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2002/2

Gli opportunisti che in Italia si godono le partite di calcio con schede pirata sembrano superare il milione. Se ogni evasore sottoscrivesse un abbonamento annuo di un milione di lire salterebbero fuori d’incanto i mille miliardi con cui le emittenti televisive foraggiano il nostro calcio. In Cina, cento milioni di appassionati vedono ogni domenica una partita del nostro campionato. Se ogni spettatore ci facesse omaggio di una sigaretta settimanale raggiungeremmo anche qui la fatidica cifra di mille miliardi. Forse il calcio italiano è tutt’altro che al capolinea.

La Cina sta pregustando grandi appuntamenti sportivi. A giugno 2002 partecipa per la prima volta ai mondiali di calcio che, guarda caso, si svolgono per la prima volta in Oriente. È un avvenimento storico, tanto è vero che Corea e Giappone, gli organizzatori dell’evento, hanno il loro da fare per impedire che i cinesi facciano razzia di tutti i biglietti d’ingresso. Nel 2003 avranno luogo in Cina i mondiali femminili di calcio: e nelle ultime Olimpiadi furono proprio le ragazze cinesi a perdere, ai rigori, la finale con gli Stati Uniti. Nel 2004, sempre in Cina, sarà la volta dei giochi asiatici. E nel 2008 le grandi Olimpiadi.

In questo contesto c’è tutto da costruire. Per esempio, servono trenta stadi. Ma nulla spaventa una città come Shanghai, dove ogni venti minuti si costruisce il piano di un grattacielo. Sono due Pirelloni al giorno, per intenderci. Questa strepitosa modernità cerca nello sport un’apoteosi mondiale. La prima tappa di avvicinamento avrà luogo a maggio 2002 con un convegno a Shanghai su “Sport e città”. Per quella data è prevista una tournée dell’Inter in Cina. Mi risulta che a Galliani sarebbe piaciuta una squadra mista milanese, ma gli interisti temono la maledizione di Prisco. A novembre la Cina ospiterà la Scala di Milano e un’esposizione delle meraviglie italiane.

Si è soliti dire che la competizione sta diventando globale. Lo slogan l’ha imparato anche il papa. Ma nessuno può essere globale se non va in Cina. E anche questo il papa lo sta imparando, stavolta a sue spese. Ha dimenticato troppo presto un gesuita del Cinquecento, lo scienziato Matteo Ricci, che visse in Cina per ventotto anni e fu il primo straniero in assoluto a esservi sepolto. Chiamato il saggio dell’Occidente, capì che era possibile accettare che i cinesi venerassero i loro antenati. A Roma si scatenò un putiferio, nacque la questione dei riti cinesi, a conferma che il potere centrale non capta la periferia se sta seduto nel suo ufficio, anche se si tratta del Santo Ufficio.

Matteo Ricci sfondò in Cina perché si portava dietro la nostra storia, amante del gusto di ricercare e di crescere. Diceva: “La ragion d’essere dell’amicizia è il mutuo bisogno e il mutuo aiuto”. Fece tutto senza il sostegno di nessuna potenza straniera perché, alla lunga, la storia ha una forza di penetrazione superiore a quella dei dollari. Noi italiani dalla lira debole sappiamo girare il mondo senza volerlo colonizzare. Ma all’estero ci adorano perché lasciamo traccia di immensa simpatia.

Lo sport, il partito unico degli italiani, può pilotare verso la Cina le nostre imprese, a partire da quelle dell’indotto sportivo, perché ribadisce la nostra immagine distintiva: sappiamo divertirci anche facendo business. Marco Polo, però, non avrebbe mai scritto Il Milione senza intraprendere un grande viaggio. “La Cina è una questione oscura, ma c’è una verità chiara da trovare. Cercatela.” Già prima del 1662 lo diceva anche Pascal.