E&M

2013/2

Gianni Canova Severino Salvemini

La migliore offerta. Reputazione e falsificazione

Attraverso la sorprendente vicenda di un battitore d’aste che cade in una trappola analoga a quella in cui lui faceva cadere i suoi clienti, il nuovo film di Giuseppe Tornatore costruisce un appassionante congegno narrativo che si interroga sul valore della reputazione e sui modi attraverso cui distinguere verità e falsificazione.

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La migliore offerta

Regia: Giuseppe Tornatore

Interpreti: Geoffrey Rush, Sylvia Hoeks, Donald Sutherland

Italia, 2013

Qual è esattamente la professione del protagonista di La migliore offerta, l’ultimo bellissimo film di Giuseppe Tornatore? Antiquario? Collezionista? Battitore d’aste? Critico d’arte? Forse, un po’ tutte queste cose insieme. Colto, solitario, sempre molto formale, tendenzialmente misantropo e misogino, Virgil Oldman (nomen omen, un nome un destino…) ha costruito un filtro fra e il mondo. Non lo tocca neppure, il mondo: per paura di sporcarsi (infettarsi…?) indossa sempre un paio di guanti. Ne ha un armadio pieno, di guanti: sono la guaina che protegge le sue mani (e la sua persona) dal temuto contatto con la realtà. Virgil (interpretato da uno straordinario Geoffrey Rush) ha sostituito la real con le opere d’arte. Ne ha accumulate tantissime, nel corso della sua vita. E ora le conserva nella sua abitazione, algida ed elegante come la sua vita. Le più belle sono appese alle pareti di una sorta di “cappella votiva” in cui entra lui solo: decine e decine di ritratti di donna, realizzati dai maestri della pittura, da Raffaello a Tiziano, da Goya fino a Modigliani. Quando vuole rilassarsi, Virgil entra nel suo tempietto e osserva i volti di donna che lo guardano dalle tele dei quadri. Lui conosce il valore di quei volti: il valore economico, non solo quello simbolico o estetico. Il suo mondo, non a caso, lo ritiene il massimo esperto nell’attribuzione del valore: la sua reputazione è funzionale alla sua efficacia di costruttore di reputazione per le opere che finiscono tra le sue mani. E lui sembra non avere altro scopo che prendersi cura delle opere d’arte. Ma nella sua vita assolutamente preordinata, dove non c’è spazio per l’imprevisto o il casuale, a un certo punto si insinua una novi inattesa: una giovane donna misteriosa, che dice di essere affetta da agorafobia e pertanto vive segregata nella stanza di un’antica villa, gli conferisce l’incarico professionale di valutare mobili e quadri ricevuti in eredità dai genitori con l’intento di metterli tutti all’asta. Questa presenza misteriosa e invisibile (per tutta la prima parte del film la ragazza non si mostra e non appare mai) induce l’uomo ad abbassare la guardia e ad entrare in contatto con la realtà. Con tutti i rischi che questo comporta. La sua figura può essere vista come la raffigurazione metaforica di un manager di successo, talmente compreso nel suo ruolo da non rendersi conto di come sta cambiando la realtà che lo circonda? Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.

G.C. Virgil ha un capitale straordinario: la reputazione. È ritenuto da tutti uno dei più grandi esperti d’arte del mondo. Gallerie e case d’asta non badano al prezzo pur di averlo e di avvalersi della sua consulenza. Quel che lui dice, immediatamente diventa canone, ogni sua parola genera valore. In crescita o in decrescita. Tra le sue specialità professionali, una delle più apprezzate è quella di “certificatore di autenticità”: nessuno meglio di lui sa stabilire con certezza se un’opera è autentica o se si tratta di un falso. Proprio per questo, Virgil ritiene che nessuno possa neanche lontanamente sospettare che il vero produttore di “falso”, di fatto, sia lui.

S.S. Certo: colui che dovrebbe essere il garante dell’autenticità di un’opera d’arte e il certificatore del prezzo di mercato è invece un manigoldo che, impossessandosi a basso costo di tele dal valore inestimabile, costruisce un meccanismo d’asta per accaparrarsele personalmente. I collezionisti facoltosi nemmeno si immaginano quanto l’integerrimo e distaccato Virgil sia disonesto: grazie a expertise fasulle e alla complicità di un vecchio amico, infatti, acquista a prezzi ridicoli i bellissimi ritratti che conserva gelosamente nel suo caveau. “È un falso!”, sentenzia di fronte a una tavola originale di Petrus Christus di cui desidera appropriarsi. L’inganno attraversa l’intera pellicola e alla fine Virgil viene servito con la stessa moneta con cui serviva gli altri. Da truffatore si ritrova truffato!

G.C. Come certi grandi manager, è talmente bravo nel suo campo, e domina così a fondo la materia di cui si occupa, da non poter neppure immaginare che qualcun altro possa giocare il suo stesso gioco, per di più provando a batterlo. Sbaglia per solipsismo, per narcisismo, per eccesso di sicurezza, perché abituato a pensare in assenza di concorrenza. P che dalla vita, o dall’apparizione della ragazza misteriosa, è ottenebrato da sé, dalla sua fama, dal suo stesso successo. Dalla presunzione dell’inscalfibilità della propria reputazione.

S.S. Secondo me non è solo questo. Se vogliamo proseguire nella similitudine con un manager, direi che Virgil è un uomo che lavora solo con due sensi: il tatto e la vista. Le mani sono sempre guantate, salvo quando deve esaminare un’opera. E in quel caso l’occhio si avvicina al capolavoro per individuarne i dettagli. Ha costruito su tatto e vista la sua esistenza professionale, ma la storia beffarda annulla questi due sensi e lo obbliga ad affidarsi solo all’udito (davanti alla porta decorata con il trompe l’oeil) e allora diviene essenziale recuperare l’intuito e le proprie emozioni. Peccato che il protagonista non sia mai stato obbligato a confrontarsi con la passione: ed è allora che perde la testa, diventando goffo e impreciso. È l’irruzione del passionale che sgretola e scardina il suo universo totalmente razionale.

G.C. Vero. Ma c’è anche un altro fattore: il tempo. Non a caso il film finisce in un locale di Praga “arredato” solo con orologi, mentre era iniziato con il protagonista che al ristorante assisteva impassibile al consumarsi della candela sulla sua torta di compleanno. Gli avevano portato la torta il giorno sbagliato, e lui non aveva detto nulla fino al consumarsi della candela. Da bravo battitore d’asta, Virgil sa che il tempismo è fondamentale: un rilancio fatto troppo presto o troppo tardi rischia di compromettere l’esito di una gara. Eppure alla fine lui sbaglia proprio il tempo. Non lo governa più. Non applica a e alla sua vita le regole che applicava tanto bene nell’esercizio della sua professione.

S.S. Se è per questo, non applica a neanche il suo precetto base: “In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di autentico”. Imbattibile quando si tratta di far passare per falso il vero, non si accorge che qualcuno sta facendogli credere vero ciò che è falso. Giocando col vero e col falso, l’autentico e il riprodotto, il naturale e l’artefatto, il sentito e il simulato, La migliore offerta finisce per essere una grande lezione sull’impotenza cognitiva di fronte alla necessità di distinguere tra verità e contraffazione.