E&M

2009/5

Vi regalo il ciclo di vita delle domande di rito. Due ventenni: “In che cosa ti stai laureando?”. Due trentenni: “Hai fatto il Master?”. Due quarantenni: “Che liceo hai frequentato?”. Due cinquantenni: “Da bambino in che tipo di scuola ti hanno iscritto?”. Due sessantenni: “Chi è stata la tua maestra di prima elementare?”. Domanda saggia, perché a sei anni si impara a leggere, a scrivere, a fare le somme e le sottrazioni. Nozioni che bastano per redigere un bilancio. Ridotte all’osso, sono poche le mosse che contano. Prendiamo il bilancio del Milan. Si articola in due parti. La prima è un filmato, lo chiamano conto economico e registra ciò che avviene giorno per giorno. In una colonna il filmato è a colori e la abitano i ricavi. Per i poveri mortali è lo stipendio, per il Milan sono soprattutto i diritti televisivi che, se negli anni ottanta valevano tre, oggi sfiorano i mille. Il botteghino ha perso peso. Nell’altra colonna si annidano i costi. Questo filmato lo immagino in bianco e nero, ma per il Milan e consorelle spesso è nero fondo. Dovete inserirvi gli stipendi dei giocatori, al lordo. Kakà prendeva dieci milioni netti all’anno, ma al lordo al Milan ne costava venti. Allo stipendio, per cinque anni si aggiunge anche l’ammortamento, generalmente nella misura di un quinto del costo iniziale del cespite. Se amate il brivido, pensate agli ammortamenti del Real Madrid solo per i tre acquisti stellari di quest’anno. Superano quello che guadagnerebbe se vincesse la Champions. Il Milan ha preso un americano a parametro zero: dentiera perfetta, niente ammortamento e costa un decimo di Kakà. Ma è venti centimetri più alto. Volete mettere sui calci d’angolo? Passiamo all’altra parte del bilancio, quella che si chiama stato patrimoniale. Non è un filmato, ma una fotografia, che si scatta ogni tanto. Anche qui abbiamo due colonne: le fonti e gli impieghi. Negli impieghi si inserisce il patrimonio del Milan: gli stinchi dei giocatori. Lo stadio non è suo. A fronte degli impieghi ecco l’altra colonna, quella delle fonti. In parole povere: chi ci mette i soldi? I presidenti con il capitale sociale (un tempo li chiamavano i ricchi scemi) e le banche. Sorpresa: se nel filmato i costi superano i ricavi, si registra una perdita che entra macabra nella fotografia e con la sua falce miete alla grande nel patrimonio. Per tener calme le banche, riottose, il presidente sgancia di tasca propria. Restiamo al Milan. Dove sono andati a finire i soldi di Kakà? Nello stato patrimoniale non succede nulla: il valore del giocatore era completamente ammortizzato. È guadagno puro, si chiama plusvalenza ed entra impettito nel conto economico, nel filmato a colori. Con un colpaccio del genere, alla fine dell’anno i ricavi saranno superiori ai costi. Appariranno dei  profitti che, nella fotografia di fine anno, si vestono da fatina, rimpinguano il patrimonio e permettono di ridurre i debiti. I numeri cantano. Perché il Milan è diventato così parsimonioso? Il presidente si giustifica: “Ho visto i conti”. E vende Kakà. Che distratto! Per vent’anni non li ha visti i conti? Certo: la crisi economica impone ai ruoli istituzionali di dare l’esempio. Almeno qui. La famiglia non sembra entusiasta di investire in rossonero: la vendita è alle porte e una società asciutta è più igienica. Mia moglie insinua: con un divorzio in vista, meno si sperpera e più si abbassano le pretese della consorte. In presenza di discontinuità, i numeri urlano. Non mi sono spiegato? Significa che avete fatto male la prima elementare.