E&M

2022/3

Fabrizio Perretti

La seconda vita del metaverso

Il metaverso rappresenta la versione più avanzata e sofisticata degli attuali social media, cioè uno spazio di interazione e di transazione popolato da individui e imprese/organizzazioni. Il fatto che nel metaverso vi siano ampie opportunità di sfruttamento commerciale testimonia che la sua realizzazione potrebbe davvero essere «dietro l’angolo della strada». Svoltare questo angolo significa però trovarsi di fronte a scenari altrettanto inquietanti. Il metaverso presenta infatti gli stessi pericoli e criticità degli attuali social media: la progressiva sottrazione dalla sfera e dal controllo pubblico di spazi di interazione privati. Ma vi è un rischio ulteriore e ben più grave: a differenza della realtà fisica, la vita nel metaverso è a pagamento. Possiamo cioè esistere nel metaverso se paghiamo o se qualcuno paga per noi. Chi non può permettersi di pagare non esiste e se sono invece le imprese a pagare per noi allora – come sa bene chi conosce e opera nei media – siamo noi stessi i prodotti che vengono venduti. 

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Il termine metaverso, coniato dallo scrittore Neal Stephenson nel libro Snow Crash del 1992, nasce concettualmente nella cultura cyberpunk e descrive originariamente «un universo generato dal computer che viene disegnato negli occhialoni e pompato negli auricolari» delle persone connesse. Si tratta cioè di una realtà virtuale immersiva condivisa tramite internet, in cui gli avatar che vi entrano interagiscono con le altre persone e gli oggetti digitali che si trovano all’interno di questi spazi. Il primo tentativo più famoso di realizzare questo universo è stato quello della piattaforma Second Life nel 2003. Anche se priva di una percezione immersiva, Second Life conteneva già molte delle caratteristiche del metaverso: la presenza di avatar associati agli utenti connessi, l’esistenza di spazi virtuali per l’interazione, alcuni di questi realizzati da imprese (IBM per esempio) e organizzazioni (tra queste, diverse università e ambasciate) e, infine, l’utilizzo di una valuta virtuale come moneta di scambio.

Nonostante l’attenzione generata e l’iniziale crescita che ne è conseguita, Second Life non è diventato lo strumento di massa paragonabile agli attuali social media. Il progetto del metaverso sembrava quindi essere stato abbandonato ed è rimasto per diversi anni sottotraccia. Fino a quando a riportarlo alla ribalta è stato Facebook nel 2021, quando la società del più grande social media al mondo decise di inserire il riferimento al metaverso nel proprio nome, indicando così non solo una nuova identità ma anche la propria missione. All’annuncio di Facebook, sono poi seguiti quelli di Microsoft[1], di Google e Apple[2]. Nel momento in cui i big player mondiali scendono in campo è quindi opportuno domandarsi se questa nuova fase può effettivamente considerarsi l’inizio di una seconda vita per il metaverso e le sue applicazioni.

Lo sviluppo del metaverso si inserisce all’interno della logica del capitalismo che già Marx ed Engels avevano acutamente descritto nel loro Manifesto: la logica del capitale si basa necessariamente sulla sua crescita («dappertutto deve annidarsi, dappertutto deve costruire le sue basi, dappertutto deve creare relazioni») e questo significa che, insieme allo sfruttamento più intenso dei vecchi mercati, il capitale richiede la conquista di nuovi. Il bisogno di uno smercio sempre più esteso per i suoi prodotti sospinge quindi il capitalismo a percorrere tutto il globo terrestre e, una volta esauritesi le possibilità di ulteriore espansione, a rivolgersi verso nuovi mondi reali non ancora sfruttati (per esempio la commercializzazione dei voli spaziali, con l’obiettivo poi di insediarsi in nuovi pianeti) o universi virtuali da creare ex novo, come appunto il metaverso e le opportunità di mercato a esso connesse.

Il metaverso rappresenta infatti la versione più avanzata e sofisticata degli attuali social media, cioè uno spazio di interazione e di transazione popolato da individui e imprese/organizzazioni. In modo simile ai social media ci troveremmo quindi di fronte a un ambiente gestito da singole imprese private che, oltre a controllarne l’accesso e il comportamento da parte degli utenti, ne definisce anche i termini economici (chi paga per averne accesso). Attualmente i social media sono finanziati attraverso la pubblicità e i singoli utenti godono quindi di un accesso gratuito. A differenza però degli attuali social media, che si fondano sulla produzione, sullo scambio e sul consumo di contenuti di forma diversi (post, immagini, video), il metaverso rappresenta invece uno spazio fisico virtuale popolato da oggetti digitali e da avatar in cui gli utenti si muovono e con i quali interagiscono.

Gestire il metaverso significa quindi gestire tale spazio e, come un qualsiasi luogo reale, questo è soggetto all’espansione edilizia, in cui gli imprenditori edili possono costruire strade private, case, negozi, centri commerciali, imprese, parchi o luoghi speciali che non trovano corrispettivo nella nostra realtà. L’unica differenza è che nessuna di queste cose è stata costruita fisicamente. Si tratta infatti – come descritto nel romanzo di Stephenson – di rappresentazioni grafiche (le interfacce utente) e di una miriade di software diversi, progettati dagli ingegneri di quelle imprese che, «per sistemare tutta questa roba nel metaverso, hanno dovuto attendere il beneplacito della società che lo controlla, e che ne finanzia lo sviluppo e il potenziamento dei macchinari e del software necessari alla sua esistenza, comprare terreno edificabile, ottenere la modifica del piano regolatore, richiedere permessi, corrompere gli ispettori... – insomma, la solita trafila».

Nonostante la somiglianza dei processi e delle logiche economiche, alcuni vantaggi del metaverso rispetto alla realtà fisica sono evidenti. Per gli utenti vi è infatti la possibilità di accedere da remoto a spazi virtuali immersivi che permettono lo svolgimento di alcune attività con un livello di interazione e partecipazione molto più elevato per esempio degli attuali sistemi di collaborazione a distanza o degli attuali modelli di shopping online. Si pensi infatti a riunioni virtuali in cui i partecipanti sembrano essere seduti intorno allo stesso tavolo, a consumatori che possono avere la sensazione di toccare i prodotti nei negozi virtuali o di indossare alcuni capi[3], a utenti che possono assistere a concerti, rappresentazioni o eventi sportivi con la sensazione di essere negli stadi o nei teatri. Le applicazioni sono innumerevoli.

Anche per le imprese i vantaggi sono innegabili. I costi connessi alla presenza fisica – si pensi agli uffici o ai punti di vendita – possono infatti essere sensibilmente ridotti o eliminati. Il mondo virtuale offre inoltre la possibilità di commercializzare oggetti digitali per gli utenti. In modo simile agli attuali videogiochi, in cui i giocatori possono acquistare strumenti necessari per superare i diversi livelli, anche nel metaverso gli utenti possono decidere di acquistare oggetti digitali per i propri avatar o per i propri spazi privati. Essere presenti nel metaverso significa infatti poter avere una seconda vita o una seconda casa, e questo stimola la domanda di altri beni digitali, aggiuntivi e complementari rispetto ai beni reali fisici, che possono, nel corso del tempo e nel caso in cui la seconda casa diventasse quella principale, sostituirsi a quelli reali.

Il fatto che nel metaverso vi siano ampie opportunità di sfruttamento commerciale e che queste siano state riconosciute da diversi grandi marchi e imprese che hanno deciso di investirvi, testimonia che la sua realizzazione potrebbe davvero essere «dietro l’angolo della strada». Svoltare questo angolo significa però trovarsi di fronte a scenari altrettanto inquietanti. Il metaverso presenta infatti gli stessi pericoli e criticità degli attuali social media: la progressiva sottrazione dalla sfera e dal controllo pubblico di spazi di interazione privati, che sfuggono alle leggi e alle regolamentazioni degli Stati. Ma vi è un rischio ulteriore e ben più grave: a differenza della realtà fisica, la vita nel metaverso è a pagamento. Possiamo cioè esistere nel metaverso se paghiamo o se qualcuno paga per noi. Chi non può permettersi di pagare non esiste e se sono invece le imprese a pagare per noi allora – come sa bene chi conosce e opera nei media – siamo noi stessi i prodotti che vengono venduti. 

Considerando l’insieme di queste diverse prospettive, il metaverso può essere considerato un iper-oggetto. Con il termine «iperoggetti» Timothy Morton designa quelle entità diffusamente distribuite nello spazio e nel tempo (l’esempio più drammatico è senza dubbio il riscaldamento globale), che possiedono determinate caratteristiche, tali da renderli difficilmente comprensibili alla cognizione umana, trascinandoci in una dimensione al contempo strana e inquietante[4]. Per Morton gli iperoggetti sono direttamente responsabili di quella che lui definisce la fine del mondo e non è un caso che nell’epigrafe del suo libro citi la famosa frase del fisico Oppenheimer dopo lo scoppio della prima bomba atomica: «Sono diventato Morte, il distruttore di mondi». Ma non è forse questo lo spirito del capitalismo già evidenziato da Marx in cui «le industrie nazionali sono state e vengono, di giorno in giorno, annichilite. Esse vengono soppiantate da nuove industrie, la cui introduzione è questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili»? E non è forse questa stessa distruzione creatrice a essere celebrata da Schumpeter? Vedremo se e quanto gli sviluppi reali del metaverso ne renderanno riconoscibili i tratti appena deformati. La buona notizia è che il metaverso sembra questa volta essere più vicino. La cattiva notizia è che ne siamo poco distanti.

 

Il dossier di questo numero è dedicato ai mari e ai monti e alle imprese a essi collegati. Per l’Italia si tratta non solo – come ci ricorda Giuseppe Mazzini – di due elementi fondamentali del nostro paesaggio («le due più sublimi cose ch’ei ponesse in Europa, simboli dell’eterna forza e dell’eterno moto, l’Alpi e il mare»), ma anche di settori importanti, dove dinamiche complesse di sfruttamento economico e di conservazione dell’ambiente si intrecciano e richiedono particolare attenzione, pazienza e responsabilità. Questi sono anche alcuni dei valori cui si ispira il nuovo REPAiR Lab di SDA Bocconi – al quale è dedicato il focus di questo numero – in cui la finanza non viene confinata solamente a un mondo di hardware e di software, ma deve guardare al mondo reale, al «mondo là fuori» che – nonostante le promesse del metaverso – ancora (r)esiste. Buona lettura! 

 

 

 

 

 

 

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Si veda T. Morton, Hyperobjects, Minneapolis, University of Minnesota Press, 2013. (tr. it., Iperoggetti, Roma, Nero Editions, 2018). Iperoggetti rappresenta uno dei testi cardine della cosiddetta Object Oriented Ontology od OOO, una tra le più influenti correnti filosofiche contemporanee.