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2004/6

Ai giochi olimpici di Atene il Paraguay ha perso la finale di calcio contro l’Argentina mentre l’Italia batteva l’Iraq e si classificava al terzo posto. Tiriamo le somme. Nel calcio, l’Italia non raccoglieva medaglie olimpiche dal 1936, a Berlino. L’Argentina non vinceva una medaglia d’oro dal 1952: l’aveva conquistata nel canottaggio. Il Paraguay ha ottenuto la prima medaglia olimpica della sua storia, ed è argento. L’Iraq ha fallito la sua seconda medaglia olimpica e resta fermo a quella di bronzo, ottenuta nel 1960 a Roma, nel sollevamento pesi.

Ogni paese, alla fine delle Olimpiadi, tira le somme di quattro anni di lavoro e si interroga, soddisfatto, perplesso o deluso. Il medagliere olimpico è la verifica della sua capacità di sviluppare una valida politica sportiva. Proprio per questo il punto di riferimento di questo grande evento quadriennale restano i singoli paesi: e da sempre i giochi iniziano con la commovente sfilata delle bandiere di tutte le nazioni partecipanti. Nell’ultima edizione erano 224, e solo 123 nella loro storia hanno vinto almeno una medaglia. Nel mondo dello sport uno Stato vale l’altro: logica che l’ONU neppure si sogna. Il Comitato Olimpico Internazionale ha sede a Losanna e si avvale soltanto di 350 persone. Tutta la struttura vive con l’otto per cento dei ricavi olimpici. Un dipendente su sette è impegnato in attività che gestiscono fondi destinati a iniziative umanitarie. Quasi nessuno lo sa.

Le statistiche abbondano. Interessante è quella che evidenzia il rapporto tra le medaglie che un paese ha conseguito e la sua popolazione.

Al primo posto viene l’Australia, con una medaglia ogni 394090 abitanti. Non è una sorpresa, se si pensa che le scuole australiane prevedono almeno due ore di attività sportiva al giorno. In questa interessante classifica, al secondo posto viene Cuba. L’Italia è quindicesima. La tanto decantata Cina è solo trentunesima.

Non mancano le ombre. L’Olimpiade è il regno dei campioni e tutto il suo paese fa festa quando uno vince. Ma alle vittorie dei singoli si abbinano campagne pubblicitarie così consistenti che si parla addirittura di medaglie degli sponsor. Questa volta tra i delusi va annoverato Adidas, che aveva tappezzato Atene di manifesti con il volto della velocista greca Ekaterini Thanou: ha dovuto coprirli tutti in quarantott’ore, dopo che l’atleta è stata ritirata dai giochi per un forte sospetto di doping. Le nazioni sono sovrastate dalle multinazionali.

Qualcuno ha calcolato che l’Europa dei venticinque ha vinto più medaglie di altri, precedendo Stati Uniti, Cina, Russia, Australia. Non capisco perché scomodare i venticinque: anche la vecchia “Europa dei sei” sarebbe ampiamente in testa, da sempre e senza contare le medaglie della Germania Est, piuttosto sospette. Romano Prodi ha proposto che alle Olimpiadi di Pechino i venticinque paesi dell’Europa si presentino con la bandiera dell’Unione Europea, insieme a quella della loro nazione. A Londra un atleta ha commentato: “Noialtri inglesi, gallesi, scozzesi e nordirlandesi facciamo già fatica a marciare insieme sotto la bandiera britannica. Non chiedeteci di più”. Trovo strano che l’Unione Europea, incapace di inserire nella sua Costituzione un richiamo alle sue grandi radici – il cristianesimo e la laicità – voglia mettere le mani sullo sport, storia millenaria che non le appartiene. Sinceramente, dall’Europa ci aspettiamo molto più di una bandiera alle Olimpiadi.

Gli italiani sono bravi senza saperlo. È il loro destino. Nella statistica di tutti i tempi, se si considerano solo le medaglie d’oro, dopo Stati Uniti e Russia, veniamo noi. Siamo terzi.