E&M

2021/3

Alessandro Cravera

Come esercitare la leadership in contesti complessi

Il modello culturale di reale esercizio della leadership è tuttora quello di una persona al comando e una schiera di follower che la seguono. I concetti di leader e leadership sono dunque ancora associati a caratteristiche quali il carisma, la capacità persuasiva, l’assertività e la rapidità di azione e decisione. Tutte abilità non più idonee a governare la realtà complessa in cui le organizzazioni sono immerse. L’esercizio della leadership in contesti complessi deve dismettere le vecchie logiche di controllo e farsi saggia. La leadership deve pertanto essere una «wise leadership». Esercitarla significa sviluppare consapevolezza di sé (dei propri limiti e delle proprie conoscenze) e del contesto in cui si opera. La wise leadership si fonda su quattro abilitatori: la predisposizione a privilegiare l’azione orientata al «bene comune»; la comprensione del contesto in cui si agisce; la capacità relazionale, quindi l’inclusione e l’apertura agli altri; la costante attenzione alla dimensione temporale e dunque agli effetti delle proprie azioni nel futuro.

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Il concetto di leadership è al centro di un paradosso. Il «2020 Training Industry Report» informa che le organizzazioni hanno speso 3,5 miliardi di dollari in programmi di sviluppo della leadership ed evidenzia un trend in crescita[1]. Questa corsa allo sviluppo di leader si scontra con molte evidenze che segnalano una diffusa crisi della leadership.

Secondo «The State of Leadership Development Report» pubblicato da Harvard Business Publishing il 60 per cento delle persone con meno di 36 anni giudica insufficiente la qualità dei programmi di sviluppo della leadership nella propria organizzazione[2]. Le ricerche condotte da Robert Kaiser e Gordy Curphy arrivano a indicare una correlazione negativa tra il denaro speso negli interventi per migliorare la qualità della leadership e la fiducia delle persone nei loro leader[3]. Risultati simili si evidenziano anche negli indicatori misurati da Ipsos a livello internazionale: solo il 9 per cento dei politici e il 12 per cento dei ministri in carica nel mondo sono giudicati degni di fiducia dai cittadini, e circa il 60 per cento delle persone nel mondo ritengono che il loro Paese sia sulla strada sbagliata per colpa dei loro leader[4].

La crisi della leadership

La leadership è in crisi perché spesso non è concepita per affrontare contesti complessi.

La crisi finanziaria del 2008 e l’attuale crisi pandemica hanno reso evidente l’interconnessione della nostra realtà. Viviamo in contesto non lineare, interdipendente, imprevedibile e ricco di trade-off. Ogni nostra decisione e azione entra in relazione con le altre e può potenzialmente riconfigurare il sistema entro cui viviamo. Senza una diffusa educazione alla complessità rischiamo che l’inconsapevolezza e la miopia delle nostre scelte individuali, anche apparentemente sicure o innocue, possano determinare l’insorgere di conseguenze non solo locali – a noi vicine – ma anche globali.

Continuiamo a considerare il mondo da un punto di vista ingegneristico in cui ogni cosa ha una misura e ogni obiettivo ha una strategia ottimale per raggiungerlo. E quando questo non avviene imputiamo la causa a una bassa capacità di execution.

Questo approccio è corretto solo all’interno di sistemi/ambiti cosiddetti ordinati, dove la relazione delle variabili è lineare e stabile ed esiste una best way per raggiungere un risultato. Occorre solo individuarlo e implementarlo correttamente. Per fare un esempio, l’obiettivo indicato in primavera dal Governo di vaccinare l’80 per cento dei cittadini italiani entro l’estate rientra in questo ambito. Partendo dal risultato che si vuole conseguire si possono definire i processi, le risorse, le tecnologie necessarie per ottimizzare la distribuzione dei vaccini e raggiungere il risultato atteso. Analisi ed execution rappresentano i pilastri dell’approccio strategico e la leadership lo strumento ideale per guidare questi due processi.

Tuttavia, questo schema entra in crisi quando ci si deve muovere in sistemi/ambiti non ordinati dove la relazione tra le variabili è instabile e non lineare e non esiste a priori una soluzione ottimale da trovare. La gestione della crisi pandemica al fine di minimizzare gli impatti sanitari ed economici rappresenta un esempio di questo tipo. Non è possibile approcciarsi a questo obiettivo basandoci su uno schema classico di analisi, pianificazione e implementazione. In questo caso la strategia non è guidata dal risultato finale, bensì dalle condizioni di partenza. I pilastri non sono l’analisi e l’execution bensì la capacità di leggere il contesto (context reading), la rapidità di azione, la flessibilità e l’apprendimento continuo. L’approccio diventa di tipo try&learn e per il successo della strategia occorre il contributo di tutti gli agenti coinvolti nel sistema. Non conta quindi solo l’intelligenza del singolo che decide il piano strategico, ma diventa fondamentale guidare un’intelligenza collettiva che supporti l’evoluzione del sistema. La strategia prende nuove forme: da piano e processo si trasforma in narrazione e generazione di contesti. E l’esercizio della leadership deve assumere forme diverse.

Proverò a sintetizzare i 5 principali problemi connessi al concetto di leadership adottato all’interno delle aziende, delle organizzazioni e della politica. Nella parte finale dell’articolo descriverò cosa significa esercitare una leadership in contesti complessi[5].

I cinque problemi della leadership

La leadership privilegia i contenuti rispetto al contes...

Secondo uno studio condotto da McKinsey, i programmi di sviluppo della leadership mancano di efficacia perché tendono a privilegiare i contenuti rispetto al contesto in cui dovranno applicarsi, e perché sono troppo teorici, difettano quindi di concreta applicazione[6]. L’insegnamento della leadership è spesso di tipo descrittivo. Si tendono a insegnare approcci e «regole auree» e spesso si diffondono metodi e prassi ispirate a best practice definite da guru del settore o da grandi personaggi che hanno ottenuto nella loro carriera risultati eccezionali: da Jack Welch a Richard Branson, da Phil Knight a Phil Jackson. La conseguenza di questo approccio è che spesso i programmi risultano scollegati dalla realtà e non aiutano i partecipanti a sviluppare «context reading», ovvero la capacità di leggere e interpretare i diversi contesti in cui devono muoversi e in cui devono esercitare una leadership.

La leadership crea seguaci e spegne il pensiero

Il modello culturale di reale esercizio della leadership è tuttora quello di una persona al comando e una schiera di follower che la seguono. Lo schema leader-follower presenta però una serie di problemi.

  • Il gap tra il sapere individuale (ciò che un individuo è in grado di conoscere) e il sapere collettivo (ciò che è conosciuto) si sta progressivamente ampliando. La realtà è molto più complessa rispetto al passato e per affrontare i problemi e le situazioni di oggi in ogni ambito – sia esso politico, sociale, economico o aziendale – occorrono competenze multidisciplinari e il ricorso all’intelligenza collettiva degli agenti coinvolti nel sistema.
  • Questo schema porta i follower a considerare il proprio leader come superiore e infallibile e ciò comporta un abbassamento del pensiero critico e l’emergere di dinamiche «in-group/out-group», ovvero alla creazione di vere e proprie tifoserie intorno ai propri punti di riferimento.
  • A molte persone capaci non piace considerarsi follower. I leader rischiano pertanto di essere seguiti solo dai più influenzabili, pigri e meno competenti. Seppur numeroso, un gruppo di seguaci così composto può rendere il leader più forte, visibile e potente ma difficilmente rende l’organizzazione più efficace e innovativa.

La leadership offre certezze e riduce la complessità

Siamo stati programmati per sopravvivere e questo implica trasformare l’ignoto in noto. Fatichiamo a convivere con l’incertezza e facciamo di tutto per superarla e trasformarla. Per questa ragione non è infrequente che assuma il ruolo di leader chi dispensa certezze, chi afferma di avere una soluzione a tutti i problemi, chi riduce la complessità proponendo soluzioni semplici e facilmente comprensibili da tutti.

Secondo Ronald F. Inglehart, direttore del World Values Survey, i valori della società cambiano in base al grado di sicurezza percepita. Per larga parte della storia dell’umanità, la sopravvivenza non è stata affatto sicura. Scarsità di cibo, povertà estrema e assenza di cure rendevano la vita una corsa a ostacoli in cui solo pochi fortunati riuscivano a sopravvivere. In contesti come questo, emergono valori quali la chiusura agli altri, la xenofobia, la paura del diverso e l’obbedienza a leader forti.

Dal secondo Dopoguerra il livello di benessere è cresciuto e con esso la sicurezza di sopravvivere. Hanno cominciato a emergere valori nuovi come l’attenzione per l’ambiente, l’apertura agli altri, l’inclusione della diversità e la libertà di espressione. La democrazia stessa si è diffusa come mai prima di allora.

Negli ultimi vent’anni stiamo tuttavia assistendo a un pericoloso abbassamento del grado di sicurezza percepita. Lo sviluppo della tecnologia e in particolare dell’intelligenza artificiale sta facendo scomparire mestieri e posti di lavoro. Le diseguaglianze economiche stanno crescendo e la cosiddetta middle class tende a ridursi quantitativamente e ad avere minore qualità di vita rispetto al passato. Anche il fenomeno migratorio di questi ultimi anni tende ad abbassare il livello di sicurezza percepita. A questo si aggiunge l’effetto della pandemia da Covid-19 che ha necessariamente ridotto le relazioni sociali e generato un clima di diffusa diffidenza verso gli altri e di timore per il futuro.

Stanno riemergendo gli antichi valori connessi a un basso grado di sicurezza sulla sopravvivenza. Si diffondono e radicano le intolleranze religiose, si avvertono rigurgiti razzisti, vengono votati ed eletti leader politici populisti e illiberali, la spinta ecologista si è ridotta e il clima sociale, anche grazie ai social network, è continuamente avvelenato da fake news, aggressività e violenza verbale. In questo contesto il rischio è proprio quello di affidarsi a persone che soffiano sul fuoco alimentando queste paure.

Una questione di competenze

Le competenze e gli atteggiamenti che favoriscono l’ascesa a posizioni di leadership sono molto diversi da quelli che servono per esercitarla efficacemente. Una fortissima ambizione personale, uno spiccato orientamento alla sfida e alla competizione, abbinati al piacere di prendere decisioni e di influenzare gli altri, sono caratteristiche abbastanza comuni nei leader di ogni genere e ambito. Non è un caso che la diffusione del narcisismo nella popolazione complessiva è solo dell’1 per cento, mentre tra gli amministratori delegati il dato sale al 5 per cento[7] .

Queste caratteristiche aiutano indubbiamente a emergere in mezzo agli altri ma non sono quelle più utili per gestire un’organizzazione una volta occupata una posizione di vertice. Quando la partita è personale, ovvero il raggiungimento dell’obiettivo assegnato è funzionale alla carriera, conta solo il «cosa» (il target raggiunto o meno). Quando invece si è raggiunto l’apice della piramide la partita smette (o dovrebbe smettere) di essere personale e diventa collettiva, riguarda l’intera organizzazione. In questo caso, oltre al «cosa» (l’obiettivo raggiunto) conta molto anche il «come» lo si è raggiunto.

Si pensi al mondo politico. Le competenze per entrare e restare in politica sono oggi molto diverse dalle competenze che servirebbero per amministrare la res publica. Per essere eletti risultano premianti la capacità di raccogliere consenso con facili promesse, l’inclinazione a non prendere mai una posizione per non scontentare nessuno e l’abilità di cambiare opinione a seconda delle situazioni senza nessuna preoccupazione per la propria coerenza e coscienza. Sappiamo bene come queste capacità siano oltremodo nefaste quando si tratta di governare un Paese.

La leadership da mezzo è diventata un fine

Sui social la leadership è incarnata dagli influencer che misurano la loro forza in base al numero di follower. Nello stesso modo in politica, si considerano leader i personaggi che sono in testa nei sondaggi di gradimento. Oggi il concetto di leader è abbinato al successo personale di chi si propone come tale. Il leader è chi emerge tra gli altri, si differenzia dalla massa, chi crea seguaci ed emuli. La leadership è quindi oggi considerata un fine, non un mezzo. È importante raggiungerla, non esercitarla per migliorare le condizioni del sistema che il leader dovrebbe guidare.

I contesti complessi

Le logiche top-down tipiche della leadership classica tendono a trasformare le persone in esecutori di piani e regole definite dall’alto e a spegnere il loro spirito di iniziativa e il commitment personale. Come abbiamo visto, affrontare una situazione complessa richiede invece rapidità di azione, flessibilità e apprendimento continuo.

Che tipo di leadership può favorire questo cambiamento? Il progetto Shared Space lanciato da Hans Monderman in alcune cittadine olandesi e tedesche può rispondere a questa domanda. L’ingegnere olandese ha convinto le amministrazioni comunali a eliminare ogni forma di cartellonistica stradale. L’effetto sui comportamenti di automobilisti, ciclisti e pedoni è stato immediato e radicale. In assenza di regole, tutti erano consapevoli degli impatti delle loro scelte e dei loro comportamenti sugli altri. La responsabilità individuale di fare scelte compatibili con la sicurezza degli altri ha generato dinamiche auto-organizzative che hanno aumentato la responsabilità collettiva.

Un cambiamento del contesto ha educato le persone a riconoscere le interdipendenze e a vivere responsabilmente le dinamiche sociali in cui si inserivano. Chi ha generato quel contesto ha espresso una forma di leadership coerente con il governo dei sistemi complessi.

Shared Space ci indica una nuova strada da seguire. Indica una leadership che non accentra su di sé le scelte, non crea seguaci, non vende ricette semplicistiche per affrontare i problemi di oggi. Indica una leadership, magari invisibile, che responsabilizza le persone e, soprattutto, le rende protagoniste della sostenibilità del mondo di domani. Per trasformare i membri dell’organizzazione da esecutori di compiti prescritti in agenti proattivi dotati di capacità di giudizio e autonomia di movimento, il leader deve diventare un creatore di contesti. L’esercizio della leadership mira a moltiplicare i punti di osservazione e di contatto, le esplorazioni e gli indirizzi, e non obbligare a seguire pedissequamente la strada indicata da un leader.

«Agisci sempre in maniera che il numero delle possibilità cresca» è questo il consiglio che Heinz von Foerster dà per affrontare la complessità. Lungi dal ridurre le menti pensanti, occorre moltiplicarle; lungi dal scegliere un’unica via, occorre stimolare la continua e contemporanea ricerca di nuove strade; lungi dal ricercare l’omogeneità comportamentale, occorre favorire la diversità, accoglierla, integrarla, farla propria; lungi dal puntare sull’organizzazione delle persone, occorre far emergere dinamiche di auto-organizzazione all’interno dell’impresa. Si badi bene, non si tratta di creare contesti democratici in cui ognuno vota per individuare la scelta migliore, bensì di diffondere la consapevolezza della situazione, dei trade-off a essa correlati e delle diverse opzioni sul tavolo. In qualità di architetto di contesti il leader non è un decisore ultimo. È colui che mette gli altri nelle condizioni migliori per poter comprendere quanto sta accadendo e quindi decidere. Perturba il sistema, non lo controlla.

Verso la « wise leadership »

L’esercizio della leadership in contesti complessi, oltre alla capacità di context generation, deve essere in grado di interpretare e influenzare l’ambito entro cui si muove, sapere gestire i trade-off e vedere in anticipo gli effetti delle proprie azioni. Queste capacità sono molto diverse da quelle comunemente associate ai leader: il carisma, la capacità persuasiva, l’assertività e la rapidità di azione e decisione.

Se vogliamo fare emergere leader diversi in grado di navigare nella complessità del nostro mondo abbiamo bisogno di ripensare i criteri di selezione e di formazione delle classi dirigenti. In particolare, vi è un aspetto che risulta particolarmente importante e che dovrebbe essere valutato e sviluppato nei futuri leader: la capacità di usare intelligenza, creatività e conoscenza per raggiungere un obiettivo comune bilanciando gli interessi personali, interpersonali ed extrapersonali, gli effetti di breve e di lungo termine, adattandosi all’ambiente in cui agisce e plasmandolo per renderlo più favorevole al risultato che si vuole ottenere.

Forse sorprenderà sapere che questa abilità rappresenta la definizione accademica più accreditata del concetto di saggezza, che può essere considerata come l’arte del bilanciamento tra trade-off in vista di un bene comune[8].

La leadership in contesti complessi deve pertanto essere «wise leadership». Esercitarla significa sviluppare consapevolezza di sé (dei propri limiti e delle proprie conoscenze) e del contesto in cui si opera; ma anche saper interpretare la realtà, osservandola da molteplici punti di vista e minimizzando gli effetti negativi delle nostre azioni sul sistema. In sintesi, leadership significa soprattutto «pensare bene» e «agire per il bene comune».

La wise leadership si fonda su quattro abilitatori che ne favoriscono l’adozione. Con il termine «abilitatore» intendiamo un set di competenze, attitudini, tratti e orientamenti valoriali che, combinati tra loro, favoriscono l’emergere di un pensiero e un’azione saggia.

Questo set di abilitatori può essere influenzato da quattro elementi inibitori – trappole cognitive, tratti della personalità e prassi di comportamento – che innescano automatismi di pensiero e di azione.

I quattro fattori abilitanti la wise leadership sono:

  • common good focus: può essere considerato come la predisposizione a privilegiare un’azione orientata al «bene comune». La leadership saggia si manifesta pertanto con il superamento degli obiettivi personali e il bilanciamento degli interessi collettivi in gioco. La sua finalità è costantemente orientata a creare un contesto migliore di quello passato. E questo è valido che si parli di un’azienda, di economia o di politica. La predisposizione al bene comune determina la scelta del corso delle azioni sostenibili, riducendo i potenziali impatti negativi sul sistema e favorendo una traiettoria positiva di evoluzione;
  • context reading & shaping: una leadership saggia si basa sia sulla profonda comprensione del contesto in cui si agisce sia sulla predisposizione all’azione trasformativa dello stesso. L’azione non si inserisce in uno schema ideologico o idealistico della realtà, ma è strettamente connessa alla situazione che si sta affrontando, con i suoi vincoli e le sue peculiarità. Al contempo, però, l’azione è pensata per essere generatrice di un nuovo futuro;
  • empathic & social concern: la leadership si fonda sulle relazioni, quindi l’inclusione e l’apertura agli altri (punti di vista, emozioni e caratteristiche peculiari) rappresentano un aspetto fondamentale della stessa. Questo fattore abilitante consente di rendere l’azione della leadership più calda, in grado quindi di generare interazioni sociali benevole e più efficaci per le parti coinvolte;
  • short/long term balance: la complessità richiede una costante attenzione alla dimensione temporale. L’azione della leadership non può essere cieca nei confronti dei suoi effetti futuri, né può, sull’altare del lungo termine, sottovalutare l’importanza di un risultato nel presente. Il bilanciamento degli effetti di breve e lungo termine e la scelta di privilegiare i primi o i secondi, in base al momento e alla situazione, rappresentano un fattore determinante per l’esercizio della wise leadership.

Accanto ai fattori abilitanti ve ne sono altri quattro che possono ostacolare l’esercizio di una leadership saggia:

  • ego centering: l’ego in sé non rappresenta un ostacolo alla leadership, può anzi essere un elemento centrale che dà forza alle nostre azioni per raggiungere gli obiettivi che ci siamo posti. L’ego può diventare un potente ostacolo alla wise leadership quando supera certi confini e si trasforma nella volontà di mettere se stesso al centro dell’azione sopravvalutandone importanza e capacità d’influenza. In questo caso, il contesto in cui si opera, gli interessi in gioco, i trade-off e il bene comune passano in secondo piano rispetto agli obiettivi, alle esigenze e al punto di vista del leader;
  • need for control: rappresenta il bisogno impulsivo al controllo delle cose. Si manifesta con una bassa tolleranza all’incertezza e può portare a inazione o dogmatismo. Segnali di questo inibitore si trovano nel tentativo di ricondurre l’incertezza a schemi noti e conosciuti e nel rifugio in prassi consolidate che hanno dato buoni risultati nel passato. Sono strategie cognitive che mal si conciliano con il bisogno di convivere con l’ambiguità e l’ignoto che i leader di oggi devono sviluppare;
  • need for consensus: rappresenta il bisogno impulsivo di ottenere il consenso degli altri. Questo si manifesta nella bassa predisposizione a esporsi e in un atteggiamento conformista. Il leader con tale predisposizione tenderà a non prendere posizione, si appoggerà sul giudizio degli altri prima di intraprendere qualunque iniziativa e, soprattutto, sarà più preoccupato del giudizio di terzi che non della qualità della sua azione;
  • bias: l’esercizio di una leadership saggia può essere inibito dall’attivazione di trappole cognitive che possono distorcere l’interpretazione della realtà e influenzare l’efficacia dell’azione. Alcuni bias potenzialmente nocivi per l’esercizio della leadership sono la tendenza a preferire le informazioni che confermano le proprie ipotesi evitando opinioni contrarie (confirmation bias), il processo mentale che induce a considerare un evento già verificatosi come più prevedibile di quanto in realtà sia (hindsight bias) e la tendenza a privilegiare sempre l’azione rispetto all’attesa/inazione (action bias).

Si pensi a come cambierebbe il mondo se iniziassimo a considerare leader solo coloro che pensano, agiscono e lavorano per creare un contesto migliore. Non stiamo parlando di un idealista che disegna un mondo utopico, ideologico e irrealizzabile, bensì di un architetto del futuro, consapevole dei propri limiti, che catalizza le migliori energie per orientare le scelte e le azioni verso la sostenibilità e l’evoluzione della realtà entro cui opera. Una persona che non spaccia false certezze, ma aiuta le persone a convivere con l’incertezza e le ambiguità, senza visioni rigidamente dualiste («o bianco o nero»). Un leader che non crea seguaci ma genera altri potenziali leader.

Oggi queste tipologie di leader rimangono ai margini. Pur presenti nelle organizzazioni e determinanti per il loro successo, il loro contributo passa spesso in secondo piano rispetto ad altre persone il cui comportamento è più marcato e deciso. Si preferisce ancora dare spazio a chi si dimostra decisionista, sicuro di sé e che spicca per appeal e carisma. La forza con cui si veicola un messaggio vince ancora sulla qualità del messaggio stesso. Il target da raggiungere supera l’importanza dello scopo da realizzare. E questo continua ad accadere perché non vi è una diffusa consapevolezza di quello che occorre per muoversi e vivere in contesti complessi.

Abbiamo quindi urgente bisogno di ridefinire i criteri di assessment per far emergere leader con caratteristiche diverse dal passato e concepire nuove modalità formative che aiutino lo sviluppo di differenti e più evolute forme di leadership.

L’auspicio è che questo momento drammatico, in cui la pandemia da Covid-19 ha reso evidente a tutti gli effetti dell’interdipendenza e dell’interconnessione del mondo, porti rapidamente a un ripensamento di molte convinzioni limitanti e obsolete sulle qualità necessarie per i leader di domani.

In sintesi

  • Il modello culturale di reale esercizio della leadership è tuttora quello di una persona al comando e una schiera di follower che la seguono. I concetti di leader e leadership sono dunque ancora associati a caratteristiche quali il carisma, la capacità persuasiva, l’assertività e la rapidità di azione e decisione. Tutte abilità non più idonee a governare la realtà complessa in cui le organizzazioni sono immerse.
  • L’esercizio della leadership in contesti complessi deve dismettere le vecchie logiche di controllo e farsi saggia. La leadership deve pertanto essere una «wise leadership». Esercitarla significa sviluppare consapevolezza di sé (dei propri limiti e delle proprie conoscenze) e del contesto in cui si opera.
  • La wise leadership si fonda su quattro abilitatori: la predisposizione a privilegiare l’azione orientata al «bene comune»; la comprensione del contesto in cui si agisce; la capacità relazionale, quindi l’inclusione e l’apertura agli altri; la costante attenzione alla dimensione temporale e dunque agli effetti delle proprie azioni nel futuro.
1

«2020 Training Industry Report», Training Industry, 2020.

2

«The State of Leadership Development Report», Harvard Business Publishing, 2018.

3

R.B. Kaiser, C. Curphy, «Leadership development: The failure of an industry and the opportunity for consulting psichologists», Consulting Psychology Journal: Practice and Research, 65(4), 2013, pp. 294-302.

4

«What worries the World», Ipsos MORI, ottobre 2016.

 

5

Parte di queste analisi sono riprese da A. Cravera, Allenarsi alla complessità, Milano, Egea, 2020.

6

«Why leadership-development programs fail», McKinsey Quarterly, 1 gennaio 2014.