E&M

2017/2

Gianluca Meloni

Tre imperativi: diagnosi, simulazione e verifica

Su queste capacità è importante ridisegnare le prassi previsionali a livello aziendale

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Pianificare è una delle fasi più critiche della gestione d’impresa. La pianificazione è, infatti, uno dei momenti chiave per la definizione delle proprie scelte (siano queste di natura strategica o tattica), per la verifica delle condizioni di sostenibilità di dette scelte, per l’assegnazione degli obiettivi conseguenti. La capacità di un sistematico confronto fra quanto pianificato e quanto effettivamente realizzato è inoltre il vero momento di apprendimento, grazie al quale poter migliorare nel tempo l’agire aziendale. La «bontà» di questo momento è, tuttavia, fortemente condizionata dalla qualità delle previsioni future; previsioni non accurate o sufficientemente argomentate rendono poco utile la fase di pianificazione (con il rischio di ricondurla a un mero esercizio di stile) e del tutto fuorviante il momento del confronto fra risultati previsti e risultati effettivi. Passa pertanto da buone previsioni la capacità di orientare efficacemente i comportamenti manageriali e di innescare utili percorsi di apprendimento. In questa prospettiva saper fare previsioni di qualità è una necessità.

A questa necessità si contrappone, tuttavia, la crescente difficoltà del prevedere. Contesti volatili e continue discontinuità strategiche rendono la previsione un esercizio complesso. Ciò induce alcuni a considerare il momento predittivo nella migliore delle ipotesi come un male necessario e, nella peggiore, come un’attività evitabile. In realtà le finalità sottostanti ai processi previsionali non sono sostituibili con una gestione «a vista»: una gestione legata solo alle contingenze del momento potrebbe facilitare fenomeni di schizofrenia strategico-organizzativa, che difficilmente riescono a garantire la sopravvivenza nel tempo dell’azienda.

Da qui la necessità di migliorare (e non eliminare) i processi di previsione, con il fine non solo (e forse non tanto) di raggiungere un maggiore grado di attendibilità (posto che nei casi di elevata volatilità l’attendibilità è bassa per definizione), quanto piuttosto di migliorare il processo di apprendimento sinteticamente descritto sopra. Tale miglioramento richiede da un lato un profondo ripensamento dei processi previsionali (e in particolare del processo di budgeting), dall’altro l’utilizzo di metodologie e di tecniche in grado di rendere meno opinabili le previsioni future. Quali sono i tratti distintivi di questo percorso di miglioramento?

L’analisi della letteratura e delle esperienze di eccellenza aziendale ci segnala come siano tre gli elementi sui quali lavorare per migliorare la qualità delle previsioni: la capacità di diagnosi, la capacità di simulazione, la capacità di verifica.

La capacità di diagnosi implica la comprensione analitica delle determinanti sottostanti i risultati aziendali, siano queste variabili di contesto (esogene), o al contrario variabili riconducibili alle caratteristiche strategico-organizzative dell’azienda (endogene). La tecnologia rende questa capacità accessibile a bassi costi ed è grazie a essa che, oggi più di ieri, è possibile identificare i driver di risultato maggiormente significativi, misurarne la relazione e il peso, cogliere trend e segnali deboli che potrebbero avere un rilevante impatto sui risultati futuri dell’azienda.

L’identificazione delle determinanti di risultato abilita la capacità di simulazione dei risultati futuri. Una volta compresi i driver più significativi è possibile prevedere come la variazione attesa di detti driver possa condizionare gli equilibri dell’impresa stessa. Partendo dalle previsioni attese delle condizioni di contesto e dalle scelte strategiche previste per il futuro, e misurando analiticamente la relazione fra tali componenti e le condizioni di sostenibilità aziendali, è possibile simulare con buoni gradi di attendibilità i risultati potenziali. Ciò implica, tuttavia, un forte legame fra i processi di previsione e la formulazione della strategia aziendale, formulazione che si deve obbligatoriamente tradurre in obiettivi formali e misurabili per i principali driver strategici di risultato. Anche da questo punto di vista la tecnologia può essere di grande supporto, abilitando approcci algoritmici di stima che facilitano, per quanto non sempre in via esclusiva, le previsioni.

Infine, la presenza di previsioni nate da un approccio analitico rafforza significativamente anche la capacità di verifica, intesa come il percorso di apprendimento (citato all’inizio) tipicamente riconducibile al momento del confronto fra risultati previsti e risultati effettivi. Il saper ricondurre ciascun risultato a specifiche determinanti consente di comprendere in che proporzione il disallineamento è figlio di uno scostamento fra determinanti stimate e determinanti effettive o, al contrario, quanto lo stesso sia da attribuire a variabili inizialmente non esplicitamente considerate. La riconosciuta rilevanza di dette variabili consente di attivare un circuito di miglioramento dei propri modelli predittivi che nel tempo possono accrescere il proprio livello di affidabilità.

Saper ridisegnare le proprie prassi previsionali attorno a queste tre capacità potrebbe dare maggiore solidità alle previsioni, come alcune esperienze citate negli articoli successivi sembrano dimostrare. Lo sforzo di ridisegno non deve essere, tuttavia, inteso come un’attività occasionale, quanto piuttosto come un percorso di miglioramento continuo connesso sia alla necessità di un periodico affinamento delle tecniche di diagnosi, simulazione e verifica, sia all’inevitabile processo di cambiamento aziendale che rende la relazione determinanti-risultati una relazione dinamica e in continua evoluzione. Saper costruire sistemi di simulazione dinamica è pertanto la vera sfida in tema di previsione per i prossimi anni.