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2013/6

Gianni Canova Severino Salvemini

L’intrepido. La demitizzazione della competenza

Costruito quasi come una parabola evangelica, il nuovo film di Gianni Amelio L’intrepido prospetta finalmente una visione del lavoro non più come condanna ma come opportunità, non come alienazione ma come autorealizzazione. E attraverso il personaggio di un candido “rimpiazzista” interpretato da Antonio Albanese arriva a mettere in dubbio quel mito della competenza su cui da tanti anni si fondano quasi tutte le culture di impresa.

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L’intrepido

Regia: Gianni Amelio

Interpreti: Antonio Albanese, Livia Rossi, Sandra Ceccarelli

Italia, 2013

Gambe nel vuoto, tuta da operaio edile e casco di protezione in testa: la prima immagine del protagonista del nuovo film di Gianni Amelio L’intrepido ricorda la famosa fotografia di Charles Ebbets dei manovali seduti sulle travi sospese del grattacielo in costruzione della General Electric negli anni trenta a New York. Ma Antonio Pane questo il nome del personaggio interpretato da Antonio Albanese non è un operaio edile. È un jolly. Un lavoratore precario che ogni giorno rimpiazza i colleghi assenti nelle mansioni più svariate. Così, di giorno in giorno, si trova a fare il pescivendolo e il manovale, il pizza-boy e l’attacchino di manifesti, il venditore ambulante di rose e il tranviere. Di fatto, è un professionista della disoccupazione nell’era del precariato diffuso. È talmente precario da non sapere non solo se lavorerà il giorno dopo, ma neppure che mansione eventualmente svolgerà. Ma lui non ne fa un dramma. Si adatta. Si adegua. Si attrezza. Entra ed esce dai ruoli con una leggerezza e una naturalezza impressionanti. Come se sapesse fare tutto, mentre in realtà forse non sa fare nulla. O come se il suo non saper fare nulla di specifico lo rendesse del tutto omologo e idoneo a un mercato del lavoro dove la prima dote richiesta è, appunto, la capacità di adattamento a mansioni diverse. Elementari, semplici, ma sempre diverse.

Proprio per la sua elasticità e per la sua incredibile flessibilità, Antonio Pane è perfetto per sostituire gli assenti garantendo con la sua presenza la continuità della produzione. Di qualsiasi produzione si tratti. Queste sue qualità ne fanno un emblema per molti versi paradigmatico del lavoratore contemporaneo: non più condannato all’infinita ripetizione del medesimo gestocome avveniva nel modo di produzione fordista ma sollecitato all’infinita variazione di performance a basso tasso di professionalità ma ad alto tasso di necessità per il funzionamento del sistema produttivo nel suo complesso. Di lui, e del film che lo racconta, discutono come di consueto Gianni Canova e Severino Salvemini.

G.C. Alla Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato presentato in anteprima, L’intrepido è stato accolto con una certa freddezza se non addirittura con espliciti e chiassosi dissensi. Lo hanno accusato di scarso realismo. Lo hanno rimproverato per non essere un film “arrabbiato”. Perché non ha i toni della denuncia dell’indignazione. Perché non emana la rabbia o il cupo pessimismo sulle condizioni del lavoro che impregnano invece certi recenti e angosciati film sul precariato di registi come Ken Loach o Silvio Soldini. Qualcuno è arrivato a dire che i toni sorridenti con cui il personaggio di Albanese accetta la propria condizione sarebbero un insulto alla sofferta condizione di tanti veri precari. Io dissento nel modo più netto da tali critiche. Ritengo, anzi, che proprio questo apparente scarso realismo e questo tono da fiaba (sia pure da fiaba amara) rappresentino la forza, l’interesse e l’originalità del film e del personaggio che esso mette in scena.

S.S. La penso come te. Amelio che pure, in passato, aveva dimostrato di saper fare film sul lavoro con un linguaggio molto più realistico (basti pensare a La stella che non c’è, girato in Cina) questa volta ci porta dalle parti di Charlot. Il personaggio di Albanese è un candido, un naïf, un puro di cuore. A me piace pensare a Forrest Gump per certe espressioni del viso in primo piano, mentre ricorda Charlot soprattutto nella postura e nella camminata. Di questi personaggi conserva e riprende soprattutto il candore. Antonio è un diverso, con la sua bontà d’animo e la sua pazienza. È un personaggio dotato di una profonda coscienza morale: non si presta a compromessi, rifiuta incarichi ambigui, lascia impieghi che nascondono porcherie. Un eroe fuori moda, un lonely hero. Altruista, perbene e generoso: elementi che rischiano di risultare trasgressivi in questi anni decadenti e arrabbiati.

G.C. A me come sempre su queste pagine interessa provare a vedere in lui il sintomo di qualche tendenza più generale che attraversa la società e il mondo contemporaneo. Per esempio: per molto tempo abbiamo detto che il mondo era ormai fatto solo per gli specialisti. Ora il lavoro di un factotum come Antonio Pane suggerisce che non è così. Amelio dimostra che l’unica capacità richiesta a questo Zelig dei giorni nostri è quella di trasformarsi quotidianamente. Le doti più apprezzate in lui sono la flessibilità, la versatilità e l’adattabilità. Che l’affermarsi del rimpiazzista segni anche l’inizio di una certa tendenza alla demitizzazione della competenza?

S.S. In un certo senso, credo di poter dire che è proprio così. Dopo molti anni di esaltazione del successo e della ricchezza professionale, stiamo scontando la crisi del leaderismo e dell’iperspecializzazione. Un film come L’intrepido ci invita esplicitamente a “spostare la parallasse”, a guardare le cose da un altro punto di vista. E il protagonista Antonio Pane è la perfetta incarnazione quasi da parabola evangelica di un punto di vista diverso: egli non ha sogni consumistici, non ha inquietudini banali, non è smarrito esistenzialmente, accetta la solitudine, senza perdere la speranza che domani andrà meglio di oggi. Malgrado la sua dolcezza e la sua arrendevolezza, Antonio Pane è tuttavia un uomo forte, uno che sa resistere, che non si lascia vincere dalle delusioni e dalle sconfitte. Uno che sa come tener duro.

G.C. Non solo: la cosa che più mi colpisce è che il personaggio di Antonio Pane ama il lavoro. Lo dice anche nel film: “A me i lavori piacciono tutti!”. È la fine di una visione del lavoro come fatica, come maledizione biblica, come alienazione. Antonio non sente il lavoro come sfruttamento bensì come autorealizzazione. Forse ci voleva la crisi, con la sua violenta rarificazione del lavoro, per farci scoprire proprio ora che il lavoro manca quanto esso possa essere a tutti i livelli, anche i più umili, non una condanna ma un’opportunità, non un soffocamento della personalità ma un’occasione di piacere. L’intrepido è un’apologia del lavoro: è il luogo delle relazioni umane profonde ed è l’attività che ti fa venire voglia “di farti la barba tutte le mattine”. In questo, almeno per il contesto italiano, è un film che segna un’inversione di rotta totale, e che traccia una strada del tutto nuova. Tanto nuova che alla Mostra di Venezia, appunto, hanno esorcizzato con i fischi il disagio generato dalla percezione del cambiamento.

S.S. Forse Antonio Pane è un prototipo di nuovo eroe del nostro tempo. Non è un caso che Amelio intitoli L’intrepido il film a lui dedicato. Intrepido è colui che non trema per paura. Colui che, davanti a una difficoltà o a un rischio, mantiene calma e fermezza. Anche se non lo vediamo salvare donne e bambini dalle macerie, di fatto è un eroe. Non un eroe in tempi di guerra ma un eroe in tempi di vuoto. Quelli che viviamo oggi.