E&M

2006/4

Lo fareste l’arbitro? Pensateci bene perché parte svantaggiato rispetto a un giudice togato che può aspettare anni prima di emettere una sola sentenza, suscettibile di essere cassata. L’arbitro invece è un condensato di giudizi istantanei senza possibilità di ricorsi. Se gli sfugge un rigore, quell’azione non tornerà mai più. Quando fischia a mio favore, fa soltanto il suo dovere; in caso contrario, compie un sopruso.

Agli inizi, il calcio cercò di farne a meno, ma dopo quattro anni, e si era nel 1866, appaiono due gentiluomini, fermi ai bordi del campo. Li consultano se sorge un dubbio sulle regole. In breve tempo gli addetti sono addirittura sei. I gentiluomini diventano arbitri, però “disarmati”. A loro si aggiungono due segnalinee e due giudici di porta, appollaiati su un seggiolino issato alle spalle di ogni portiere. Non solo non esisteva la rete, ma neppure la traversa. Risolti gli inconvenienti tecnici, restano i due segnalinee e all’unico arbitro in campo regalano finalmente il fischietto. Le sue decisioni diventano inappellabili. Siamo nel 1894. Ma perché questa professione continua a restare un calvario?

Per la semplice ragione che gli arbitri, da sempre, sono sulla graticola, e lo sport prediletto dai tifosi è soffiare sulla brace. La graticola però esiste. Devono decidere in un nanosecondo scegliendo un criterio omogeneo e costante nell’applicazione delle regole. Ogni arbitro ha la sua personalità: c’è chi è più permissivo sul gioco duro, chi è più permaloso sulle proteste. Però, certe entrate assassine meriterebbero subito il rosso. E servirebbe una nuova regola: che il colpevole di turno fosse squalificato sino a quando la sua vittima non ritorni a giocare. È un problema di nuovi regolamenti. Ma è auspicabile che evolvano.

A proposito di regolamenti. Ogni anno la FIFA si diverte a cambiare qualcosa. Si racconta di riunioni fiume a Coverciano per spiegare agli arbitri le nuove regole. Ma chi le illustrerà ai trenta milioni di tifosi? Un suggerimento simpatico sembra venire dal rugby. I tifosi sentiranno la spiegazione delle decisioni grazie all’auricolare collegato al microfono dell’arbitro. Perché non demandare questo compito al quarto uomo, che limita il suo repertorio a una lavagnetta luminosa?

C’è ancora un altro passo da compiere, e il basket ha fatto scuola. Fu la moviola, l’anno scorso, a consegnare lo scudetto alla squadra di Bologna, e proprio a Milano. In quello stesso periodo il malcapitato Rosetti di Torino, sulla cui onestà metterei la mano sul fuoco, arbitrando Lazio-Fiorentina non riuscì a vedere, perché coperto, che un giocatore laziale si era sostituito al portiere nel respingere con la mano un tiro diretto in porta. Neppure il segnalinee riuscì ad aiutarlo. Bastava interrompere la partita e rivedere l’episodio alla moviola. Non più di cinque secondi. Un decimo del tempo che fu necessario per calmare le proteste fiorentine e per chiedere un parere a un giocatore laziale, che non confessò la verità.

Quel laziale avrebbe anche giurato il contrario. Mi ricorda la storiella indiana di Nasruddin, che fu arrestato e condotto in tribunale con l’accusa di aver farcito le scaloppine di pollo che serviva nel suo ristorante con carne di cavallo. Prima di emettere la sentenza il giudice volle sapere in che proporzione mischiava la carne di cavallo con quella di pollo. Nasruddin rispose sotto giuramento: “Metà e metà Vostro Onore”. Dopo il processo un amico gli chiese che cosa intendesse dire con l’espressione “metà e metà”. Spiegò Nasruddin: “Un cavallo ogni pollo”.