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2010/6
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Un film campione di incassi – Benvenuti al Sud , di Luca Miniero – offre più di uno spunto per ragionare sulla forza dello stereotipo e del pregiudizio nei nostri processi di relazione con contesti culturali diversi da quello da cui proveniamo.
Benvenuti al Sud
Regia: Luca Miniero
Interpreti: Claudio Bisio, Alessandro Siani, Angela Finocchiaro, Valentina Lodovini
Italia, 2010
Si chiama Colombo e fa il direttore dell’Ufficio Postale di Usmate, nel cuore “nordico” della Brianza. Sposato con un figlio, ambisce a far carriera. Ma a Poste Italiane non è facile, il massimo a cui puoi aspirare è un trasferimento in una sede più prestigiosa. E lui, il Colombo (Claudio Bisio), vorrebbe essere trasferito a Milano. Anche per far contenta sua moglie, la sciura Silvia (Angela Finocchiaro), che ha ansie e smanie di promozione sociale da parvenue. Ma Poste Italiane, si sa, ha una struttura rigida e burocratica, le decisioni sono lente, il merito conta poco o nulla. Così, stanco di aspettare un trasferimento che non arriva, il Colombo decide di risolvere la questione all’italiana. Con un trucco. Un trucchetto. Un imbroglio. Piccolo piccolo, quasi innocente, ma efficace. Si spaccia per invalido in modo da scalare velocemente le graduatorie di aspiranti direttori di sede a Milano. Ma non ci si improvvisa su una sedia a rotelle da un giorno all’altro: il Colombo si fa malamente scoprire e per punizione – le punizioni si decidono velocemente anche in una struttura lenta e pachidermica come Poste Italiane – viene trasferito al Sud, nel borgo cilentano di Castellabbate. Per il Colombo e per la sciura Silvia è quasi la fine del mondo: intrisi di pregiudizi nordici nei confronti del Sud e dei “terroni”, i coniugi protagonisti di Benvenuti al Sud – remake italico del campione di incassi francese Giù al Nord – si trovano a vivere i conflitti e i contrasti di ogni situazione “cross-culturale”, e scontano sulla propria pelle la tenuta e la forza condizionante del pregiudizio.
Diretto con mano frizzante e leggera da Luca Miniero (ma scritto in collaborazione con uno degli sceneggiatori di Gomorra, Massimo Gaudioso), Benvenuti al Sud è stato accolto con un clamoroso successo al botteghino, a dimostrazione di come tocchi nervi e temi molto vicini alla sensibilità dell’opinione pubblica; ma offre anche numerosi spunti per una riflessione non superficiale sul ruolo del pregiudizio nei processi relazionali e sulle forme della cross-culturalità nelle organizzazioni contemporanee. Ne discutono, come di consueto, Gianni Canova e Severino Salvemini.
G.C. Fatte le debite differenze, Colombo che va al Sud mi fa venire in mente il manager che va in Cina portandosi dietro il suo bel carrello pieno di stereotipi sul popolo e sul paese in cui si accinge a operare. Forse si può vedere il film di Luca Miniero anche come racconto ironico e sarcastico proprio sul ruolo e la funzione dello stereotipo nei processi di internazionalizzazione…
S.S. Certo. Colombo e sua moglie pensano del Sud ciò che tanti manager incapaci di pensiero cross-culturale pensano dei vari paesi del mondo. Andare a lavorare in un nuovo e diverso contesto culturale richiede infatti una spiccata sensibilità cross-culturale, che non è detto faccia parte a priori delle competenze e delle abilità di un manager anche di successo.
G.C. Saper pensare in modo cross-culturale vuol dire saper uscire dalle etichette troppo pigre dal punto di vista cognitivo, vuol dire cercare di vedere oltre le leggende che spesso si raccontano sui popoli, quelle per cui i giapponesi sanno lavorare solo in gruppo, gli americani hanno relazioni molto dirette e outspoken con gli interlocutori, gli scandinavi sono un popolo formale, gli arabi sono orientati solo a tempi lunghi e secolari, e così via.
S.S. Da questo punto di vista il nostro dirigente delle Poste Italiane Alberto Colombo (estrazione tutto gorgonzola, amante della nebbia sotto la Madunina, decisionista padano in giacca e cravatta) parte dall’ipotesi che lungo lo stivale l’Italia cambi anche nel modo di lavorare (il Nord efficientista e transazionale non s’intende con il Sud scansafatiche e parassitario), nell’intendere la relazione (il Nord più asettico e impersonale non s’intende con un Sud tuca-tuca e caciarone), nell’intendere la qualità della vita (il Nord si realizza intrinsecamente nel contenuto del lavoro mentre il Sud lavora per poter migliorare la qualità della vita extralavorativa).
G.C. Non è un caso che all’inizio del film il Colombo voglia modificare gli orari di apertura dell’Ufficio adeguandoli a quelli di una qualsiasi sede del Nord, senza capire che gli utenti locali hanno altre abitudini e altre esigenze…
S.S. Poi però c’è l’adattamento: il polentone amante della vita stressata tutta impegni si rende conto che i terroni sono apprezzabili nella loro filosofia sociale e ci si adatta. Da amante del gorgonzola qual era, riesce ad apprezzare il gusto e il sapore della mozzarella di bufala. Qui forse, secondo me, il film lancia un messaggio non proprio esaltante: sarebbe stato bello – anche se meno divertente – che il protagonista dimostrasse la sua flessibilità, adattandosi al Sud pur mantenendo i suoi valori “nordisti”, perché è questo che sanno fare i bravi manager...
G.C. Fuor di metafora, in azienda è richiesta una consapevolezza che il mondo è diverso (la lingua, le etichette, le cerimonie, le ritualità, le liturgie, il cibo, i festeggiamenti, il look ecc.), perché le occasioni di adattamento sono ormai molteplici e quindi non è più immaginabile che una cultura geografica pretenda di dominare su un’altra e di replicare su un altro territorio il format culturale originario.
S.S. Vero. Vorrei però ricordare che i manager italiani sono i più ricercati nelle situazioni di meticciato geografico, perché sono quelli che riescono a cogliere meglio le differenze, senza sottolineare in modo dispregiativo la cultura altrui. I manager italiani, infatti, sono diffusissimi alla testa delle joint venture internazionali, dove occorre che le due o più sottoculture si integrino senza annullare le reciproche identità.
G.C. A me Benvenuti al Sud, nella sua traccia cross-culturale, ricorda l’antesignano Totò, Peppino… e la malafemmina (1956), quando sbarcano a Milano come in una terra straniera.
S.S. Sì, ma la discussione sulle lingue a tavola tra Bisio, Siani e gli altri ricorda, mutatis mutandis, un altro importante film cross-culturale che è Balla coi lupi, quando il capo indiano si avvicina con diffidenza a Kevin Kostner e provano a lanciarsi segnali reciproci in linguaggi tra loro sconosciuti. La lingua è infatti il primo costrutto di cemento cross-culturale.
G.C. Un’ultima cosa. Un film così – paradossalmente – va preso sul serio. È molto più che una favola. Certo, quando vedi che Bisio arriva a Castellabbate sotto una pioggia scrosciante indossando un giubbotto antiproiettile pensi che sia una trovata comica degna di una gag di Totò. Poi però vieni a sapere che proprio mentre giravano il film, a pochi chilometri di distanza, in un altro borgo del Cilento ammazzavano il sindaco Vassallo. E allora ti viene da pensare che gli stereotipi non vanno solo svuotati ironicamente, ma anche capiti e aggrediti dall’interno, per quel tanto di realtà che portano sempre inevitabilmente con sé.