E&M

2009/4

Campioni d’Europa nel ping pong femminile: questa non l’avevo ancora sentita. È successo a Castel Goffredo, nel cuore di un distretto centenario dove si produce il 70% della calzetteria femminile e il 30% di quella mondiale. È il regno delle donne, in tutti i sensi. È qui che spopola la Sterilgarda Castel Goffredo, la squadra femminile di ping pong che negli ultimi quattordici anni ha vinto dodici scudetti e per ben due volte ha sollevato la Coppa dei Campioni, battendo nel 2006 le tedesche e nel 2007 le olandesi. Quest’anno lo scudetto è ritornato in zona Milano, perché Laura Negrisoli, la grande campionessa del Castel Goffredo, si è trasferita a San Donato Milanese e ha rinverdito così il palmarès di Milano che, pur essendo la città più titolata con sedici scudetti, non lo vinceva dal 1970.

Non è uno sport da passatempo. Bisogna allenarsi più di otto ore al giorno, e non basta. Si può praticarlo sino a quarant’anni, ma serve non solo una dedizione costante ma anche una certa predisposizione, tipica dei cinesi. I medaglieri del tennis da tavolo sono un loro affare privato, con qualche incursione di giapponesi, coreani e tedeschi. Si ricorda un episodio curioso successo alla nazionale italiana che negli anni settanta andò in Cina per partecipare a un torneo. I nostri giocatori arrivano in anticipo al palazzetto dello sport e, per non allenarsi tra di loro, chiedono al personale di servizio di prestarsi a qualche scambio di allenamento. I nostri campioni, allibiti, non riescono a fare un punto. Va ammesso che non è uno sport che esalti gli spettatori. Si sta cercando di rivitalizzarlo. Da ragazzi si andava al 21, adesso bastano 11 punti per fare un set. Per vincere la partita non sono più sufficienti due set su tre, ma ne occorrono tre su cinque. La partita è più ritmata e scompaiono gli scambi scarsamente significativi. Inoltre la palla ha ora un diametro più grande: dettaglio che permette giocate più prolungate e maggiore spettacolo. Resta però sempre difficile vedere bene una pallina che viaggia a 150 chilometri all’ora. Sorprende ancora di più che allo stadio di Mantova, per vedere le partite dello loro campionesse, si arrivi anche a 4500 spettatori.

Nel tennis da tavolo mancano i soldi e nelle serie minori non ci sono arbitri designati: si ricorre a gente locale. Esistono dei giudici in carrozzella. Ma le sorprese non finiscono qui. Andrea Donzella, di diciotto anni, ha arbitrato una partita di tennis da tavolo in serie C1, Agrigento contro Catania. Ha commesso solo cinque errori: per tre volte non si è accorto di un net e in due scambi non ha capito chi avesse vinto il punto. Su un totale di circa 550 scambi, gli errori non raggiungono l’1%. Ad Andrea arrivano i complimenti da tutti: nemmeno chi ci vede – dicono – commette così pochi errori. Perché Andrea Donzella è cieco dalla nascita. Ma uno non se accorge. In base al rumore, percepisce anche il soffio di uno spigolo. Più difficile gli risulta il net sul servizio, ma riesce a distinguere da che parte la pallina è caduta secondo che capti il rumore con l’orecchio destro o con quello sinistro. La più grande difficoltà è quella di arbitrare in un torneo con più tavoli, ma se la cava. Vorrebbe arbitrare in serie A, anche se il referto arbitrale finale lo deve redigere e firmare un altro. Vuole iscriversi a un corso di fisioterapia all’università. Spiazza quelli che si preoccupano di non ferirlo. Quando commette un errore la sua reazione è disarmante: quel punto non l’ho visto.