. Tanto che a volte è perfino spietata, Angie: come quando chiama la polizia per far sgombrare un campo nomadi solo perché ha bisogno di molte roulotte libere per “stoccare” alcune decine di manovali ucraini che deve tenere fermi per un po’ di tempo prima di impiegarli in un nuovo lavoro nero. Ed è proprio questa sua ambiguità di fondo, questo suo oscillare tra la ferocia più cruda e la pietas creaturale, a farne un personaggio sfaccettato e complesso, pieno di contraddizioni e di sfumature.
S.S. Angie è una persona capace e intelligente. Tanto intelligente che riesce a essere spietata senza mai apparire cinica. Neppure quando si adegua alle “regole” del mercato e tratta i lavoratori come se fossero rubinetti da aprire e chiudere a suo piacere. In quel contesto, è assolutamente sola: non c’è lo Stato che intervenga a limitare e correggere il mercato, e a difendere i giovani imprenditori come Angie.
Sola e indifesa, alle prese con un cambiamento feroce, ma assolutamente determinata a non mollare…
G.C. In questo, sono d’accordo, Angie incarna alcuni tratti peculiari dell’imprenditoria vincente. Se la porti al limite della sopravvivenza, diventa spietata, passa sopra ai valori e alla solidarietà nel nome di un non dichiarato ma evidentissimo egoismo imprenditoriale. Penso anche solo a come ossessivamente Angie cerchi un ufficio dignitoso per lavorare, come se la sola idea di passare dalla strada a un ufficio portasse con sé un capitale indiscutibile di significazione sociale.
S.S. Certo: Angie si vuole riscattare. Ad ogni costo. Infatti, non è turbata più di tanto dall’idea di fare agli altri le stesse cose che in precedenza erano state fatte a lei. Ma sono le circostanze ambientali in cui si trova ad operare che la rendono, per certi versi, manigolda. In questo senso il film di Loach è chiarissimo: l’attività imprenditoriale non si svolge mai in astratto, in un teatro neutro, ma in un habitat e in un contesto socio-geografico ben determinati e capaci di condizionare anche l’operatività e perfino lo stile dell’imprenditorialità. La cosa più interessante del film di Loach è che non giudica la protagonista, non la assolve né la condanna. Piuttosto la osserva, la scruta, la segue, e lascia che siamo poi noi a trarne le eventuali e dovute conseguenze.