E&M

2012/3

La lingua dello sport è il francese. I ciclisti lo imparano durante il Tour de France. Le grandi federazioni sportive internazionali, che hanno sede in Svizzera, non assumono chi non parla francese. L’inglese si è fatto largo quando si affiliarono decine di nuovi Stati e lo sport, diventato globale, aveva bisogno di una lingua grimaldello. Adesso, fa capolino il russo. A parte i magnati presuntuosi che invadono il mondo, molti personaggi importanti dello sport sono andati a lavorare in Russia. Nessuno affronta l’esotico per pura passione. Un missionario mi confidava di amare i grandi spazi africani per vivere lontano dai superiori. Anche lui con un obiettivo tangibile.

Ettore Messina, quando scelse Mosca, mi disse: “Se a Treviso prendo uno, a Mosca offrono cinque. Tre anni di esilio e poi vado in pensione”. Rinnovò per un altro anno. Vinse tutto. Dopo un soggiorno a Madrid eccolo in USA con i Lakers. Una ricca pensione non vale l’ambizione di essere il più ricco del cimitero. L’Università di Bologna gli conferì una laurea honoris causa in Scienze Motorie. Dico Bologna, non Urbino, che ha legittimato Valentino a correre in moto con un pacchiano Doctor sul sedere. Terza media, poverino, non ha intuito che stava meglio sul casco. Altro stile quello di Ettore Messina: lui è laureato in Economia e Commercio all’Università di Venezia.

Luciano Spalletti è andato ad allenare il San Pietroburgo. Ha vinto lo scudetto, di solito appannaggio delle squadre di Mosca, e ha portato la sua squadra agli ottavi di Champions. Riveste anche funzioni di manager e gestisce il mercato in prima persona. Più deludente la storia di Eto’o. Ingolosito dai soldi è finito all’Anzi, una squadra senza visibilità internazionale, ubicata in una cittadina del Mar Caspio, Makhachkala, a 1600 chilometri da Mosca. Uno stadio in legno e una città islamica e turbolenta consigliano tutta la squadra a vivere e ad allenarsi a Mosca, rientrando in sede solo per giocare le partire interne. Eto’o non sembra contento ma, per un contratto triennale di venti milioni di euro netti all’anno, sarebbe andato anche in Siberia.

L’ultimo arrivato a Mosca è Roberto Rosetti. Definito il miglior arbitro al mondo cinque anni fa, scivola su una buccia di banana ai mondiali del Sudafrica, convalidando una rete in netto fuorigioco a favore dell’Argentina. Sarà la sua ultima partita come arbitro. Adesso la Russia gli ha dato carta bianca per riorganizzare la locale classe arbitrale. Si è trasferito con moglie e figlie. Definisce l’esperienza come affascinante, eufemismo di traumatico.

I russi si stanno preparando ai mondiali di calcio che ospiteranno nel 2018. Sinora hanno vinto un solo europeo, nel 1960, e un quarto posto a Londra nel 1966, quando erano ancora l’URSS, che adesso è esplosa in quindici Federazioni. Da quando è solo “Russia”, per tre volte non si è qualificata ai mondiali e le altre due è uscita al primo turno. I soldi per migliorare non mancano ma si illudono di vincere. Toccherà al Brasile o all’Italia. Dal 1958, ogni dodici anni, se non vince il Brasile (58-70-94), vince l’Italia (82-06) Il 2018, dodici anni dopo Germania 2006, la sorte sorriderà a noi o ai brasiliani. Dice la cabala.