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2004/1
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Il private equity in Italia e il caso Fiat Avio. Intervista a Edoardo Lanzavecchia, Carlyle Europe
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Creazione di valore nelle PMI italiane: il caso del distretto orafo di Arezzo
Governance d’impresa: l’avventura di Telecom Italia (1997-2001)
Hedge fund: anno zero. Il caso del Long-Term Capital Management
La tattica del pirata e la strategia dell’imperatore
Ambientato in una Cina astratta e fiabesca, il nuovo film di Ermanno Olmi, Cantando dietro i paraventi, offre suggestive indicazioni su questioni assolutamente attuali come l’articolazione della tattica e l’elaborazione della strategia all’interno di organizzazioni destinate a entrare in conflitto fra loro.
Cantando dietro i paraventi
Regia Ermanno Olmi
Interpreti Bud Spencer, Jun Ichikawa
Italia, 2003
Dopo un capolavoro di arcana bellezza come Il mestiere delle armi (2001), Ermanno Olmi si trasferisce in una Cina favolistica e lontana per narrare un’altra parabola su temi universali come la guerra e la pace. Cantando dietro i paraventi inizia con un ragazzo che vorrebbe recarsi a un convegno di cosmologia e che per sbaglio finisce invece in un teatro-bordello, dove alcune mercenarie del sesso lo adagiano su un letto e lo invitano ad assistere alla rappresentazione che sta per iniziare. Sul palco, con toni ora malinconici ora solenni, un vecchio navigatore portoghese (interpretato da un Bud Spencer deliziosamente sorprendente per misura, grazia e intensità) evoca una storia avvenuta sui mari della Cina nel secolo XIX: una donna, la vedova Ching, dopo aver perduto il marito, ucciso a tradimento da sicari del governo, decide di prendere il suo posto e di guidare le navi corsare contro la flotta imperiale. La donna esercita sulla ciurma una leadership carismatica, sa come motivare i suoi uomini e li guida con un’autorevolezza ammirevole. Dopo aver subito alcuni scacchi imprevisti, l’imperatore decide di passare al contrattacco: allestisce una flotta impressionante, con un numero di navi spropositato, e salpa in direzione della piccola flotta della vedova Ching. Quando le navi imperiali circondano le giunche corsare – emergendo all’improvviso all’orizzonte in un’immagine di sontuosa e sublime bellezza – tutti si aspettano il combattimento conclusivo e risolutivo. Invece non accade nulla: la flotta imperiale non attacca, aspetta. Lascia passare il tempo, gioca sull’esasperazione e sulla paura degli avversari. Infine, inaspettatamente, lancia un messaggio di riconciliazione attraverso uno stormo di aquiloni colorati che portano incisa una formula di antica saggezza: “Il perdono è più forte della legge”. La vedova Ching capisce il messaggio e lo accetta: così può consegnarsi senza vergogna, la guerra finisce senza spargimento di sangue e le fanciulle possono deporre le spade e tornare a cantare dietro i paraventi. Nonostante l’ambientazione in uno spazio e in un tempo lontani, Cantando dietro i paraventi è un film di sorprendente attualità: solenne come una parabola e nitido come un acquerello, contiene alcune indicazioni preziose su temi centrali nella riflessione sulle organizzazioni, sul conflitto e sulla strategia. Ne discutono Gianni Canova e Severino Salvemini.
G.C. Io partirei dalla strategia adottata dall’imperatore per vincere la resistenza e l’ostilità della vedova Ching. Da un lato, allestisce una flotta quantitativamente impressionante, si dota di tutte le tecnologie più avanzate (una nave a vapore, un cannone con la bocca di fuoco più grande che si sia mai vista) e mette in scena di fronte agli avversari lo spettacolo della sua potenza. Poi però non ricorre affatto alla sua superiorità tecnologica e militare e gioca piuttosto sul fattore tempo: lascia innervosire gli avversari, li esaspera e li esacerba nel dubbio e nell’incertezza, e infine li sorprende con un messaggio di pace del tutto inaspettato. Mi sembra un modo molto interessante di affrontare e risolvere un conflitto.
S.S. Certo. È la cosiddetta strategia della deterrenza. Ostenta la propria potenza ma non la usa. Preferisce persuadere che annientare. Gioca abilmente su fattori psicologici per evitare uno scontro che sarebbe comunque molto oneroso per entrambi i contendenti. Da questo punto di vista l’imperatore mostra di possedere una visione strategica molto più sofisticata di quella della vedova Ching, che si limita invece – per lo più – a un’azione tattica.
G.C. Il problema è capire se una simile visione sia o possa essere efficace anche in ambito aziendale…
S.S. Direi di no. In genere, l’ambito aziendale non ammette simili risoluzioni del conflitto. Un conflitto si conclude quasi sempre con un dominatore e un dominato. Semmai, direi che l’allegoria di Olmi vale per le grandi controversie fra Stati, o per i conflitti che hanno come obiettivo il controllo di un grande mercato, o di un settore merceologico nel mercato globale. In questi casi, l’ostentazione di potenza seguita da un gesto di pacificazione può generare alleanze tatticamente vantaggiose per entrambe le parti in causa. Per esempio, la strategia dell’Occidente nei confronti di certe azioni commercialmente “piratesche” messe in atto attualmente dalla Cina potrebbe utilmente ispirarsi all’allegoria messa in scena da Olmi nel suo film.
G.C. Non solo. Io trovo molto interessante anche la figura del vecchio capitano interpretato da Bud Spencer, che interviene nel racconto con il duplice ruolo di narratore ma anche di protagonista delle vicende narrate. La sua presenza mi pare decisiva: ci dice, per esempio, come le strategie abbisognino sempre non solo di qualcuno che le attui, ma anche di qualcuno che le rappresenti, che le racconti, che le metta in scena. Su questo piano, la nostra cultura dell’organizzazione e dello sviluppo strategico ha ancora molto da imparare…
S.S. Direi che il personaggio del vecchio capitano portoghese è quello che riesce a gestire le dinamiche più sotterranee della vicenda e a darci la dimensione longitudinale di quello che sta accadendo o che è accaduto. Dal punto di vista della strategia, il suo ruolo è decisivo: non è detto che una strategia possa sempre essere pianificata e programmata a priori. Spesso emerge solo a posteriori, quando qualcuno, raccontandola, la razionalizza. Molte volte accade così anche in contesti aziendali: si decide una rotta in base a riflessioni strategiche, poi la nave-azienda comincia a muoversi, ma incontra ostacoli, il vento cambia, si incontrano navi pirata, magari si incappa anche in una tempesta, e allora ci si ferma, si razionalizza l’accaduto, e si traccia la nuova rotta. La strategia si sviluppa sempre per stadi progressivi, e la messa a fuoco di una nuova visione ha sempre bisogno di qualcuno che sappia raccontare esattamente l’accaduto e concettualizzare i problemi che si sono verificati.
G.C. Come dire: la rotta non segue mai il percorso da A a B che tu tracci deterministicamente prima di partire. Servono aggiustamenti continui, verifiche ininterrotte e soprattutto “nostromi” o “capitani” che sappiano “vedere” davvero ciò che è accaduto, e trarne tutte le conseguenze necessarie. Penso, per esempio, a come il vecchio capitano appoggi la nozione etica apparentemente paradossale sostenuta dalla vedova Ching quando rivendica a sé e ai suoi uomini il ruolo di “onesti fuorilegge”: grazie al modo in cui lui inquadra e presenta il discorso della vedova alla ciurma ci persuadiamo tutti che l’eticità di una missione sta prima di tutto nella trasparenza con cui dichiara i suoi metodi e i suoi obiettivi.
S.S. È un discorso suggestivo, ma molto delicato. Lo sostengono, per esempio, certi sociologi funzionalisti come Parsons e Merton: indipendentemente dall’obiettivo “teologico” della tua missione, ciò che conta è andare a vedere se l’organizzazione mette assieme le giuste risorse e i giusti mezzi per raggiungere certi obiettivi. In questo quadro, l’esaltazione della cultura aziendale finisce per avere valenza morale.
G.C. Il film di Olmi però ci dice anche qualcos’altro, e qualcosa di più: che un leader non è solo colui che sa gestire un gruppo (poco importa se ciurma, flotta o esercito) in modo da soddisfare le esigenze individuali all’interno dell’azione collettiva, ma anche colui che riesce a dare identità al gruppo convincendo tutti i suoi membri – per esempio – che una dissimulazione onesta è preferibile a una simulazione disonesta (la metafora, appunto, degli onesti fuorilegge). È una presa di posizione forte, a suo modo anche provocatoria, ma che merita senz’altro di essere meditata e approfondita.