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Finanziare la transazione ecologica
Sulla transizione ecologica si sta dibattendo da molti decenni, dicendo e scrivendo moltissimo. In realtà, negli ultimi anni essa ha raggiunto un’importanza cruciale per lo sviluppo economico e sociale del nostro pianeta. Si tratta del resto di un tema assai complesso e molto difficilmente definibile, specie in termini pratici, che cambia in continuazione e che riguarda diversi ambiti, tra cui la decarbonizzazione dell’economia, l’economia circolare, la riduzione dell’uso della plastica, la rigenerazione urbana, il turismo sostenibile, l’adattamento e la mitigazione dei rischi sul territorio derivanti dai cambiamenti climatici. La soluzione di questi problemi, che non è per nulla facile e che comunque richiederà tempi lunghi, dovrebbe assicurare la transizione verso un’economia più pulita e circolare, basata anche su progetti volti a integrare i cicli produttivi con tecnologie a basse emissioni per produrre beni e servizi e per assicurare una mobilità sostenibili e intelligenti.
In sostanza è quasi tutto il sistema produttivo e distributivo mondiale che è potenzialmente oggetto di transizione, per realizzare la quale saranno necessari investimenti di dimensioni colossali, i quali, evidentemente, dovranno essere finanziati in qualche modo. Le fonti fondamentali di tale finanziamento saranno soprattutto quelle classiche, cioè i mezzi propri degli investitori pubblici e privati e i debiti da essi contratti con le banche e con gli operatori del mercato finanziario e mobiliare.
L’atteggiamento dei potenziali finanziatori nei riguardi degli investimenti necessari per la transizione condizionerà in modo determinante il successo o l’insuccesso di quest’ultima. In proposito, i problemi sono diversi e riguardano anzitutto il fatto che non si potrà chiedere, come fanno invece in molti, al mondo finanziario di svolgere il ruolo di trascinatore degli investitori e in particolare delle imprese, ruolo del tutto sproporzionato rispetto alla storia e alla capacità di quel mondo, il quale potrà solo operare nell’ambito di politiche industriali e sociali in grado di affrontare con tempestività ma anche con adeguata proporzionalità il processo di transizione per gestirne i costi, anche sociali, e gli impatti su imprese e famiglie. Tali politiche dovranno in qualche modo accordarsi con quelle del sistema bancario e degli altri intermediari finanziari.
Anche questo problema, tuttavia, presenta aspetti complessi, non del tutto chiari e difficilmente risolvibili soprattutto perché non sono ancora note molte fondamentali caratteristiche qualitative e quantitative degli interventi che dovrebbero essere effettuati per risolverlo e che necessitano la conoscenza di molti aspetti di dettaglio ed anche del contesto generale in cui lo stesso problema è inserito. Che senso ha del resto parlare di argomenti di dettaglio e trattarli senza inquadrarli nel più ampio contesto degli elementi dai quali può dipendere, a puro titolo di esempio, il successo delle banche nel finanziamento dei processi di transizione sostenibile sia dal punto di vista delle modalità e della qualità dell’inserimento delle nuove attività nel complesso delle altre attività bancarie sia da quello dell’influsso dei finanziamenti in questione sul più vasto problema della transizione a livello globale.
Non si può in effetti, fra l’altro, non chiedersi e cercare di capire quali rapporti debbano esserci fra finanziamenti per la transizione e finanziamenti tradizionali, quali tecniche di valutazione dei rischi possono essere utilizzate per assicurarne il buon fine, quali caratteristiche, culture e competenze dovrebbe avere il personale che vi sarà addetto, quali tipi di controlli occorrerà instaurare per fare in modo che la nuova macchina funzioni nel migliore dei modi con rischi governabili e così via.
Pongo l’attenzione sulla questione delle banche perché sono quelle che meglio conosco e anche perché le fonti finanziarie bancarie saranno ancora a lungo determinanti per la realizzazione della transizione soprattutto in Paesi come il nostro in cui la presenza bancaria nel sistema globale di intermediazione finanziaria è prevalente.
Finora, in verità, tali finanziamenti sono stati piuttosto limitati e sono peraltro consistiti più nell’emissione e nella sottoscrizione di obbligazioni verdi (i cosiddetti «green bond») che nella concessione di crediti a breve o a medio termine destinati al fine specifico della transizione ecologica.
Quanto ai green bond ricordo che essi hanno avuto un successo rapido e importante e le loro emissioni, effettuate da grandi gruppi industriali e/o bancari ma anche da Stati, sono state ben accolte dai mercati, specie perché sono riuscite a presentare con relativa chiarezza i vari tipi di investimento che dovrebbero finanziare.
L’occasione è propizia per ricordare che i problemi definitori, tuttora oggetto di sempre più attento studio da parte di diversi organismi specializzati internazionali, sono determinanti per assicurare il successo, la trasparenza e i controlli delle attività finanziarie poste al servizio della transizione.
Si tratta di macro temi riguardanti sia i contenuti della transizione sia i suoi fabbisogni finanziari sia il modo in cui essi possono essere soddisfatti sia infine la possibilità e le modalità con le quali i pubblici poteri, cui spettano in prima istanza le responsabilità della definizione e della gestione della transizione, possono incentivare i potenziali finanziatori, banche comprese. Di essi si è discusso in occasione di un recente incontro dell’Associazione dei docenti di Economia degli Intermediari e dei Mercati Finanziari e Finanza d’Impresa (Adeimf) in cui sono stati presentati alcuni studi su aspetti molto specifici del problema, che penso abbiano comunque dato per scontato tutto quanto sta loro a monte. In alcuni di essi è stata messa in evidenza la positiva correlazione fra il prezzo dei prestiti destinati a finanziare le emissioni di carbonio e le stesse emissioni nei paesi in cui l’attenzione alla politica del clima è maggiore e in cui quindi tali prezzi sono più bassi ed è anche stato dimostrato che le migliori performance delle imprese più sensibili ai problemi ecologici possono ridurre i rischi delle banche e delle assicurazioni attenuando quindi fenomeni di instabilità così come la green innovation riduce i rischi di insolvenza delle banche e le prospettive di riduzione dei prezzi delle azioni delle banche più coinvolte nel finanziamento della transizione che sembrano migliori di quelle delle altre.
È evidente che i risultati di tutte queste ricerche vanno valutati con le molle soprattutto tenendo conto della qualità dei dati da esse utilizzati e dell’ancora non precisa definizione di diverse variabili rappresentative di vari aspetti della transizione. Ciononostante è interessante notare che essi vanno pressoché tutti nella stessa direzione e questo potrebbe essere di buon auspicio per valutare la bontà delle scelte effettuate dagli stessi operatori e potrebbe anche essere strumento di convinzione per smuovere gli operatori finanziari che non hanno ancora deciso di intervenire direttamente e massicciamente nel problema.