E&M

2022/2

Gabriella Bagnato

Leadership ad alto impatto: il potere (nascosto) della relazione

La difficoltà di certi leader nel valorizzare il fattore umano è riconducibile alle modalità con cui interpretano la relazione con i propri collaboratori. La leadership positiva – intesa come processo tramite il quale il leader realizza risultati e genera valore con le persone – è invece capace di promuovere l’ engagement degli individui e la sicurezza psicologica nei team. Il leader positivo guida le persone investendo sulla costruzione di un reciproco rapporto di fiducia e fonda la sua autorevolezza su una comunicazione chiara e diretta. Inoltre, pone grande attenzione alla creazione delle migliori condizioni affinché sia preservato e alimentato il benessere delle persone.

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Imprenditori e manager devono prendere quotidianamente decisioni complesse in contesti incerti, in tempi ristretti e con forti pressioni sul risultato. Alla necessità di garantire il raggiungimento di elevati livelli di performance nel presente si affianca quella di identificare, se non di creare, nuove opportunità, con l’obiettivo della sostenibilità nel tempo dell’impresa.

Una delle risorse più potenti che i leader hanno a disposizione, e che purtroppo non valorizzano come potrebbero, sono le persone. Queste ultime, infatti, portano all’impresa competenza, potenzialità di sviluppo, insieme a intelligenza ed energia.

La difficoltà nel valorizzare il fattore umano è riconducibile alle modalità con cui i leader interpretano e agiscono la relazione capo-collaboratore, essendo ancora troppo ancorati a un modello tradizionale di leadership che non riesce a generare gli elementi necessari al contesto in cui l’impresa si trova a competere.

Infatti, il paradigma tradizionale «command&control» genera ubbidienza e rispetto passivo delle regole, se non atteggiamenti opportunistici e strategie di aggiramento, quando invece c’è bisogno di idee, creatività, conflitto costruttivo, elementi che solo chi è genuinamente coinvolto e responsabile può mettere in campo.

La «leadership positiva», un filone di ricerca nato dell’ambito della psicologica positiva una ventina di anni fa, fornisce utili spunti in questo senso, aprendo nuove possibilità per quanto riguarda la realizzazione risultati di valore attraverso le persone in contesti complessi[1].

Con leadership positiva si intende il «processo di implementazione di una molteplicità di pratiche positive che supportano gli individui e le organizzazioni a realizzare il loro massimo potenziale, a realizzarsi e a crescere attraverso l’attività professionale, sperimentare elevati livelli di energia raggiungendo risultati eccellenti altrimenti difficilmente raggiungibili»[2].

Per dare un concreto esempio di quanto appena definito, rimandiamo al box « La leadership positiva di Directa Plus» che presenta il caso della società Directa Plus. Dopo una breve descrizione dell’azienda e della sua storia, lasciamo spazio alla testimonianza di Giulio Cesareo, ingegnere, fondatore e CEO della società. Le sue parole permetteranno di capire in quali modi e azioni si attua l’esercizio della leadership positiva. Directa Plus ha caratteristiche particolari essendo una PMI creata con sourcing e onboarding di coloro che attualmente vi lavorano, seguiti in prima persona dal fondatore. Riteniamo tuttavia che i concetti espressi possano essere un interessante e utile stimolo per chi opera in realtà più grandi e articolate.

La leadership positiva di Directa Plus

Directa Plus è una azienda di Lomazzo (CO), fondata nel 2005 Giulio Cesareo, che ne è il CEO, con l’obiettivo di produrre nano-particelle di carbonio (grafene) in modo semplice, sostenibile e scalabile. «Volevo realizzare un prodotto diverso, che potesse davvero migliorare il mondo. Avevo la visione di Davide che batte Golia, ovvero di una piccola azienda che riesce a far concorrenza alle multinazionali.»

Nel 2016 l’azienda si è quotata all’AIM (Alternative Investment Market) di Londra e attualmente è uno dei più grandi produttori e fornitori di prodotti a base di grafene destinati ai mercati internazionali, consumer e industriali. Directa Plus realizza prodotti naturali, chemical-free, realizzati in modo sostenibile e su misura per applicazioni commerciali in settori molto diversi: dallo smart textile agli elastomeri, dai materiali compositi alle soluzioni ambientali. Nel corso del 2021 Directa Plus ha lavorato a estendere e migliorare le applicazioni del grafene a prodotti quali le batterie al litio-zolfo, con potenzialità commerciali molto significative.

Il 2020 ha visto un aumento del fatturato del 144 per cento, mentre nel primo semestre del 2021 ha fatto segnare un incremento di fatturato del 41 per cento, un miglioramento significativo dei dati finanziari e aumento esponenziale delle collaborazioni, il segnale inequivocabile del riconoscimento del valore delle conoscenze e della tecnologia che Directa Plus ha sviluppato nel tempo.

I brevetti finora depositati sono 71 e l’azienda è pronta a collaborare con i principali player industriali del nostro Paese, oltre a perseguire gli sviluppi dei progetti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). In tale Piano è dedicata grande attenzione all’innovazione e alle nuove tecnologie, e le avveniristiche applicazioni del grafene possono essere uno strumento strategico per il rilancio dell’economia italiana.

Alla domanda su quale sia il fattore determinante per il successo della sua avventura imprenditoriale Cesareo risponde convinto: «Sono certamente le persone, perché è con loro e attraverso di loro che Directa Plus fa innovazione e raggiunge livelli di eccellenza ineguagliati, riuscendo a conquistarsi la fiducia di investitori e clienti». Puntare sulle persone vuol dire concentrarsi sulle relazioni, e infatti è proprio su queste che Cesareo ha scommesso mettendosi in gioco in modo «molto umile e concreto: passo molto tempo con i miei collaboratori, investo molto sulla loro autostima e alimento costantemente la voglia di fare e scoprire, con entusiasmo e ottimismo. Ho costruito una squadra portando a bordo ragazzi neo-laureati di grande talento che sono cresciuti con me e con l’azienda. Ho investito sulla relazione con loro e tra di loro, dedicando tempo e attenzione a osservarli in azione, a dare loro feedback e ricevendone a mia volta da parte loro. Ho puntato al coinvolgimento emotivo facendoli partecipare a tutti i momenti-chiave affinché comprendessero a fondo la visione, gli obiettivi e le priorità di Directa Plus, e questo è stato determinante perché la consapevolezza della direzione e di ciò che può fare davvero la differenza ha rappresentato il riferimento per le piccole e grandi decisioni del quotidiano».

«Ho fatto tutto questo partendo dai miei valori di persona prima ancora che di imprenditore, valori in cui credo e che quindi non ho fatto fatica a tradurre in comportamenti e risultati concreti riuscendo nel tempo a farli diventare il DNA di Directa Plus, una bussola per tutti coloro con i quali condivido questa avventura. La soddisfazione più grande è che l’attenzione che ho dedicato ai ragazzi che abbiamo assunto nel tempo, ora loro la dedicano ai neo-inseriti e a coloro con cui collaborano. Anche chi oggi entra in azienda, e che invito a fare una chiacchiera con me a un mese dall’inserimento, mi dice che si sta integrando con grande facilità e apprezza il clima di grande collaborazione, confronto costruttivo e tensione all’eccellenza, che caratterizza il nostro modo di lavorare».

Directa Plus è un crogiolo di diversità: di genere, di saperi tecnico-specialistici, di esperienze professionali e di vita. «Mi sono impegnato e mi impegno personalmente nei processi di selezione ricercando attivamente la diversità perché l’esperienza di Directa Plus mi ha insegnato che la diversità genera valore».

Il rispetto per la persona e il professionista è elemento-fondante dell’identità dell’azienda. «Lo si vede nell’incontro settimanale che abbiamo istituzionalizzato per fare il punto-nave su obiettivi e priorità, per condividere le informazioni utili a organizzare il lavoro ma anche per migliorare i processi e per tenere sempre alta la tensione all’innovazione. Ci siamo allenati ad ascoltarci e continuiamo a farlo. Credo molto nel potere dell’ascolto che per me è accettare con umiltà che qualcuno entri nel tuo mondo con il rischio che dica cose che non ti piacciono, che mettono in discussione le tue certezze ma che aumentano la tua consapevolezza e stimolano nuovi pensieri che ci aiutano ad arrivare là dove non avremmo pensato di arrivare. Credo molto anche nel potere del confronto e del conflitto. L’esperienza ci ha insegnato che se si affronta il conflitto prendendosi il tempo per spiegare le diverse posizioni e perché si ritiene siano rilevanti, se lo si governa con la logica che deriva dagli obiettivi e dalle priorità che si perseguono, questo diventa un strumento per uscire dagli schemi senza spaccare le relazioni, ma anche per produrre idee e fare grandi passi avanti rafforzando la coesione di chi ha partecipato a scioglierlo in modo costruttivo».

In Directa Plus il gender pay gap non è di casa e a tutti vengono date le opportunità che si ritiene siano più utili a consentire tanto un salto di qualità come contributo attuale e potenziale quanto di legittimazione agli occhi del board, dei clienti, degli investitori e degli altri stakeholder. «Abbiamo sponsorizzato percorsi per il conseguimento di dottorati di ricerca dei nostri collaboratori e li abbiamo affiancati per il periodo necessario a costruire a professionisti e consulenti di alto livello e strumenti e approcci utili a portare Directa Plus nel futuro».

L’apprendimento e il miglioramento continuo sono un mantra. «Abbiamo imparato tutti il valore del feedback e a valorizzare gli errori, soprattutto quando hanno costi elevati trasformandoli in opportunità di apprendimento e non solo per chi l’errore lo ha commesso. Ne parliamo con franchezza senza avere paura di dare nome e cognome a chi l’errore lo ha fatto, a cominciare da me. Non per mettere alla gogna e trovare il capro espiatorio, bensì per analizzare il problema e capirlo a fondo così da attrezzarci e migliorare i processi e le soluzioni».

Per fare innovazione puntando all’eccellenza ci vuole molta energia ed equilibrio. «L’integrazione vita personale e professionale è un obiettivo che perseguiamo tutti con molta convinzione. Lo spostamento dei confini dell’impresa del post-pandemia ha reso fisiologico il lavoro da remoto, quando possibile o opportuno. L’aver consolidato delle pratiche, l’esserci dati delle regole volte a facilitare il lavoro e il coordinamento interno, anche in situazioni di lavoro ibrido, e una cultura forte ci consente di farlo con grande tranquillità, certi del rispetto delle priorità dell’azienda e della disponibilità delle persone a trovare soluzioni benefiche per sé e non penalizzanti per i colleghi».

Facile? «Non sempre. Ci vuole tempo, pazienza, grande determinazione e la capacità di decidere anche in situazioni caratterizzate da grande pressione in base ai valori che ci contraddistinguono e non alle convenienze personali».

Ne vale la pena? «La complessità del sistema è notevole perché la struttura è entropica e gli eventi spesso imprevisti. E io ho avuto il vantaggio di costruirmi la squadra mantenendo una dimensione che mi consente di relazionarmi di frequente con tutti coloro che lavorano in Directa Plus. Ma dare spazio alle persone, investire sulla loro professionalità, costruire un ambiente di lavoro stimolante per le competenze messe in gioco e per il confronto quotidiano, essendo guidati da una visione e da valori comuni e dando molta attenzione alla qualità delle relazioni adattando le modalità alle dimensioni e alle specificità del modello organizzativo, penso sia l’unica via per l’innovazione e l’eccellenza delle imprese del presente e per il futuro».

Engagement e sicurezza psicologica

Alcuni elementi, ormai ben radicati e poco modificabili, caratterizzano il contesto nel quale le aziende attualmente operano: da un lato rapidità e pervasività dei cambiamenti, potenziati dall’evoluzione tecnologica, dall’altro incertezza e ambiguità delle dinamiche economiche, politiche e sociali, che si influenzano reciprocamente e sono amplificate dalla loro dimensione globale.

I modelli organizzativi adottati dalle imprese capaci di muoversi efficacemente in tali contesti sono caratterizzati dalla flessibilità e velocità di adattamento ai cambiamenti e dalla capacità di sfruttare le opportunità e di innovare. Gli elementi che consentono alle imprese di avere queste caratteristiche sono tre: efficace e produttiva gestione delle interdipendenze interne e con l’ambiente di riferimento, responsabilizzazione diffusa, ambiente che promuove l’apprendimento continuo, individuale e organizzativo.

In questo ambito, il ruolo della leadership quale processo organizzativo che orienta e sostiene il cambiamento e l’innovazione è centrale.

La leadership infatti – intesa come generale processo tramite il quale il leader realizza risultati e genera valore con le persone – risulta efficace se è capace di promuovere l’engagement degli individui e la sicurezza psicologica nei team.

Engagement è lo stato mentale, emotivo/affettivo e fisico che si sostanzia in un coinvolgimento non solo professionale ma personale del lavoratore, rispetto agli obiettivi dell’impresa e in particolare con le attività che egli vi svolge[3].

Un lavoratore ingaggiato esprime alti livelli di energia, mette tutto se stesso in ciò che fa, ha il genuino desiderio di dare un contributo di valore e si identifica nella sua attività, e più in generale nell’azienda e nei suoi obiettivi; sente di poter prendere parte in modo attivo e consapevole alla realizzazione di un progetto, di una vision e di uno scopo di cui vede il significato[4]. Riconoscendosi in ciò che fa, gli è più facile assumersene la responsabilità ed esprimere intelligenza ed energia ben oltre a quanto richiesto dal ruolo, compresi aspetti di creatività e originalità di pensiero, riuscendo in tal modo risultati eccellenti.

La dimensione lavorativa individuale, vissuta in tal modo, ha effetti tangibili sull’azienda nel suo complesso e sulle sue performance, sulla soddisfazione del cliente, e sul grado di innovazione di cui l’azienda è capace, oltre a dare un significativo contributo al benessere fisico e psicologico di coloro che vi lavorano. «I dipendenti coinvolti nel proprio lavoro fanno registrare prestazioni migliori del 20 per cento rispetto alle controparti non ingaggiate, sono tre volte più creativi […] e immettono in azienda dedizione, concentrazione ed energia, […] una maggiore carica e capacità di recupero mentale che si traduce in prestazioni superiori per qualità e uso efficiente delle risorse, creatività, innovazione e maggiore resilienza nelle situazioni di crisi»[5].

La sicurezza psicologica è la percezione condivisa dai membri di un team di potersi prendere il rischio di essere se stessi, nel senso di non sentirsi a disagio nel manifestare una propria idea o opinione o nell’avviare un confronto, con la sicurezza che non saranno messi in imbarazzo, rifiutati o sanzionati socialmente dal team stesso.

Le persone che lavorano in team caratterizzati da alta sicurezza psicologica condividono informazioni e punti di vista, chiedono aiuto se sono in difficoltà, mettono in discussione lo status quo evidenziando opportunità, propongono approcci diversi da quelli consolidati e parlando apertamente dei problemi proponendo soluzioni, non nascondono e tantomeno biasimano gli errori propri e altrui ma guardano a essi come occasioni per azioni correttive e di apprendimento[6].

In generale, i team con alti livelli di sicurezza psicologica sono più produttivi, innovativi, apprendono più velocemente e sono caratterizzati da una maggiore tensione al risultato e da disponibilità a prendersi rischi calcolati, tutelando al contempo il benessere dei loro membri.

La leadership positiva

La leadership positiva è particolarmente efficace nel generare e alimentare l’engagement degli individui e la sicurezza psicologica dei team. L’aggettivo «positiva» non sta a indicare un atteggiamento inutilmente sorridente o buonista, né lo spostamento del piano della relazione dall’ambito professionale a quello personale/amicale. Il leader positivo guida le persone investendo sulla costruzione di fiducia, ben sapendo che si tratta di un processo reciproco per cui non ci si può aspettare fiducia se non si è disposti a darla per primi. Inoltre, la fiducia che i collaboratori accordano al leader è prima di tutto riposta in lui/lei come persona e poi anche nelle competenze tecniche e professionali e nei risultati che i collaboratori ritengono sia in grado di realizzare.

I collaboratori si fidano del leader come persona laddove gli/le riconoscono l’intenzione di guidarli avendo a cuore, insieme a quello dell’impresa, anche il loro interesse e se hanno evidenza della coerenza tra i valori che il leader professa e i suoi comportamenti, anche e soprattutto nelle situazioni critiche.

La leadership positiva non è una leadership che rinuncia a essere decisa, a imprimere una direzione, a influenzare i collaboratori affinché «facciano cose che non farebbero senza la spinta del leader», a prendere decisioni che possono scontentare qualcuno. La peculiarità della leadership positiva è che costruisce la sua forza dando forza alle persone e ai team e creando le condizioni affinché le relazioni possano rimanere costruttive, anche nel conflitto.

Il tipo di relazione che si instaura tramite la leadership positiva è costruita su una connessione personale e di vicinanza dove il leader comunica in modo chiaro e diretto e non manipolativo; in situazioni di forte pressione e stress, nei momenti critici o che richiedono fermezza, riafferma il valore del rispetto reciproco senza lasciarsi andare a modalità di relazione aggressive o abrasive, in modo che le persone possano agire nel pieno delle loro forze intellettive, psicologiche e fisiche.

Il leader positivo non interpreta la relazione in senso paternalistico, cosa che pone il collaboratore in una situazione di inferiorità e dipendenza, né chiama in causa l’amicizia o l’opportunità di appartenere a un gruppo esclusivo, chiedendo in cambio lealtà e supporto incondizionato. In caso di errore non cerca il colpevole o, peggio, il capro espiatorio per proteggere il proprio operato o la propria immagine, specialmente quando lui/lei lo hanno commesso, ma lo trasforma in una opportunità di apprendimento collettivo.

La leadership positiva valorizza i punti di forza e il senso del proprio valore delle persone, perché ambisce a coltivare e ad abilitare l’autonomia di pensiero, la proattività e l’assunzione in prima persona da parte del collaboratore del proprio sviluppo. Il leader positivo dà responsabilità e spinge il collaboratore fuori dalla sua zona di comfort per realizzarne pienamente il potenziale, garantendogli però il proprio supporto.

Piuttosto che su elenchi di attività, il leader positivo ingaggia i collaboratori sulla visione, gli scopi, gli obiettivi e le priorità. Non è infatti il «che cosa c’è da fare» a stimolare la motivazione dei collaboratori a fare del proprio meglio, ma l’avere un più ampio senso nel quale inscrivere il loro specifico contributo.

La leadership positiva pone infine una grande attenzione alla creazione delle migliori condizioni affinché sia preservato e alimentato il benessere delle persone. «Nei contesti aziendali malsani le persone vedono il riposo come togliere pericolosamente il piede dall’acceleratore. Non ci si può fermare fino a che non si è arrivati al limite dell’esaurimento. Nei contesti sani le persone vedono il riposo come una fonte preziosa di energia e una necessità per evitare il burnout»[7].

Leggendo quanto finora scritto, si potrebbe concludere che in fondo si tratta di concetti di grande buon senso; questo potrebbe non essere del tutto sbagliato purché si abbia la disponibilità a prendere atto del fatto che ciò che è (o sembra essere) common sense non è automaticamente common practice[8].

In altre parole, è sicuramente necessario aver ben compreso cosa significhi leadership positiva e quali benefici apporti, in considerazione dell’attuale contesto. Ma la leadership positiva è efficace se trova concretezza nelle azioni delle persone, in specifici contesti e coerentemente con la propria azienda e il proprio lavoro quotidiano.

È la stessa differenza che passa tra il seguire un valido programma di allenamento, con l’aiuto di un ottimo coach, e la reale azione sportiva che l’atleta esprime nelle gare.

Tradurre ciò che si sa o si è capito in atteggiamenti e azioni congruenti è sfidante per tutti, tanto più quando si è sotto pressione, ma non è impossibile.

Un buon punto di partenza è sfatare il mito della leadership come talento naturale o prerogativa di taluni e considerarlo per quello che effettivamente è: solo e soltanto uno dei numerosi strumenti a disposizione delle persone in azienda; uno strumento estremamente potente e ancora oggi poco valorizzato il cui uso efficace richiede al leader fatica, impegno e, perché no, l’umiltà necessaria per accettare di dover imparare qualcosa che, sbagliando, si è finora ritenuto fosse una qualità innata, presente solo in alcuni predestinati.

«La leadership non è un affascinante punto di arrivo né un riconoscimento per quanto si è fatto bensì una risorsa e uno strumento dell’azienda. È efficace solo se i collaboratori ne beneficiano, essendo motivati, sviluppando e scaricando a terra le proprie competenze»[9].

In sintesi

  • La difficoltà di certi leader nel valorizzare il fattore umano è riconducibile alle modalità con cui interpretano la relazione con i propri collaboratori. Questa è infatti ancora vincolata al paradigma tradizionale «command&control» che genera ubbidienza e rispetto passivo delle regole.
  • La leadership positiva – intesa come processo tramite il quale il leader realizza risultati e genera valore con le persone – è invece capace di promuovere l’engagement degli individui e la sicurezza psicologica nei team.
  • Il leader positivo guida le persone investendo sulla costruzione di un reciproco rapporto di fiducia e fonda la sua autorevolezza su una comunicazione chiara e diretta. Inoltre, pone grande attenzione alla creazione delle migliori condizioni affinché sia preservato e alimentato il benessere delle persone.

 

 

1

E. Martin, P. Seligman, M. Csikszentmihalyi, «Positive Psychology: An Introduction», American Psychologist, vol. 55, 1, 2000, pp. 5-14; F. Luthans, K. Luthans, R. Hodgetts, B. Luthans, «Positive Approach to Leadership. Implications for Today’s Organizations», Journal of Leadership Studies, 2001, 8(2), pp. 3-20.

2

K. Cameron, Positive Leadership. Strategies for Extraordinary Performance, Oakland, Berrett-Koehler Publishers, 2012.

4

A.M. Saks, «Antecedents and Consequences of Employee Engagement», Journal of Managerial Psychology, 21/7, 2006, pp. 600-619.

5

F. Gino, Talento ribelle, Milano, Egea, 2019.

6

A. Edmonson, «Strategies For Learning From Failure», Harvard Business Review, 2011; A. Edmonson, K. Roloff, «Overcoming Barriers to Collaboration: Psychological Safety and Learning in Diverse Teams», in E. Salas, G. F. Goodwin, & C. S. Burke (a cura di), Team Effectiveness in Complex Organizations: Cross-Disciplinary Perspectives and Approaches, Londra, Routledge/Taylor & Francis Group, pp. 183-208.

 

7

A. Grant, Twitter, 18 settembre 2021, https://twitter.com/AdamMGrant/status/1439246386529247239.

8

R.E. Boyatzis, «Leadership Development From a Complexity Perspective», Journal of Management Development, 25, 2006, pp. 607-623.

9

T. Chamorro-Premuzic, Why Do So Many Incompetent Men Become Leaders. And How To Fix It, Harvard, Harvard Business School Publishing, 2019 (trad. it., Perché tanti uomini incompetenti diventano leader? (e come porvi rimedio), Milano, Egea, 2020).