E&M

2006/1

Quando il professore di ginnastica ci provocava alzando l’asticella del salto in alto sino ai due metri, passavamo comodamente sotto. E avevamo due gambe. Ai tempi in cui Sara Simeoni deteneva il record mondiale femminile con 2,01, il canadese Arnoldt Boldt superò i 2,04. E aveva una gamba amputata. Aveva ragione nel dire: “Penso che i veri limiti esistano in chi ci guarda”. Non solo si sentiva perfettamente normale: sapeva anche insegnare ad altri il coraggio della non-rassegnazione.

Lo sport può aiutare tanti disabili a ricercare la loro strada. Per questo nel 1960 nacquero i Giochi “Paralimpici” (si chiamano proprio così) per i portatori di un handicap. Il loro logo è formato da tre gocce di colore verde, rosso e blu. Rappresentano la mente, il corpo e lo spirito dell’uomo. In queste competizioni l’Italia ha vinto 493 medaglie, di cui 139 d’oro. Paola Fantato, veronese, colpita a otto mesi da poliomielite, detiene un record: ad Atlanta, nel 1996, nel tiro con l’arco partecipò in carrozzella sia alle Olimpiadi sia ai Giochi Paralimpici.

La pratica sportiva compie miracoli soprattutto con i non vedenti. Nel 2001 la nazionale argentina di calcio accettò – giocando con gli occhi bendati – di incontrare la nazionale della Federazione sportiva dei non vedenti. Vinsero, per 7 a 0, i non vedenti, che nei Giochi Paralimpici si sfidano tra di loro nel tiro con l’arco, nel nuoto, nello judo, nello sci di fondo, nell’alpinismo. Sono commoventi. Ma quando vediamo alcune nazionali di calcio composte da ragazzi che hanno una gamba amputata e giocano con le stampelle, la commozione diventa vergogna. Non potranno mai sfidare una squadra europea. Noi, le mine antiuomo le vendiamo soltanto.

I casi emblematici di successo, nella vita o nello sport, non cancellano il disagio dell’infinito mondo sommerso dei disabili. Con un grande senso del pudore cercano qualcuno che li capisca, che faccia loro da ponte verso la normalità. Sono stupendi i volontari che mettono a loro disposizione entusiasmo, tempo, simpatia. Quando li vedo, nei paraggi di uno stadio, spingere una carrozzella, comunque finisca la partita, loro hanno già vinto. Peccato che nessun giornale sportivo si soffermi su questi occhi che ricevono e danno felicità.

Non tutti gli atleti si limitano a dare spettacolo. Lorenzo Minotti, giocatore del Parma con diciannove convocazioni in nazionale, da anni è un testimonial straordinario dell’ASMO (Associazione Donatori Midollo Osseo), iniziativa che salva la vita a tanti bambini. “La notorietà che un atleta raggiunge in campo sportivo deve diventare una cassa di risonanza per aiutare i più deboli. I donatori di midollo osseo, quando ho cominciato a parlarne ovunque, erano meno di mille. Ho regalato tanto tempo della mia vita a questo progetto, grazie anche alla mia famiglia che mi ha sostenuto. Adesso, i donatori di midollo osseo in Italia sono trecentomila. Siamo il quarto paese al mondo.”

Il mitico Candido Cannavò, per noi direttore a vita della Gazzetta dello Sport, nell’ultimo suo libro – E li chiamano disabili – racconta sedici storie stupende. “La libellula” è indimenticabile: Simona Atzori, ballerina e pittrice, nata senza braccia. Guida persino la macchina. Balla divinamente e danza con il famoso Marco Pierin. Al termine di uno spettacolo la ragazza gli disse una volta: “Ballare con te è un grande onore”. E lui le rispose: “Pensa all’onore che ho io”.

Sullo sfondo di queste esperienze emozionanti si estende il mondo di chi non è ancora riuscito a farsene una ragione. Sta a tutti noi cercare un aggancio con il senso profondo del vivere, nostro e loro. Ricordando che nessuno crederebbe all’inverno se dicesse: “Ho nel cuore la primavera”.