China Watching

03/11/2021 Cecilia Attanasio Ghezzi

Le web celebrity cinesi tra crescita del digitale e strette governative

Nel 2019 il mercato della pubblicità live streaming in Cina ha raggiunto il valore di 67 miliardi di dollari, facendo la fortuna di decine di influencer. Con i suoi 45 milioni di follower su Douyin, la versione cinese di TikTok, Austin Li è forse il volto più noto del web e dell’economia digitale che si è sviluppata intorno ai social network. Ma assieme alla notorietà sono arrivati anche gli obblighi governativi. Li si è ritrovato a promuovere le produzioni agricole delle aree rurali per raccogliere fondi per la campagna governativa contro la povertà o i prodotti tipici di Wuhan per risollevare l’economia della città devastata dall’epidemia. Un caso non isolato e che ha come obiettivo quello di far crescere sempre di più il mercato interno.

Che fine ha fatto «il re dei rossetti»? Li Jiaqi, anche noto come Austin Li, riesce ancora vendere 15mila lucidalabbra in cinque ore di streaming o il suo lavoro deve adeguarsi alla nuovissima Cina della prosperità condivisa e del bando ai volti effeminati? Li, con i suoi 45 milioni di follower su Douyin, la versione cinese originale del social che in Europa conosciamo come TikTok, è forse il volto più noto degli influencer cinesi e dell’economia digitale che si è sviluppata intorno a essi, la cosiddetta «Wanghong economy».

Non c’è dubbio che Livestreamer, KOL (acronimo di key opinion leader) e nuove piattaforme social stanno rapidamente cambiando le abitudini al consumo dei cinesi, specie della cosiddetta Generazione Z, ovvero degli oltre 210 milioni di individui nati tra il 1997 e il 2012[1]. Sono cresciuti nella Cina del figlio unico e del consumismo, sono nativi digitali e per lo più ottimisti, spendaccioni e raffinati. Sanno intrecciare social e piattaforme e-commerce per ottenere i prodotti che più li rappresentano e tendono a copiare le scelte dei loro influencer preferiti su WeChat, Xiaohongshu e Douyin, il cui utilizzo negli acquisti è aumentato del 600 per cento rispetto ad appena quattro anni fa[2]. Per le analisi di mercato, sono un segmento importante dei consumatori di moda e prodotti di lusso.

Ma come sempre in Cina, il costume segue la politica ed è importante non entrare in conflitto con le sue direttive. La storia di Austin Li è un ottimo esempio che ci aiuta a ripercorrere com’è cambiata l’aria negli ultimi cinque anni. Nato nel 1992 da un’umile famiglia della Cina centrale, ha lavorato come consulente di bellezza nei negozi della L’Oréal fino a quando nel 2016 l’azienda non decise di selezionare alcuni suoi dipendenti per i consigli livestream. Lì passò la selezione e si trasferì a Shanghai. Qui sviluppò il suo talento nel catturare l’attenzione dei consumatori e le caratteristiche che tutt’ora lo rendono famoso. Provare i prodotti di bellezza direttamente su sé stesso e la sua frase inglese preferita che è presto divenuta un tormentone: «Oh my god!». Non si risparmiava su nulla. Una volta è riuscito a provare 380 differenti rossetti sulle sue labbra in sei ore di streaming.

Non stupisce che in brevissimo tempo si era costruito una corte di fan che lo adoravano, e che il suo volto era diventato tra i più riconoscibili in uno dei settori a crescita più rapida nel primo decennio del Duemila. Già nel 2019 il mercato della pubblicità live streaming in Cina ha raggiunto l’incredibile cifra dei 67 miliardi di dollari e con la pandemia da Covid-19 e il conseguente uso spasmodico degli smartphone per passare il tempo, non ha fatto altro che aumentare. Lo scorso febbraio Li era diventato una star così famosa da essere invitato al Gran Galà di Capodanno della CCTV, il programma che ogni anno fa il record di ascolti e che quest’anno ha superato il miliardo di spettatori.

Ma con la notorietà in Cina arriva anche l’aspettativa del governo: bisogna essere in linea con le direttive del Partito e fungere da esempio. Ecco che Li si è ritrovato a promuovere le produzioni agricole delle aree rurali per raccogliere fondi per la campagna governativa contro la povertà o i prodotti tipici di Wuhan per risollevare l’economia della città devastata dall’epidemia[3]. E quest’anno si è distinto per gli sforzi nel promuovere il made in China. Ad aprile è stato invitato al Forum di Boao, la cosiddetta Davos asiatica, per parlare dell’ascesa dei marchi cinesi e nei suoi livestreaming ha promosso oltre 400 prodotti di cosmesi made in China, facendo la fortuna di numerose aziende domestiche.

Se fino a pochi anni fa i cinesi erano disposti a spendere molto di più per i prodotti stranieri che ritenevano più controllati e affidabili, da metà del 2019 il consumo dei cosmetici cinesi è in constante crescita e addirittura rappresentano circa il 40 per cento di quelli acquistati dalla generazione Z. E non è solo l’oriental beauty. Come dimostra il recente caso della pubblicità della Mercedes-Benz[4], anche i marchi più noti dovranno far ricorso agli influencer cinesi per continuare ad approfittare di un mercato che, per quanto grande e in espansione, si chiude sempre più sé stesso e sui canoni del «national chic».

 

iStock-1011141042