E&M
1999/5
Indice
Editoriale
Area Tecnologia
APS: nuova frontiera per la gestione della produzione
L’avete sentito dire... Glossario degli acronimi della logistica
Fotogrammi
Area Organizzazione e Personale
Organizzare la conoscenza dentro l’impresa
Fornitori indipendenti di innovazione: i knowledge brokers
Knowledge management e knowledge workers? Grazie, li abbiamo già
Articoli
Qualità e customer satisfaction nei servizi bancari. Modelli e metodologie di misurazione
Cambia l’editoria libraria. Confini e ruoli da ridefinire nella rete del valore
Il mestiere del dirigere
Scarica articolo in PDFC’è, nel nostro paese, qualcosa di strano nel modo di affrontare la questione della formazione della classe dirigente: come minimo c’è una latitanza o una grave sottovalutazione, accompagnata o motivata da una incomprensione di cosa realmente significhi intraprendere un’attività e dirigere una qualsiasi unità organizzativa – un’impresa, un ospedale o un comune – e quindi prepararsi per svolgere tale funzione. Forse c’è anche una specie di rimozione del problema, a sfondo ideologico, come se l’affrontarlo comportasse una riprovevole operazione di discriminazione a favore di coloro che vengono preparati a un’attività di direzione, a scapito degli altri. La latitanza su questo tema è ancora più singolare se si considera che non solo per tutti i mestieri, ma anche per alcune attività che mestiere non sono, è previsto un iter formativo, spesso obbligatorio, composto di teoria e di pratica. Ci sono programmi per preparare alla professione gli elettricisti, gli idraulici, i medici, gli avvocati, chi guida il treno e chi deve pilotare l’aereo. Ma ci sono programmi anche per insegnare a guidare l’automobile, ad andare in barca o a giocare a tennis. Là dove l’esercizio di un’attività comporta rischi per chi la pratica o per terzi l’abilitazione al suo esercizio è soggetta non solo a un’attività formativa, ma anche a una verifica del grado di apprendimento e di destrezza nell’esercizio.
Altrettanto non accade per l’attività di direzione: per lo più si dà per scontato che a essa si pervenga per diritto di proprietà (l’esercizio imprenditoriale d’impresa propria), diretto o ereditato, oppure attraverso un semplice apprendistato sul campo, a gradini, senza necessità di una formazione strutturata. Di conseguenza da noi sono pochi i programmi di formazione manageriale, e sono ancora meno le scuole di management, intendendosi come tali non solo la mera presenza di un’attività formativa, ma un corpo stabile e organizzato di studiosi-docenti, dedito in forma sistematica e non sporadica, non solo alla formazione, ma anche alla ricerca sui problemi di gestione. Il vuoto di istituzioni simili nel nostro paese rispetto alla ricchezza in termini di numero e varietà di offerta che sì trova negli altri paesi sviluppati è il segno tangibile di una differenza che pesa sulle nostre possibilità di sviluppo. Mentre molti parlano e scrivono con disinvoltura del ruolo centrale delle competenze nell’assicurare successo alle imprese e benessere ai paesi, pochi segnalano che noi non investiamo nemmeno su quelle competenze – di management – che servono per organizzare la creazione e l’affinamento di tutte le altre competenze. Le carenze che si registrano sul fronte delle istituzioni di management si riflettono anche nell’editoria di settore, quella libraria e quella periodica. In quest’ultimo campo poche sono le riviste sopravvissute alla latitanza della domanda. A giudicare dai dati, chi si prepara a svolgere attività di direzione, non solo investe poco o nulla sulla propria formazione attraverso la partecipazione a programmi finalizzati a questo scopo, ma legge anche poco. Forse anche per colpa dell’offerta che fatica a trovare un equilibrio fra il rigore “scientifico” delle proprie proposte e la necessità di renderle leggibili da chi ha poco tempo e molte cose a cui pensare.
La reimpostazione, grafica ma anche editoriale, della nostra rivista, descritta dall’editore nella pagina precedente, risponde a una riflessione all’interno del comitato editoriale sui processi attraverso i quali gli imprenditori, i manager e coloro che si preparano a diventarlo lavorano sullo sviluppo delle proprie competenze gestionali. Riflette inoltre la proliferazione dei mezzi attraverso i quali le conoscenze nascono, si scambiano e si trasferiscono a coloro che le vogliono acquisire, con il rischio che i mezzi tradizionali come i libri e le riviste cartacee possano diventare obsoleti se non tengono conto delle potenzialità dei nuovi mezzi, della loro capacità di stabilire un rapporto interattivo, della loro superiorità nel trasmettere immagini, della loro potenziale complementarità con i mezzi cartacei per arricchire e approfondire il rapporto con il lettore.
La reimpostazione della rivista è parte di un continuo sforzo per andare incontro ai bisogni dei lettori alla luce delle loro nuove esigenze e delle incipienti nuove alternative per soddisfarle. Ma è, e vuole essere, anche un’occasione per riflettere ancora una volta – dopo le molte discussioni e i molti progetti degli anni settanta e ottanta – sia sulla sottovalutazione dell’importanza della formazione manageriale sia sulla debolezza del sistema di offerta.