E&M

2003/2

Sembrava fatta. Il 20 maggio 1973 doveva regalarmi due magie in una sola giornata: la permanenza in Serie A dell’Atalanta e la stella del Milan. Per vivere in diretta le due emozioni mi appollaiai in curva, allo stadio di Bergamo, con una radiolina. Minuto per minuto maturò una doppia catastrofe: il Milan rinviò di sei anni la conquista della famosa stella e l’Atalanta incassò la rete della sconfitta a due minuti dalla fine. Vinse il Vicenza che si salvò al nostro posto e andò in pellegrinaggio alla madonna vicentina di Monte Berico, con buona pace della Madonna bergamasca, quella di Caravaggio, che soffre di sudditanza psicologica nei confronti delle colleghe più rinomate.

Quando sogno il gol del Vicenza significa che ho la febbre. Ma guarisco presto, confortato dal Re Lear di Shakespeare: “E quando pensi che questo sia il peggio, ricordati che il peggio non è ancora venuto”.

E il peggio venne davvero. Per ben due volte. Il Milan ha conosciuto nella sua storia una doppia retrocessione in Serie B. La seconda la conseguimmo per demeriti sportivi: ci strapazzarono alla grande sul campo. Ma nel primo caso la disonestà si colorò di ridicolo. Un oste e un fruttivendolo, scommettitori a tempo pieno, addomesticarono parecchie partite, tra cui Milan-Lazio. Ma mentre le altre squadre si spartivano sotto banco le mazzette della bisca clandestina, il Milan pagava venti milioni per vincere. I soggiorni in serie B non allentarono la passione dei tifosi: per vedere la Sanbenedettese, San Siro richiamava sessantamila persone. Nella mia collezione di cravatte sportive la più cara me la regalò Silvano Ramaccioni, proprio quando il Milan militava in serie B. è un’epoca che ricordo persino con nostalgia perché è meraviglioso risalire dal baratro, irrobustiti da perenni anticorpi. Un imprenditore milanista mai assumerebbe un laureato con un libretto pieno di lodi. Preferisce qualcuno che, sin da giovane, si sia fatto le ossa superando i suoi momenti critici.

Le tante sventure hanno regalato ai milanisti un altro pregio: riconoscere la buona sorte quando li assiste. L’ultimo scudetto, quello di Zaccheroni, fu incredibile: vincemmo le ultime sette partite grazie anche ad una rocambolesca autorete contro la Sampdoria all’ultimo minuto. Dissi a mio figlio Paolo: “In due mesi abbiamo esaurito la buona sorte di cinque anni”. Solo chi ha sofferto non crede alla sue labbra quando la fortuna lo bacia. E ci fa pena il povero Lippi quando afferma che l’ultimo scudetto della Juventus va attribuito alla sua bravura. è stato un sontuoso regalo, prima della Roma e poi dell’Inter.

A proposito di Inter. A scuola, i bambini interisti si rifiuteranno di studiare a memoria il Cinque Maggio di Manzoni. E la parafrasi di quelli milanisti spiegherà che Napoleone non è morto in esilio a Sant’Elena, ma fu sconfitto sul campo: all’Olimpico di Roma, per 4 a 2, il 5 maggio 2002. A gestire la contesa vedrei bene in cattedra don Walter, il cappellano della Bocconi, laureato in filosofia: rispetta lo splendore della verità, ma accetta di fare i conti con la molteplicità della vita. Laura, la giovanissima laureata in matematica che presta servizio in rettoria, per lui è una religiosa. Ma ammette che, per me, possa essere una bellissima ragazza che non si sposa. Non lo sa che è stato lo sport a insegnarmi questa ambigua bivalenza del vivere, talvolta drammatica. Il pittore norvegese Edvard Munch, vissuto ai confini della pazzia, era un tifoso potenziale del Milan quando scriveva: “Senza malattia né angoscia, la mia vita sarebbe stata come una nave senza timone”.