E&M
2003/5
Indice
La tribuna dei lettori
Focus intervista
La responsabilità sociale delle imprese. Intervista a Roberto Maroni, Ministro del Welfare
Area Strategia
Le tecnologie di rete nei distretti industriali: un potenziale da sfruttare
Il futuro dei distretti tra scelte d’impresa e azioni di metamanagement
Imprese distrettuali e strategie di crescita: verso un maggiore controllo delle attività
Area Pubblica Amministrazione
Federalismo, controllo e governance
Le riforme di accounting nel settore pubblico: “a call for further qualitative research!”
Sistemi informativi e principi contabili per gli enti locali: linee evolutive e criticità
Fuoricampo
Articoli
La distribuzione nel sistema moda italiano: verso nuovi modelli di business
Nuova sfida nel commercio al dettaglio: sono fedeli i consumatori… alle carte fedeltà?
Uguali o diversi? Per un utilizzo consapevole del diversity management
Creazione di valore e valutazione delle performance: l’applicazione dell’EVA™ alle banche
Fotogrammi
Un’altra storia
Scarica articolo in PDFChe cosa poteva inventare un dirigente pensionato, vissuto tutta una vita all’ombra di mamma FIAT, per ricevere i complimenti dell’allora Avvocato? Semplice: scrivere un libro sulla storia juventina.
Presentando l’opera, la Gazzetta dello Sport titolava con questa battuta dell’autore: “Caro Milan, la Juve è un’altra storia”. Strano che non si sia rivolto al Real Madrid. Ma anche il Milan gli ha risposto per le rime. L’intervista fu pubblicata il 27 maggio 2003. Proprio il giorno dopo, a Manchester, un rigore del milanista Shevchenko regalerà alla Juve un lampo di amarezza che resterà eterno.
È facile intuire che il nostro pensionato, amante dei confronti, sia stato indottrinato all’epoca del benchmarking: non serve essere i più bravi in assoluto, basta essere migliori del secondo classificato. Detto per inciso, mio padre, al benchmarking non ci credeva proprio. Quando, in terza media, dovetti confessargli la prima insufficienza della mia vita, cercai di giustificarmi: “Papà, è vero che ho preso cinque in matematica, ma tutti i miei compagni navigano sotto il quattro”. Ed era vero. Ma lui, serio: “Gli altri a me non interessano. Io guardo solo te. E questo cinque mi delude”. Mi insegnò, lui semplice operaio, a rifiutare i paragoni. Mi svelò il pregio dell’unicità, che vale sempre, anche nello sport. Il tifoso è fedele a vita, nella prospera e nella avversa fortuna, lusso che oramai neppure il matrimonio può permettersi.
Lo sport è racconto. I tifosi amano rivivere le gesta della loro squadra: le sofferenze danno sapore alle vittorie, i successi di un tempo attutiscono i dolori del presente. Da buon atalantino, ricordo il 2 giugno 1963. Battendo il Torino per 3 a 1, vincemmo la prima e unica Coppa Italia della nostra storia. Il giorno dopo moriva Giovanni XXIII. Vista la coincidenza, in tanti siamo convinti che l’unico cimelio sportivo della nostra bacheca sia stato il primo miracolo del papa bergamasco. Ora, che ha raggiunto l’onore degli altari, papa Roncalli compete con padre Pio per la conquista del mercato del sud. Per questo, esattamente a quarant’anni di distanza, proprio il 2 giugno 2003, il miracolo è avvenuto a favore della Reggina, che ha vinto contro l’Atalanta lo spareggio per restare in serie A. Queste confidenze i bergamaschi se le raccontano tra di loro, in dialetto. Sono la nostra storia.
Del recente successo milanista ricorderò soprattutto il pellegrinaggio in Ucraina di Andriy Shevchenko, quando depone la recente Coppa dei Campioni a fianco della statua di Valery Lobanovski, grande allenatore della Dinamo Kiev, sua guida umana e sportiva. La sagoma d’acciaio del maestro, scomparso lo scorso anno, è incombente, con occhi spenti che guardano oltre la vita. Accanto a lui, il giocatore del Milan sembra un bambino tenero, orgoglioso ma spaurito, con due occhi increduli. In questa fotografia la sfida agonistica cede il passo all’omaggio di un campione al suo grande maestro scomparso. Nello sport, sono i valori che contano.
Il paragone, invece, è talvolta amaro. Fu proprio l’ossessivo confronto con Milan e Inter a tradire la Juventus in quel lontano 29 maggio 1985, all’Eysel, il drammatico stadio di Bruxelles. La Coppa dei Campioni, che i bianconeri non avevano mai vinto, vista la gravità della tragedia fu consegnata negli spogliatoi. Ma Platini e soci la portarono in trionfo su un campo circondato da trentanove morti e da decine di feriti. Caro pensionato bianconero, questa pagina, alla Juventus, nessuno gliela invidia. Che bello sarebbe anche per lei, quando la apre, se potesse raccontare un’altra storia.