China Watching

24/02/2020 Emanuele C. Francia

Il modello di internazionalizzazione cinese. Il caso ChemChina-Pirelli

Nonostante un rallentamento degli investimenti diretti negli ultimi due anni, le attività cinesi di espansione internazionale continueranno a ritmo spedito sia per l’attivismo dei grandi gruppi cinesi (spesso statali), sia per l’effetto del piano super ambizioso rinominato BRI-Belt and Road Initiative

Nonostante un rallentamento degli investimenti diretti negli ultimi due anni, le attività cinesi di espansione internazionale continueranno a ritmo spedito[1] sia per l’attivismo dei grandi gruppi cinesi (spesso statali), sia per l’effetto del piano super ambizioso rinominato BRI-Belt and Road Initiative (o «Nuova via della seta»).

Questa avanzata viene spesso percepita dalle imprese straniere e dai loro manager come un vero e proprio attacco al proprio sistema economico. A tal proposito, è giusto chiedersi se questo rappresenti solo una minaccia o esistano anche delle opportunità.

Il sistema economico cinese è profondamente influenzato dalla struttura politica, dalla particolare storia del Paese e dal proprio set di valori. Nell’ottobre 2019, ed è un uniquum nel mondo, il cosiddetto «socialismo di mercato» è stato riconfermato come modello di sviluppo dal Quarto Plenum del XIX Congresso del Partito comunista[2]. Tra i dilemmi che il legislatore e i decision maker cinesi devono costantemente affrontare vi sono le scelte (non facili) e i trade-off tra economia pianificata vs economia di mercato, centralizzazione vs decentralizzazione, autonomia contrattuale delle parti vs controllo statale, importazione di regole e leggi vs produzione autonoma ad hoc[3].

L’economia pianificata ha sempre rivestito un ruolo decisivo nello sviluppo del Paese. Anche nei periodi di apertura verso un «capitalismo cinese»[4], la centralità del controllo da parte delle autorità centrali sull’autonomia di sviluppo dell’economia e della società è sempre stata riaffermata come la più coerente con i valori nazionali. Non stupisce dunque che buona parte dell’economia cinese sia da sempre trainata dalle grandi imprese statali che hanno contribuito in maniera determinante alla straordinaria crescita degli ultimi trent’anni del PIL e della società. Queste rappresentano altresì i campioni dell’internazionalizzazione, poiché sia per dimensioni sia per capacità sono quelle che meglio riflettono il braccio operativo della politica nazionale cinese definita «Go- Global policy». Comprendere quindi come tali imprese si comportano è fondamentale per determinarne i rischi ma anche le opportunità per il nostro Paese.

Innanzitutto occorre sottolineare il processo di modernizzazione pro-market in atto, volto a rendere le imprese statali (State-Owned Enterprises-SOE) più efficienti ed efficaci. Se da un lato si osserva una tensione positiva a incorporare best practices internazionali nel business model dei grandi gruppi pubblici competitivi a livello globale. dall’altro occorre non trascurare, come spesso invece accade, il coinvolgimento del Partito nella direzione delle imprese. Un caso emblematico è quello di ChemChina, importantissima impresa statale cinese creata sotto l’egida del Ministero della chimica, tra le prime 250 di Global Fortune 500 con più di 160mila dipendenti, di cui la metà impiegati all’estero. Esempio tra i più limpidi della già citata «Go-Global policy», negli ultimi anni ha consolidato diverse M&As in Europa e nel mondo[5].

L’operazione su Pirelli, iniziata nel 2012, ha rappresentato una delle più rilevanti in Europa e la più grande in Italia. Nonostante le perplessità e le proteste iniziali, sembra essere a oggi un buon esempio di cooperazione sinergica tra realtà complementari e forse si potrebbe azzardare a definire l’intero gruppo come «un’impresa neo-transnazionale»[6].

Tra gli obbiettivi raggiunti, sembrano esserci l’incremento dell’efficienza e dell’efficacia e una completa valorizzazione delle capacità e unicità dell’impresa Pirelli. Allo stesso tempo, le tutele a difesa dell’italianità dell’impresa e dei suoi asset sembrano a oggi essersi rivelate efficaci, così come l’attenzione rivolta ai portatori di interesse, soprattutto locali.

Com’è stato possibile tutto questo?

1)      In primis grazie a una potente tutela legale. Nello statuto di Pirelli post-acquisizione, all’articolo 3.1 si legge che la sede della società non può essere spostata da Milano[7]. Stesso discorso per la componente tecnologica che, come dichiarato più volte da Marco Tronchetti Provera, resterà italiana.

2)      Come noto, quando ChemChina ha acquisito la maggioranza di Pirelli questa è stata prima delistata, salvo poi essere riquotata in Borsa. Questo processo, e la conseguente diluizione della partecipazione di ChemChina sotto la maggioranza (intorno al 40%), ha garantito che l’azienda, seppur controllata dal gruppo cinese, raggiungesse standard competitivi tali da non essere penalizzata dalla Borsa, unitamente a una certa indipendenza operativa.

3)      La conseguente struttura di corporate governance rispecchia gli standard internazionali e best practices a cui da sempre Pirelli si è ispirata  (articolo 3.3)

4)      La catena di comando è garantita dal ruolo di Marco Tronchetti Provera, CEO e vicepresidente in carica per tutto il 2020, e della prima linea di management prevalentemente italiana.

5)      Dal punto di vista industriale, lo scorporo di Pirelli, e la creazione della divisione preumatici premium, garantisce che l’impresa rappresenterà sempre un’eccellenza all’interno del gruppo ChemChina. Tale ruolo accresce di importanza a seguito della scelta strategica di rendere Pirelli una sorta di capo divisione del settore pneumatici e gomma, con responsabilità per tutti i mercati (incluso il sempre più attrattivo mercato cinese) e per l’intero gruppo. È diventata infatti.

Tutto ciò sembra far ben sperare sulle sorti di un’importante impresa italiana che fonda le sue radici su una speciale attenzione verso i dipendenti e ha nel suo DNA una concezione estesa di welfare nei confronti dell’ambiente in cui opera[8].

Il corso della storia ha portato un gruppo cinese a essere il responsabile del successo degli pneumatici italiani premium nel mondo e ciò sta avvenendo a passi rapidi e con positivi riscontri.

Ma cosa succederà l’anno prossimo quando il mandato di Tronchetti Provera scadrà e il suo successore dovrà (da lui) essere nominato? Più in generale, è possibile che l’attuale modello vincente venga messo in discussione se gli interessi delle diverse parti coinvolte cesseranno di coincidere? Se per esempio gli interessi nazionali cinesi cambiassero o la filosofia collaborativa del piano cinese «Go-Global policy» si modificasse. O se il gruppo ChemChina venisse fuso, come si dice da tempo, con l’altro colosso statale Sinochem creando il più grande gruppo chimico al mondo, con una nuova direzione e nuovi obiettivi?[9].

In caso affermativo, si dovranno riconsiderare i modelli di internazionalizzazione dei business cinesi. Al contrario, se le cose evolveranno in modo lineare si potrà forse affermare che il gruppo internazionale ChemChina, inclusa Pirelli, rappresenta un modello di impresa neo-transnazionale di successo ed essere preso come esempio da altre nostre aziende per costruire collaborazioni vincenti con partner cinesi.



[3] F. Liufang, China’s Corporatization experiment, Duke Journal of Comparative and International Law, 1995.

[4] Per esempio, nei periodi della cosiddetta «golden age» dal 1916-1927 (così definito da Marie-Claire Bergère), e della «corporatization» (ma non privatizzazione) sviluppate nel diritto societario del 1993.

[5] L’ elenco delle acquisizioni di ChemChina va dalla francese Adiseeo Group (per 400 milioni di euro nel 2006) a Qenos in Australia, passando per Elken in Norvegia, KraussMaffei in Germania, Agan, fino a Pirelli e all’ultimo grande acquisto di Syngenta (45 miliardi di euro), operazione la cui integrazione è ancora in corso.

[6] Con riferimento all’idea di Bartlett e Ghoshal sull’impresa transnazionale e le differenze tra impresa multinazionale, globale e internazionale. A. Bartlett, S. Ghoshal, Management globale, Etas, 2001.

[7] Tecnicamente si potrebbe, ma ciò richiede il voto degli azionisti e una super maggioranza (90 per cento) quasi impossibile da ottenere.

[8] Quando fu fondata da Giovanni B. Pirelli nel lontano 1883 era una società a responsabilità illimitata dove il fondatore si assumeva l’onere di rispondere personalmente di qualsiasi accadimento a svantaggio degli staekeholder. C. Bellavite Pellegrini, Pirelli: Technology and Passion 1872-2017, Profile Books, 2017.

[9] Pirelli potrebbe non rappresentare più il centro di interessi di cui è stata protagonista oggi. Rumors sostengono infatti che in caso di fusione l’attuale presidente di ChemChina e Pirelli, Ren Jianxin, che è stato grando promotore dell’integrazione con Pirelli e che ne ha fattto il perno centrale del business internazionale del gruppo, si ritirerebbe e la nuova conglomerata verrebbe guidata dall’attuale presidente di Sinochem, Ning Gaoning, che potrebbe avere priorità diverse.

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