E&M

2023/4

Marianna Lo Zoppo Biagio Maria Amico

Tutti gli ingredienti della resilienza della supply chain

Anche il sistema agroalimentare è stato messo alla prova dalla pandemia e dai recenti conflitti ed è per questo che è cruciale parlare di resilienza in questo settore, cercando di individuarne le vulnerabilità ma ancor di più le proprietà e le caratteristiche che permettono alle supply chain di resistere a crisi ed eventi inattesi come quelli recentemente vissuti. La resilienza è strettamente legata alla sostenibilità, poiché il passaggio a un sistema alimentare più sostenibile rappresenta anche il percorso per rendere le attuali supply chain più resilienti.

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Negli ultimi dieci anni abbiamo sentito molto parlare di resilienza. La massima notorietà di questo termine   va ricondotta senza dubbio a un acronimo ormai noto, che è PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), il documento programmatico sviluppato dall’Italia per ottenere i finanziamenti messi a disposizione dall’Unione Europa nell’ottica del Recovery Fund. Vediamo comparire questo termine in titoli di eventi, conferenze e programmi televisivi, quando si parla di obiettivi virtuosi e traguardi a cui le nostre imprese devono e possono aspirare. Ma cosa vuol dire effettivamente resiliente e in che modo un’azienda o una supply chain può esserlo? Il termine, in fisica, ancor prima di essere considerato un aggettivo da manuale di management, si usava per descrivere una proprietà di alcuni materiali che è quella di resistere agli urti senza spezzarsi. In ecologia la resilienza è definita «la velocità con cui un sistema ecologico ritorna al suo stato iniziale, dopo essere stato sottoposto a una perturbazione che l’ha allontanato da quello stato» (Treccani, 2020). In  management, senza andar lontani da queste definizioni appena viste e proprie di altri comparti, la resilienza rappresenta la capacità, propria di un’organizzazione o di una supply chain, di ridurre la probabilità di affrontare crisi improvvise, di resistere alla propagazione di tali crisi mantenendo un controllo adeguato sulla struttura e sulle funzioni, e di rispondere prontamente con piani reattivi ed efficaci per superare il disturbo e ripristinare i processi a uno stato di operatività solido e affidabile (Kamalahmadi e Parast, 2016). A questa prima descrizione di resilienza c’è poi chi, saggiamente, ha aggiunto: «in un lasso di tempo e a un costo accettabili» (Ribeiro e Barbosa-Povoa, 2018) perché, a ben vedere, un’azienda ha risorse finite e riportare l’attività entro i binari in tempo e limitando i danni da un punto di vista economico e reputazionale appare essenziale ai fini della sopravvivenza della stessa.

I motivi per cui solo oggi si è iniziato a prestare così tanta attenzione al tema della resilienza sono presto spiegati. Da un lato, la pandemia da Covid-19 ha causato ritardi nelle consegne di beni essenziali, blocchi delle forniture, volatilità della domanda, aumenti consistenti dei prezzi delle materie prime e interruzioni dei processi a causa della mancanza di personale. Tali shock hanno simultaneamente coinvolto le aziende agricole, l’industria, i trasportatori e la logistica ma con impatti differenti a seconda dell’attore e dell’ambito di attività coinvolto. Per esempio, i settori produttivi altamente dipendenti da servizi esterni, come la viticoltura e la florovivaistica, hanno subito considerevoli perdite finanziarie; invece, per i settori i cui prodotti sono altamente deperibili e non stoccabili (come il settore ortofrutticolo), più che un problema di natura economica, il rallentamento dell’attività produttiva agricola ha generato gravi  forme di spreco alimentare legate al mancato impiego a fini alimentari di prodotti edibili, che sono rimasti non raccolti e/o invenduti. Dall’altra parte, il conflitto russo-ucraino, con i due Paesi coinvolti che producono il 30 per cento del grano commercializzato nel mondo e il 12 per cento delle calorie globali (Byjoel, 2022), ha notevolmente influenzato gli equilibri dei flussi commerciali internazionali e dei mercati dei prodotti agricoli, generando un’ulteriore crescita dei prezzi e minando la sicurezza alimentare di molti Paesi importatori netti di prodotti agricoli. In particolare, la guerra ha bloccato le esportazioni di grano, mais e orzo e una grande parte delle forniture mondiali di fertilizzanti, con la conseguenza di mettere il mondo sull’orlo di quella che il capo del Programma Alimentare Mondiale ha recentemente definito la peggiore crisi alimentare globale dalla Seconda guerra mondiale. Questi eventi, frutto di tensioni geopolitiche e mercati globalizzati, hanno messo in evidenza la necessità di ripensare le catene di fornitura. L’interdipendenza delle nazioni nella produzione e distribuzione di prodotti (agricoli e non) rende cruciali strategie di resilienza e cooperazione internazionale per garantire la sicurezza alimentare e la stabilizzazione dei mercati globali. Quindi, se negli ultimi decenni abbiamo guardato alla globalizzazione come a una grande opportunità per massimizzare l’efficienza aziendale e ai Paesi in via di sviluppo come luoghi ideali per dislocare la produzione sfruttando costi del lavoro e delle materie prime più bassi, le crisi sopracitate hanno all’improvviso mostrato anche l’altro lato della medaglia di questi benefici. Catene di fornitura globali e complesse, perché composte di molti nodi critici dislocati in diverse aree del globo, portano con sé rischi elevati in caso di eventi sistemici inattesi, disruptions in inglese. Ed è proprio disruption, infatti, il termine che con più frequenza accompagna la parola resilienza e che descrive eventi che hanno un impatto tale da bloccare, almeno in parte, le attività alla base della creazione del valore con conseguenze che qualsiasi rischio operativo tradizionalmente inteso non può causare.

Per le sue caratteristiche intrinseche e le sfide a cui è sottoposto, il settore agribusiness rappresenta un campo di studio cruciale per il tema della resilienza delle supply chain. Infatti, l’agribusiness è un settore fondamentale per garantire la sicurezza alimentare della popolazione. Il cibo è un bene essenziale e vitale per la sopravvivenza delle persone, e durante eventi catastrofici, come calamità naturali o pandemie, è di vitale importanza assicurare la produzione e la distribuzione continua di cibo e altri beni primari prodotti da questo settore per soddisfare le esigenze dei singoli Paesi e delle comunità. In secondo luogo, l’agricoltura (e di conseguenza tutta la filiera agroalimentare) è altamente suscettibile all’influenza di variabili esterne, tra cui eventi meteorologici estremi, cambiamenti climatici, malattie delle piante o degli animali, e fenomeni naturali imprevedibili. Tali fattori possono avere impatti significativi su tutte le fasi della filiera agroalimentare, dalla produzione agricola alla lavorazione, dalla distribuzione alla commercializzazione dei prodotti. Infine, come anticipato, i recenti eventi sopracitati, e che tutti abbiamo toccato con mano, hanno attirato ulteriormente l’attenzione sul settore, sottolineando la necessità di ripensare le filiere agricole su più fronti, dall’innovazione tecnologica alle scelte riguardanti numero e localizzazione dei fornitori, per garantire un approvvigionamento stabile di beni essenziali quali cibo, fibre ed energia. 

Lo studio condotto dall’Invernizzi AGRI Lab

Al fine di approfondire le caratteristiche delle supply chain resilienti nell’ambito dell’agribusiness è stata condotta una revisione sistematica della letteratura, con l’obiettivo ultimo di individuare le crisi a cui si fa riferimento quando si parla di resilienza nell’agribusiness ed estrapolare una lista di proprietà delle supply chain resilienti in questo settore. Lo studio ha permesso così di studiare a fondo più di cinquanta pubblicazioni sul tema, sviluppate tra il 2013 e il 2023. Ciò che è emerso è innanzitutto che il filone di ricerca sulla resilienza nel settore agribusiness ha suscitato un interesse crescente negli anni. Nel solo 2021, infatti, sono stati pubblicati un numero di lavori pari a quelli pubblicati nei sette anni precedenti a dimostrazione che il tema è stato fortemente influenzato dalla crisi pandemica. Tuttavia, grazie all’aumento dell’attenzione sul tema, a partire dal 2021 sono aumentati anche gli studi che esplorano la resilienza della filiera agroalimentare rispetto a specifiche disruption (come il conflitto USA-Cina) e rispetto a problemi strutturali del settore (sicurezza e frodi alimentari, interruzione della catena del freddo ecc.).

In particolar modo, per catalogare le crisi indagate negli articoli oggetto di studio, abbiamo classificato le disruption sulla base dei rischi che portano con sé, adottando la classificazione di Leate et al. (2013) che distingue due categorie di rischi: (i) rischi a livello di singola organizzazione e (ii) rischi a livello della supply chain. In generale, i rischi individuati per le singole imprese (per esempio, volatilità del mercato o rischi istituzionali) hanno il potenziale per influenzare ogni attore all’interno di una filiera. Quando uno o più di questi rischi si concretizzano, hanno un impatto collettivo sull’intera catena di fornitura, portando all’emersione contemporanea o consecutiva di rischi di domanda, offerta, controllo e processo a livello di supply chain. Per esempio, i rischi di produzione incontrati dai produttori agricoli diventano una componente del rischio di approvvigionamento sperimentato dagli attori a valle della filiera alimentare. Inoltre, è utile specificare che i rischi ambientali[1] esercitano un’influenza sistemica, per cui eventi come pandemie o guerre colpiscono, nella maggior parte dei casi contemporaneamente, tutti i nodi della rete di approvvigionamento.  Infine, durante il processo di analisi e categorizzazione della letteratura, è emersa la necessità di creare una categoria aggiuntiva denominata «Problemi strutturali» per includere tutte le problematiche e fragilità, appunto strutturali, che caratterizzano il settore agribusiness e che sono state indagate frequentemente in relazione al concetto di resilienza.

Figura 1 Frequenza annuale e suddivisione per tipologia di disruption delle pubblicazioni analizzate

Figura 1_Lo Zoppo, Amico 

Per quanto riguarda gli attori e le tipologie di filiera analizzate, emerge che la ricerca non si concentra su filiere specifiche, ma tende a essere generalista ed esaminare il settore agroalimentare nel suo insieme senza nette differenziazioni in base all’ambito produttivo. Allo stesso modo, il 78 per cento dei lavori prende in considerazione più attori della catena di fornitura senza fermarsi all’analisi di singoli anelli della filiera. Questo indica che il filone di ricerca sulla supply chain resilience si interessa principalmente alle interazioni tra gli attori della filiera, riconoscendo che la resilienza del sistema dipende in buona parte dalle relazioni tra i diversi soggetti coinvolti. L’attenzione all’interazione tra gli attori della supply chain riflette l’importanza di comprendere i flussi di informazioni, materiali e risorse lungo l’intero percorso produttivo, ossia dalla produzione al consumo. Questo approccio olistico permette di identificare le sfide e le opportunità che si presentano a livello sistemico e di individuare le migliori strategie per dar vita a supply chain capaci di assorbire crisi inaspettate e ritornare a una nuova normalità a valle di esse.

Le proprietà delle supply chain resilienti

Come anticipato, al crescere della complessità delle supply chain tendono ad aumentare i rischi a cui esse sono esposte. Tuttavia, è proprio attraverso la comprensione delle vulnerabilità che è possibile coltivare la resilienza e sviluppare capacità specifiche per far fronte alle crisi, più o meno inaspettate.

L’analisi della letteratura dedicata a questi temi ha avuto un duplice obiettivo: da un lato, individuare proprio quelle proprietà che caratterizzano le filiere resilienti e identificarle come frutto di scelte strategiche, tattiche e operative prese nell’ambito del Supply Chain Management (SCM)[2]; dall’altro, indagare quali caratteristiche (o proprietà) delle filiere siano più utili a fronte di un determinato tipo di crisi. Infatti, se il Covid-19 per la sua complessità e la sua portata ha generato shock sotto tutti i profili (fornitura, processi, volatilità della domanda), vi sono crisi (come, per esempio, un terremoto o un’alluvione) che possono impattare solamente sulle forniture di una supply chain. Nell’immagine che segue è raffigurata la relazione tra le scelte strategiche, tattiche e operative prese nell’ambito del SCM (a sinistra), le proprietà delle supply chain che sono risultate dalla revisione della letteratura sul settore (al centro) e i rischi a cui tali proprietà sono maggiormente associate (a destra). Lo spessore delle frecce identifica la numerosità di risultati emersi dalla revisione della letteratura, con le frecce più spesse che indicano una relazione più volte menzionata nei paper oggetto di studio.

Figura 2 Relazione tra i livelli decisionali del SCM, le proprietà delle filiere resilienti e i rischi associati a tali proprietà

 Figura 2_Lo Zoppo, Amico

Guardando quest’immagine è facile notare come le decisioni fondamentali per dar vita a supply chain resilienti siano principalmente di natura strategica e tattica. Inoltre, l’analisi della letteratura ha rivelato che alcuni livelli decisionali hanno un impatto maggiore sull’attivazione di determinate proprietà associate a supply chain capaci di prevenire, resistere e adattarsi a crisi inaspettate. In particolar modo, la collaborazione, la ridondanza, la robustezza e la flessibilità sono prevalentemente influenzate da decisioni di natura strategica, mentre la visibilità e la digitalizzazione, l’adattabilità, l’efficienza e l’agilità sono abilitate in via preliminare dalle decisioni di tipo tattico. Decisioni strategiche che portano a una maggiore flessibilità e ridondanza delle supply chain includono, per esempio, fornitori multipli e localizzati in aree diverse e sottoposte a opportune valutazioni in merito ai rischi del luogo (Al Naimi et al., 2022; Alikhani et al., 2021) e la presenza di capacità produttiva di riserva (Munch et al., 2022). Invece, riserve aggiuntive di stock, la condivisione di informazioni, lo sviluppo e l’aggiornamento di piani di emergenza, la decisione di curare con particolare riguardo la manutenzione di asset critici sono esempi di decisioni tattiche associate a una maggiore resilienza delle supply chain.

Le due proprietà delle filiere resilienti più citate nella letteratura sul settore agribusiness sono l’integrazione abilitata dalla collaborazione e la visibilità. La collaborazione, che può essere sia verticale sia orizzontale, implica la capacità delle organizzazioni di lavorare insieme in modo efficace, condividendo parte dei rischi e dei benefici dell’attività, e rispondere rapidamente alle interruzioni della catena di approvvigionamento facendo leva sul coordinamento, la cooperazione e la condivisione di informazioni e decisioni (Tukamuhabwa et al., 2015). La visibilità, invece, implica la capacità di avere una visione completa (o end-to-end) della supply chain ed è un elemento essenziale per prevenire e fermare per tempo il diffondersi delle crisi. Le tecnologie digitali di cui oggi disponiamo sono fondamentali per sviluppare questa proprietà. In particolar modo, l’abbinamento di intelligenza artificiale e analisi dei Big Data può migliorare la reattività della supply chain, facilitare la presa di decisioni adeguate perché basate sui dati, permettere di valutare con efficacia i rischi derivanti dai fornitori e il loro possibile impatto sui processi, oltre a supportare l’individuazione dei punti critici e la ri-pianificazione di attività quando necessario (Zamani et al., 2022).

Se quelle appena citate sono caratteristiche delle supply chain legate alla struttura delle stesse, alcuni elementi citati in letteratura e positivamente associati alla resilienza sono esterni alle scelte tipiche del SCM. Tra questi, rileviamo aspetti soft e legati alla cultura aziendale, quali il capitale umano e la fiducia che lega i diversi anelli della filiera e i loro partner, ed elementi quali il settore in cui si opera, il posizionamento e la strategia, la dimensione e l’età dell’organizzazione. È scontato dire che aziende più solide, sia da un punto di vista finanziario sia dal punto di vista del business e della riconoscibilità del brand, saranno più forti a fronte di eventi disruptive inaspettati.

Il rapporto tra rischi specifici e proprietà della supply chain

La natura complessa, globale e dinamica delle supply chain moderne richiede una vigilanza costante per individuare le vulnerabilità così come un’eccezionale agilità e flessibilità in caso di shock, al punto che, talvolta, resilienza non significa ritornare a un normale stato delle operations ma mutare i processi per adattarli ai rischi e alle mutate condizioni del contesto esterno.

Dall’analisi svolta emerge che crisi legate a rischi ambientali (tra cui rientra anche la recente pandemia), si possono affrontare al meglio se la supply chain è dotata di sufficiente visibilità, integrazione, ridondanza, adattabilità, flessibilità e robustezza. Tali caratteristiche, necessarie affinché le filiere siano capaci di prevenire e sopravvivere a eventi inaspettati, sono le stesse che dalla letteratura risultano necessarie per affrontare i «problemi strutturali» del settore, ossia le sfide che il sistema agroalimentare deve affrontare per crescere in modo sostenibile e per garantire la sicurezza alimentare a livello globale[3].

Questo risultato a prima vista banale ci dice invece qualcosa di importante. In primo luogo, il concetto di resilienza va a braccetto con quello di sostenibilità perché la transizione a un sistema alimentare più sostenibile è anche la via per rendere le attuali filiere agribusiness più resilienti, con la parola resilienza che tra le altre cose vuol dire anche sopravvivere a un ambiente esterno mutevole e spesso sfidante. In secondo luogo, a oggi sappiamo che la recente pandemia, improvvisa e traumatica per le imprese, ha spinto a una rivalutazione delle supply chain molto più radicale di quella innescata dalle sfide strutturali del settore agribusiness, che pur essendo sempre state presenti, non hanno avuto la stessa immediata risonanza. È quindi opportuno chiedersi perché i trend e le sfide che essi portano con sé, anche quando sono allarmanti come nel caso del cambiamento climatico e delle sue conseguenze, spingano solo parzialmente il management a prepararsi e ad apportare cambiamenti. Purtroppo, com’è avvenuto nel caso delle recenti crisi causate dalla pandemia prima e dal conflitto russo-ucraino dopo, i cambiamenti iniziano solo dopo che i rischi reali sono diventati evidenti e, ancor di più, in seguito alle conseguenze negative di eventi estremi e inattesi. Un autore piuttosto noto, Nassim N. Taleb, nel suo libro The Black Swan ci aveva pre-allertato rispetto a questa (malsana) attitudine, scrivendo che «il nostro mondo è dominato dall’estremo, dall’ignoto, e dall’improbabile ... ma noi passiamo il nostro tempo impegnati in chiacchiere, concentrandoci sul noto e il ripetuto».

In sintesi

  • Gli studi sulla resilienza delle supply chain agroalimentari tendono a considerare l’intera filiera, riconoscendo che la resilienza del sistema dipende per buona parte dalle interazioni tra gli attori della filiera stessa e dalle relazioni che essi instaurano.
  • Le decisioni strategiche e tattiche prese nell’ambito del SCM sono fondamentali nella creazione di catene di fornitura resilienti. Tra le capabilities che rendono le filiere resilienti, è emerso che collaborazione, ridondanza, robustezza e flessibilità sono prevalentemente influenzate da decisioni di natura strategica, mentre visibilità, adattabilità, efficienza e agilità sono abilitate in via preliminare dalle decisioni di tipo tattico. 
  • La sostenibilità è strettamente legata alla resilienza nelle catene di fornitura dell’agribusiness. La transizione verso sistemi alimentari più sostenibili contribuisce a rendere le filiere agribusiness più resilienti, poiché la resilienza implica anche la capacità di sopravvivere e adattarsi a un ambiente mutevole e sfidante.

Riferimenti bibliografici

Al Naimi, M., Faisal, M. N., Sobh, R., Bin Sabir, L. (2022), «A systematic mapping review exploring 10 years of research on supply chain resilience and reconfiguration», International Journal of Logistics-Research and Applications, 25(8), 1191-1218.

Alikhani, R., Torabi, S. A., Altay, N. (2021), «Retail supply chain network design with concurrent resilience capabilities», International Journal of Production Economics, 234, 108042.

Bourne, J.K. jr (2022), «War in Ukraine could plunge world into food shortages», National Geographic, 25 marzo 2022, https://www.nationalgeographic.com/environment/article/war-in-ukraine-could-plunge-world-into-food-shortages

Gatti, S., Chiarella, C., Fiorillo, V. (a cura di), (2023), Agriculture as an Alternative Investment: The Status Quo and Future Perspectives, Springer.

Kamalahmadi, M., Parast, M.M. (2016), «A review of the literature on the principles of enterprise and supply chain resilience: Major findings and directions for future research», International Journal of Production Economics, 171, 116-133.

Leat, P., Revoredo‐Giha, C. (2013), «Risk and resilience in agri‐food supply chains: The case of the ASDA PorkLink supply chain in Scotland», Supply chain management: An international journal, 18(2), 219-231.

Münch, C., Hartmann, E. (2022), «Transforming resilience in the context of a pandemic: results from a cross-industry case study exploring supply chain viability», International Journal of Production Research, 1-19.

Ribeiro, J. P., Barbosa-Povoa, A. (2018), «Supply Chain Resilience: Definitions and quantitative modelling approaches–A literature review», Computers & Industrial Engineering, 115, 109-122.

Tukamuhabwa, B. R., Stevenson, M., Busby, J., Zorzini, M. (2015), «Supply chain resilience: definition, review and theoretical foundations for further study», International journal of production research, 53(18), 5592-5623.

Zamani, E. D., Smyth, C., Gupta, S., Dennehy, D. (2022), «Artificial intelligence and big data analytics for supply chain resilience: a systematic literature review», Annals of Operations Research, 1-28.

1

Comprendono i rischi esterni associati a eventi sociali, politici, economici, tecnologici dell’ambiente all’interno del quale la catena di fornitura deve operare. Varie fonti contribuiscono al rischio ambientale, tra cui l’instabilità politica, il terrorismo, la guerra, le epidemie, i disastri naturali e le recessioni economiche.

2

Nell’ambito del Supply Chain Management (SCM) si distinguono tre livelli decisionali: 1) il livello strategico si occupa di decisioni a lungo termine che stabiliscono design e complessità della supply chain, ossia la rete attraverso la quale produzione, assemblaggio e distribuzione servono il mercato; 2) il livello tattico si concentra sulla traduzione delle direttive strategiche in piani operativi tangibili. Esempi di decisioni tattiche includono la programmazione della produzione e l’organizzazione della rete di vendita; 3) il livello operativo traduce in azione le direttive provenienti dal livello tattico e include la coordinazione tra vari dipartimenti all’interno dell’azienda, così come l’istituzione di sistemi e procedure per supportare l’esecuzione. Il livello operativo programma i processi per garantire la consegna puntuale dei prodotti finali, coordinando la rete logistica per rispondere alle richieste dei clienti.

3

Le sfide principali del sistema agroalimentare sono: a) migliorare la produttività agricola e ridurre gli sprechi alimentari; b) usare in modo efficiente le risorse naturali e migliorare i servizi ecosistemici; c) garantire la sicurezza alimentare e la salute pubblica d) l’equa distribuzione di quanto prodotto, in termini di volumi e calorie, e del valore prodotto, in termini economici. Si veda Gatti, S., Chiarella, C., Fiorillo, V. (eds.), Agriculture as an Alternative Investment: The Status Quo and Future Perspectives, Springer, 2023, pp. 17-18.