E&M

2003/6

“Un secondo prima di morire mi converto e divento milanista. Così ce n’è uno in meno.” Il nerazzurro Beppino Prisco era un cabarettista capace di divertire tutto lo sport milanese. Perché a Milano il derby è una festa e non sono le sconfitte a modificare la mappa della città. Se così fosse, i tifosi dell’Inter sarebbero tutti dei pensionati. Ma anche il Milan doveva sparire dal calendario, visto che dal 1908 al 1951 non vinse nulla e nel giro di pochi anni è andato in serie B due volte. Milano è un crocevia e i nuovi arrivati fanno serenamente la loro scelta.

Capitò così anche ad Angelo, il capostipite della dinastia dei Moratti. Suo nonno, un contadino bergamasco, ebbe quattordici maschi e sette femmine. I figli li voleva tutti dottori e le figlie le destinò al convento. Il sedicesimo della serie, di nome Albino, fu il padre del futuro petroliere. Gli disegnò un futuro da farmacista, ma il ragazzo preferì emigrare in Francia per cercare fortuna. Alla prima bettola incontrata giocò a carte e perse tutto il suo peculio. Ritornato a casa, decise di fare il rappresentante di oli minerali. Un giorno gli capitò a tiro una raffineria malandata e la comperò. Nacque così l’impero dei Moratti. Ma a metterli sulla strada del calcio fu lady Erminia, la moglie di Angelo. Innamorata del gioco di Meazza, convinse il marito a comperare l’Internazionale. Nel 1955 servirono 125 milioni. Una pazzia. E poi otto anni senza vincere nulla: un vizio di famiglia.

Dei bergamaschi i Moratti hanno conservato un difetto: una pazienza senza limiti. Ma anche un pregio: sono generosi. Quando Angelo cedette la società a Fraizzoli, continuò a pagare il suo direttore generale disoccupato, Italo Allodi. Che un giorno, passando alla corte degli Agnelli, gli restituì il mensile dicendogli: “Grazie, da oggi mi paga la Juventus”. Dei due figli di Angelo, Gianmarco preferisce passare le domeniche a San Patrignano. Ma anche il fratello Massimo non è da meno. Pensa di essere il presidente dell’Inter, ma in realtà si dedica alla beneficenza. Ha comperato quasi cento giocatori, ma privilegia quelli rotti. Li fa curare a sue spese e, quando sono guariti, li rimette sul mercato. Gli è capitato con Kanu e poi con Ronaldo. Adesso si ritrova in casa Fadiga. Chiaro che corre voce: Gianmarco si interessa ai tossicodipendenti, Massimo ai calciatori grandi lesionati.

Ma in quanto a beneficenza i Moratti sono in buona compagnia. Da questo punto di vista la storia interista comincia con Fulvio Bernardini, che sarà anche allenatore della nazionale italiana di calcio. Diplomato ragioniere, lavora come impiegato alla Banca di Credito a Roma. Nell’estate del 1926 l’Inter lo compera dalla Lazio. Giunto a Milano, prende la palla al balzo e si iscrive alla Bocconi, dove consegue la laurea in Economia e Commercio. Supera ventidue esami in tre sessioni. Scriverà nelle sue memorie: “All’Università Bocconi trovai facile strada per il particolare, molto importante, di giocare in maglia nerazzurra”.

Ogni tanto mi domando come mai mia moglie sia diventata interista. Sarà stata l’aria della sua Università, sempre memore di Fulvio Bernardini, a ispirarle addirittura la fondazione di un Interclub Bocconi? Sarà stata la sua vocazione di crocerossina, così in sintonia con le corsie d’ospedale che hanno reso l’Inter famosa nel mondo? Apprendo solo in questi giorni che da bambina – lei era l’ultima della famiglia, uno scricciolo – la sorella Lidia, fanatica nerazzurra, minacciava di picchiarla se non gridava forza Inter. E la piccola, per non prenderle, stava al gioco. Da antico milanista penso che sarebbe stato meglio se si fosse ribellata e le avesse prese. Perché è così che persi mia moglie.