E&M

2016/3

Gianmario Verona

Sharing economy. Sfida a tutto campo

Proponiamo ai nostri lettori l'Editoriale pubblicato sul n. 3/2016 di Economia & Management a firma del prof. Gianmario Verona, nuovo rettore dell'Università Bocconi, in carica dal 1° novembre 2016

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Alla domanda «Chi è il retailer digitale più grande del mondo?», credo che in molti risponderebbero Amazon. La risposta è errata: nel 2015 è risultato Alibaba. Con un fatturato di 380 miliardi di dollari americani, l’azienda cinese fondata da Jack Ma, il neo milionario ed ex professore di inglese, ha conquistato il primato nel settore globale del retail e pochi mesi fa ha fatto il suo ingresso anche in Italia. Similmente, nel campo del turismo Airbnb sta cavalcando con cifre impressionanti un processo di crescita singolare. Potremmo continuare il test e scoprire che in altri settori i leader o i challenger di nuovi mercati non solo sono newco, ma sono aziende impostate su idee e business model rivoluzionari.

Nel mondo della consulenza e della strategia aziendale viene subito da pensare al principale mantra degli ultimi dieci anni: le strategie oceano blu[1]. Sembrerebbe cioè di trovarsi di fronte all’ennesimo esempio di strategie inusuali, sviluppate da aziende che pensano a salpare verso oceani aperti alla conquista di terre inesplorate, anziché combattere nei mari rossi delle guerre di quota di mercato. In questa circostanza, tuttavia, si va ben oltre. Alibaba e Airbnb rappresentano business model impensabili sino a qualche anno fa. Impensabili, in quanto sono aziende anomale, sviluppano una tipologia di lavoro differente da quello a cui siamo abituati e sono in grado di stimolare la domanda in modo anche più efficace di quanto sappiano fare concorrenti tradizionali.

Il tema della sharing economy è emergente e non esiste ancora una definizione condivisa in letteratura. Vi sono decine di TED talk e migliaia di blog che la discutono, la osannano o la criticano. Fino a che non avremo dati a sufficienza per poterla comprendere, valutare e giudicare, è importante essere consapevoli che dovremo purtroppo fermarci a considerazioni soggettive, che tuttavia possiamo cercare di sistematizzare.

Anzitutto: che cos’è la sharing economy? Per definirla mi piace impiegare una citazione, che meglio di altre esprime di cosa stiamo parlando:

«Molte imprese ci stanno costringendo a comportamenti che sarebbero sembrati inimmaginabili sino a cinque anni fa. Saliamo su macchine di sconosciuti (Lyft, Sidecar, Uber), li accogliamo nelle nostre stanze (Airbnb), lasciamo i nostri cani a casa loro (DogVacay, Rover), e andiamo a pranzare nei loro salotti (Feastly). Li lasciamo noleggiare le nostre macchine (RelayRides, Getaround), barche (Boatbound), ville (HomeAway), e i nostri utensili (Zilok). Ci fidiamo che perfetti sconosciuti usino le nostre più intime proprietà, sfruttino la nostra esperienza e sottraggano tempo alla nostra vita personale e professionale»[2].

Questi esempi ci immergono nella profonda anomalia della sharing economy, che intende le aziende come semplici piattaforme peer-to-peer in grado di collegare domanda e offerta in modo differente. Di solito, infatti, intendiamo l’offerta da un punto di vista tecnico-professionale e industriale. Ma in questa circostanza, l’offerta è definita in modo lasco da qualsiasi persona in grado di fornire quel tipo di servizio/prodotto. Sotto naturalmente la certificazione dell’azienda «sharing», che di questo elemento e dei connessi incentivi può fare un elemento distintivo, in aggiunta all’attivazione e gestione della piattaforma.

Gli esempi di cui sopra ci illustrano anche che la sharing economy non sembra avere confini. Doug Oberhelman, CEO di Caterpillar, ha affermato che «dobbiamo muoverci noi prima che qualcuno Uber-izzi il nostro settore»[3]. E ha attivato, con un progetto di corporate entrepreneurship, una piattaforma peer-to-peer per la condivisione di strumenti legati alle macchine movimento terra. Sorprendente? Non troppo. Grazie alla digitalizzazione distribuita, l’epoca che stiamo vivendo sta rendendo disponibili dati puntuali che, in virtù dell’evoluzione degli analytics, saranno sempre più in grado di fornire informazioni di dettaglio su «chi-ha-bisogno-di-cosa-dove-e-quando» e che permetteranno questo tipo di scelte.

I business model della sharing economy sfidano i business model tradizionali dal punto di vista industriale, finanziario e commerciale. Per quanto concerne l’aspetto industriale, i processi di produzione e i relativi asset non sono detenuti dall’azienda. Il concept di Uber non implica che quella stessa azienda possegga automobili. Esattamente come Alibaba non possiede direttamente vetrine, nonostante stia diventando un retailer di dimensioni analoghe a Walmart.

Ciò ha importanti ripercussioni dal punto di vista finanziario: l’investimento e il valore di queste aziende è più duttile, legato al capitale umano e alla domanda. Uber vanta oggi un livello di capitalizzazione pari a quasi 70 miliardi di dollari a fronte di 4000 dipendenti impiegati.

Da ultimo, le aziende della sharing economy sono per definizione customer-friendly: grazie alla piattaforma digitale sono in grado di attivare in modo virale le economie di rete e conseguentemente riescono a scalare la massa critica in vari settori. Avendo nel loro DNA la cultura del servizio al cliente e avendo nelle routine aziendali gli analytics che permettono di conoscere come meglio servirlo, risultano competitive anche con riferimento alla dimensione commerciale.

Quale lezione possono quindi trarre gli osservatori, e in particolare le imprese «non sharing» digitali e industriali, che si trovano improvvisamente a competere con questi operatori? Le reazioni a oggi sono quelle dell’attesa, del contrattacco legale e della ponderazione di un ingresso in questa nuova realtà.

In molti sembrano rimanere a osservare o al più contrattaccare, ostacolando l’operato di questi nuovi soggetti con iniziative legali che richiamano il rispetto delle regole. Seppur sia decisamente auspicabile una regolamentazione internazionale sotto il profilo fiscale e giuslavoristico di questi operatori anomali, è bene non farsi facili illusioni. La storia di internet ci insegna come la formazione delle nuove regole raramente evolva a favore degli operatori tradizionali – si pensi per tutti al caso degli over-the-top rispetto agli operatori delle telecomunicazioni e dell’editoria.

Altri attori, tra cui il già citato Caterpillar, si muovono più proattivamente con l’attivazione di business model analoghi. Seppur non riteniamo affatto necessario si debba andare in questa direzione, è tuttavia fondamentale porsi la domanda di quanto la propria competitività sia messa in discussione dai nuovi competitor (per esempio, se opero nel campo dell’hotellerie: in cosa perdo rispetto ad Airbnb? Lavoro nell’ambito dei trasporti urbani: dove Uber mi mette seriamente in difficoltà?). E certamente la risposta non potrà non considerare un investimento nel digitale e nei big data per conoscere meglio il proprio mercato e i servizi a esso rivolti. Questo indipendentemente dalla formulazione di un business model «sharing», la cui convivenza con il proprio business model rappresenterebbe comunque un progetto di non semplice gestione.

La sharing economy è la punta dell’iceberg della digital transformation, la rivoluzione che ormai vent’anni fa ha cominciato a trasformare più o meno lentamente ogni settore dell’economia globale. Nel futuro non roseo che ci tratteggiano i macroeconomisti, in cui nei paesi sviluppati il lavoro sarà sempre più una risorsa scarsa e l’imprenditorialità sempre più al centro delle politiche industriali, ci sembra di poter dire che è almeno buona notizia sapere che per tutti i cittadini e clienti con qualche forma di competenza esiste comunque una via di fuga professionale, in qualità di «dipendenti» della sharing economy.

1

W.C. Kim, R. Mauborgne, Blue Ocean Strategy: How to Create Uncontested Market Space and Make the Competition Irrelevant, Boston (MA), Harvard Business School Press, 2014.

2

J. Tanz, «How Airbnb and Lyft Finally Got Americans to Trust Each Other», Wired, 23.4.2014, http://www.wired.com/2014/04/trust-in-the-share-economy/.

3

D. Oberhelman, «Caterpillar and the Internet of Big Things», www.caterpillar.com, 15.10.2015.