E&M

2007/6

Bisognava sfruttare l’affinità dei colori. Ai bei tempi, se qualcuno tentava di contrabbandare in Bocconi La gazzetta dello sport doveva nasconderla all’interno del Sole 24 Ore. L’immagine era salva. Adesso qualcosa è cambiato. Elio Borgonovi non ci vedrà molto bene da vicino ma sa guardare lontano. È uno dei promotori del Master FIFA, giunto alla ottava edizione. Nessuno studente sceglie però la Bocconi perché lo sport è importante. Le motivazioni sono ben altre. Puntano alla City di Londra. Neppure sospettano quel che succede al di là dell’Atlantico.

Nelle università americane il 36% degli studenti è influenzato, nella scelta dell’ateneo, dalla sua immagine sportiva. Più vittorie, più iscritti che pagano rette superiori a quelle italiane. Gli studenti in grado di garantire lustro sportivo godono di borse di studio. Qualche cifra. L’Università dell’Ohio può sviluppare varie attività sportive con più di trenta squadre grazie agli sport trainanti, il basket e il football americano. Da soli, senza il merchandising dei cappellini e delle magliette ma grazie soltanto ai botteghini e ai diritti televisivi, garantiscono ricavi per circa 110 milioni di dollari, cifra che non dovrebbe essere molto lontana dal fatturato complessivo dell’Università Bocconi. Si noti che nei costi non figura la retribuzione degli atleti perché è vietata dalla NCAA, l’organismo che sovrintende allo sport universitario statunitense. È un mondo dove lo sport si declina con agonismo, spettacolo e business. Per gli atleti migliori si aprono però le porte della mitica NBA.

La realtà più importante è il campionato annuale di basket che si disputa sempre tra marzo e aprile. Vengono iscritte 64 squadre. L’evento si chiama “la follia di marzo”. Centinaia di studenti percorrono in lungo e in largo gli States per assistere alle partite dei loro beniamini, malgrado sappiano che li aspetta una sconfitta clamorosa. L’importante è esserci. Negli ultimi due anni ha vinto l’Università della Florida, a secco dal 1939. Quest’anno ha battuto in finale l’Ohio, che aveva vinto una sola volta, nel 1960. L’università con più titoli conquistati è quella di Los Angeles. Undici vittorie, seguita dal Kentucky, sette volte campione.

Altro stile è quello adottato dalla Ivy League, la federazione sportiva che raggruppa otto famose università del Nord-Est, tra cui Harvard, Columbia, Princeton e Yale. Qui non si cercano atleti utili alla competizione sportiva. Gli iscritti vengono selezionati in base a due criteri, l’eccellenza accademica e la sensibilità ai problemi sociali. Combattono tra di loro partite epiche, all’ultimo sangue. L’evento più atteso è il cosiddetto “The Game”, la partita per eccellenza. È un incontro di football americano che si svolge tra Harvard e Yale fin dal 1875. Harvard ha vinto solo cinquanta volte. Tra i record si racconta di un 54-0 per Yale nel 1957. Harvard vanta soltanto un 35-0 nel 1914. Non si capisce l’America se non si ricorda che le grandi università si fondano storicamente su solide matrici religiose. Si guardi agli stemmi. Princeton ha un futuro garantito: “Fiorisce sotto il potere di Dio”. “Leggi senza morale sono inutili” proclama l’Università di Pennsylvania. La più simpatica è la Brown University, che non vince quasi mai. Ha scelto un’invocazione disperata: “Speriamo in Dio”. I congregazionalisti hanno dato origine ad Harvard e a Yale, gli acerrimi rivali. Infatti il loro stemma è molto simile. “Verità” per Harvard, “Verità e Luce” per Yale. Curioso, quest’ultimo è scritto in ebraico.