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Gli aiuti alle imprese durante l’emergenza Covid
Alla crisi sanitaria sta facendo seguito quella economica. Il Fondo Monetario Internazionale prevede nel suo outlook di aprile una contrazione del PIL italiano 2020 del 9,1 per cento seguita da un +4,8 per cento nel 2021. Il DEF recentemente approvato stima un crollo dell’8 per cento, seguito da una crescita del 4,7 per cento nel 2021. Al di là delle stime – la cui affidabilità è relativa, mancando ancora una piena valutazione non solo delle conseguenze economiche, ma anche delle reali prospettive di ripresa, che sarà inevitabilmente condizionata dall’evoluzione epidemica –, è chiaro che i prossimi mesi saranno molto complicati e che l’economia italiana, già fragile rispetto a quella di altri Paesi europei, faticherà a recuperare il terreno perso.
Gli interventi adottati dal governo attraverso i decreti-legge 18 e 23 del 17 marzo e dell’8 aprile si concentravano, da un lato, sul sostegno ai redditi da lavoro, dall’altro sul sostegno alla liquidità alle imprese, attraverso garanzie sui prestiti, moratoria sui finanziamenti e rinvio degli adempimenti fiscali. Il cosiddetto «Decreto rilancio» ha disposto un’estensione dei regimi di aiuto prevedendo, tra gli altri, contributi a fondo perduto per le imprese fino a 5 milioni di euro di fatturato. L’Italia si è così allineata con quanto già fatto da altri Paesi UE nei mesi scorsi.
Il confronto con gli altri Paesi
Analizzando quanto notificato dagli Stati membri alla Commissione[1], alla luce del quadro temporaneo sugli aiuti nel contesto dell’emergenza Covid-19, si notano somiglianze, ma anche differenze. Tutti gli Stati hanno attivato fondi di garanzia sui prestiti e previsto l’erogazione di finanziamenti a tasso agevolato (Figura 1). Inoltre, la maggior parte dei Paesi ha previsto la possibilità di sostenere micro e piccole imprese agricole o della pesca, con delle sovvenzioni dirette sotto forma di contributi a fondo perduto non condizionati a obblighi di restituzione.
Figura 1 Regimi di aiuto autorizzati dalla Commissione Europea
Analizzando l’andamento nel tempo dei regimi d’aiuto autorizzati (Figura 2), si nota in modo chiaro come gli Stati europei si siano orientati sempre di più verso il rafforzamento degli strumenti di garanzia ai prestiti e, in modo ancora più marcato, verso l’erogazione di sovvenzioni dirette a fondo perduto allargando la platea delle imprese beneficiarie.
Figura 2 Regimi di aiuto autorizzati dalla Commissione Europea cumulati nel tempo
Il regime temporaneo europeo
Le sovvenzioni sono erogate nell’ambito del quadro temporaneo UE che prevede la possibilità di adottare un regime multisettoriale di aiuti d’importo limitato, da concedere sotto forma di sovvenzioni dirette, entro il limite d’importo di 800.000 euro a impresa (fermo restando i limiti inferiori per i settori agricoltura, pesca e acquacultura). Questa misura presenta una serie di vantaggi:
- non richiede un’istruttoria sui soggetti richiedenti (l’unica condizione è che non si tratti di imprese che erano già in difficoltà prima del 31 dicembre 2019 e, a tal fine, è sufficiente un’autocertificazione);
- non prevede limitazioni quanto alle spese ammissibili (salvo per quanto riguarda il settore della trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli);
- è cumulabile con qualsiasi altro tipo di aiuto, compresi gli aiuti de minimis e con gli aiuti concessi ai sensi di altri regolamenti di esenzione, purché nei limiti di cumulo massimi previsti da questi ultimi.
L’istituzione di un regime su tale base è molto semplice e rapida, pur richiedendo la preventiva notifica alla Commissione, la quale, peraltro, si è impegnata ad autorizzare tutti i regimi basati sul quadro temporaneo UE con la massima celerità.
Le misure a sostegno delle imprese, considerazioni sull’Italia
Il tema delle agevolazioni alle imprese ha da sempre animato sia il dibattito istituzionale sia quello accademico, essendo uno degli strumenti cardine delle politiche di sviluppo economico, tra cui la politica di coesione dell’Unione Europea. L’Italia, a differenza di altri Paesi, non si è mai distinta per un utilizzo strategico delle varie forme di agevolazione (garanzie, prestiti a tasso agevolato, fondi misti di private equity/venture capital, contributi a fondo perduto, fiscalità), preferendo spesso, specie nel quadro dei fondi strutturali, la sovvenzione a fondo perduto, perché più semplice da strutturare e in grado di generare un consenso politico più immediato, rispetto agli strumenti di finanza agevolata.
La sartorializzazione degli strumenti di agevolazione è fondamentale per assicurare l’efficacia di queste misure, come dimostrato, con riferimento alle garanzie ai prestiti, da un recente studio condotto da alcuni docenti dell’Università Bocconi[2], che ha analizzato l’addizionalità economica del Fondo Centrale di Garanzia. Lo studio ha messo in evidenza come, nel pieno della precedente crisi economica, tra il 2007 e il 2009 i benefici del Fondo sono stati più significativi per le micro e piccole imprese, ovvero le più colpite da problemi di asimmetria informativa e di carenza di finanziamenti.
Tuttavia, in questo momento storico, la necessità di assicurare tempi rapidi di risposta non consente un uso più mirato delle sovvenzioni e degli strumenti di finanzia agevolata. Nell’attuale contesto emergenziale, l’Italia ha seguito un approccio simile a quanto fatto dai vari Paesi, dapprima espandendo gli strumenti di accesso al credito e solo in un secondo momento, di fronte alla portata storica del crollo della domanda, introducendo misure temporanee a sostengo diretto del fatturato.
Questi strumenti sono più onerosi rispetto ai fondi di garanzia, che, per un effetto moltiplicatore, sono in grado, almeno sulla carta, di mobilitare più capitali. Tuttavia, nel contesto attuale potrebbero rivelarsi inefficaci, perché vi è un problema tangibile di sostegno al fatturato. Le imprese più colpite sono infatti quelle del commercio al dettaglio, il turismo, l’horeca (hotel, bar e ristoranti), il settore cultura e dello spettacolo e quello dei servizi alla persona. Si tratta di micro e piccole imprese, generalmente a conduzione familiare, difficilmente bancabili e che, soprattutto, si confrontano oggi con scenari inediti in termini di incertezza della domanda.
Raccomandazioni per il futuro
Nell’emergenza, la logica del contributo a pioggia (o «a elicottero») di breve termine può avere senso per evitare la chiusura di molte attività. Si tratta però di soluzioni tampone che dovranno essere accompagnate da altre misure, più strutturali e sartorializzate, che sin da ora, dovrebbero essere progettate.
Occorre, a questo scopo, gettare le basi per utilizzare i capitali pubblici secondo logiche di collaborazione pubblico-privato con il sistema finanziario, per generare una addizionalità finanziaria, ma anche, e soprattutto, per sostenere l’innovazione e l’imprenditorialità. L’Italia in passato non ha dimostrato molta dimestichezza nella strutturazione di programmi blended, anche facendo leva sui fondi comunitari, nonostante le raccomandazioni della Commissione. L’elevato debito pubblico e una situazione economica pre-Covid estremamente vulnerabile impongono una straordinaria mobilitazione, in una logica di investimento, della liquidità privata nazionale, che corrisponde a circa il 200 per cento del PIL del Paese e, soprattutto, di tutte le competenze disponibili.
Per fare questo serve una leadership politica e un policy maker capace di attivare e sostenere un network di attori, stimolando, attraverso il ricorso a una regolamentazione snella, idee imprenditoriali e la sperimentazione di soluzioni che consentano in modo innovativo di coniugare interessi economici e tutela della salute pubblica. Le prossime settimane saranno decisive da questo punto di vista, per non rimanere indietro nei confronti degli altri Paesi europei. Una leva che il Governo certamente deciderà di utilizzare sarà quella degli investimenti pubblici, che da anni sono ostaggio di una normativa anticorruzione che, nei fatti, è stata più attenta alla forma che alla sostanza.
La speranza è quella che nell’emergenza non solo si pensi a fare appalti e ad aprire cantieri ma che, anche in questo ambito, si favorisca l’innovazione, nelle modalità con cui gli investimenti sono realizzati, ma anche nelle logiche sottese agli stessi. Da questo punto di vista, sarebbe auspicabile dare la precedenza non solo alle infrastrutture obsolete, che rappresentano un reale pericolo per la collettività, ma anche a investimenti meno capital intensive perché volti a offrire servizi ai territori e ai cittadini. Inoltre, sarebbe auspicabile che nell’ambito del ripensamento delle logiche di investimento si considerasse finalmente la possibilità di una maggior collaborazione con il mercato, per la mobilitazione sia di capitali privati, sia di soluzioni innovative, perseguendo obiettivi legati al valore e alla sostenibilità di medio-lungo termine. Una strada potrebbero essere i contratti di partenariato pubblico-privato, da utilizzare non solo per attirare liquidità privata e ridurre gli impatti sul bilancio pubblico, ma anche perché potenzialmente più capaci, se utilizzati in modo strategico, di innovare le logiche di erogazione dei servizi pubblici (si pensi alla necessità di ripensare la mobilità urbana, gli impianti sportivi o gli edifici scolastici nel post-emergenza o alla necessità di potenziare la medicina territoriale). Una seconda strada potrebbero essere i social impact bond o forme di impact investing, grazie a cui la liquidità privata può essere investita in nuove attività imprenditoriali volte a offrire nuovi servizi al mercato, generando ritorni finanziari, impatto sociale e occupazionale. Si tratta di soluzioni facilmente attivabili; tuttavia il mercato avrebbe bisogno di un segnale politico volto a innescare questo potenziale. Poiché la sovvenzione non è una cura, sarebbe auspicabile vedere nei prossimi decreti qualche dispositivo volto a sdoganare questi strumenti per stimolare una maggior convergenza tra pubblico e privato per generare valore condiviso.
[1] «State aid rules and coronavirus», European Commission.
[2] G. Corbetta, M. Rossolini, V. Vecchi, «Public Credit Guarantee Schemes and SMEs’ Profitability: Evidence from Italy», Journal of Small Business Management, 57 (2), 2019, pp. 555-578.