E&M

2013/3

Gianni Canova Severino Salvemini

Viva la libertà. Lo choc del cambiamento

Un film profetico sull’Italia di oggi e sulla impasse in cui sembra essersi invischiata. Ma anche un lucido apologo che aiuta a capire perché tanto spesso le organizzazioni – anche non volendolo – sono di fatto refrattarie al cambiamento e all’innovazione.

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Viva la libertà

Regia: Roberto Andò

Interpreti: Toni Servillo, Valerio Mastandrea

Italia, 2013

Una volta tanto, conviene partire dalla locandina: su sfondo rosso, appare in primo piano il medesimo volto, di profilo. Quasi un Giano bifronte: il volto che guarda a destra è leggermente reclinato verso il basso, indossa gli occhiali e ha un’aria assorta, stanca e perplessa, mentre il volto che guarda a sinistra, senza occhiali, ha il capo ritto e un’espressione di allegra euforia. Sembrerebbe lo stesso personaggio, ritratto in due momenti diversi, o in due situazioni emotive differenti. Invece sono due personaggi diversi due gemelli che però a un certo punto sono chiamati a confondersi e a scambiarsi i ruoli. Perché Viva la libertà di Roberto Andò una delle più belle sorprese della stagione cinematografica è proprio un film sul più classico degli espedienti narrativi: lo scambio di persona. Nella finzione del film, infatti, il gemello “perplesso” è il leader politico dell’opposizione di sinistra: contestato all’interno del suo stesso partito, in caduta libera nei sondaggi, decide da un momento all’altro di sparire. Senza dire nulla a nessuno pianta tutto e se ne va in Francia, dove chiede ospitalità a una sua vecchia fiamma di gioventù, che ora lavora nel cinema e vive con un celebre regista di origini orientali. In Italia ovviamente la sua scomparsa getta il partito nel panico e per cercare di tenere la situazione sotto controllo il segretario personale del leader (interpretato da Valerio Mastandrea) pensa bene di dissimulare l’accaduto chiedendo al gemello dello scomparso di prendere il suo posto. I due sono fisicamente identici (sono interpretati entrambi da un eccezionale Toni Servillo), ma caratterialmente opposti: tanto il politico è calcolatore, freddo, razionale, quanto il gemello professore di filosofia, con un ricovero in clinica psichiatrica alle spalle è invece esuberante, allegro e sorridente. “Io sono l’apocalisse!”, dice a chi lo ascolta in uno dei suoi discorsi. I dirigenti del partito ignari della sostituzione – non capiscono, borbottano, mugugnano. Ma lui si diverte. Rompe il protocollo. Mette passione in quello che dice e in quello che fa. Dove prima c’era solo il rituale ripetitivo di un copione politico stanco e snervato, ora con lui riprende a scorrere la vita. Tanto che i sondaggi da un certo momento ricominciano a salire, la stampa diventa più benevola e i militanti scoprono un leader che non sapevano di avere.

Al di là della profetica metafora sulla situazione politica dell’Italia contemporanea (il film è uscito in sala una decina di giorni prima delle elezioni politiche del febbraio 2013), Viva la libertà offre anche una lucida diagnosi di come si articolano i processi innovativi nelle organizzazioni complesse della società contemporanea. Ne discutono Severino Salvemini e Gianni Canova.

S.S. Il film che Roberto Andò ha tratto dal suo romanzo Il trono vuoto mi sembra una perfetta esemplificazione di ciò che gli studiosi di management chiamano path depending: la cultura di un’organizzazione (di un’impresa così come di un movimento politico) è prigioniera del passato, del proprio sentiero di esperienza. Ogni volontà di cambiamento è pertanto vincolata da ciò che è stato fatto prima, dalle tradizioni, dall’identità che l’organizzazione si è data nel tempo. E ciò è particolarmente visibile in un collettivo (come il partito del film) dove l’appartenenza ideologica ha rafforzato (e congelato…) le liturgie, le cerimonie, il linguaggio, lo stile di leadership, il modo di gestire le relazioni.

G.C. Anche a me il film ha colpito molto per la lucidità con cui mette in scena prima di tutto la difficoltà del cambiamento nel partito, nell’organizzazione. Ogni tentativo di scarto rispetto al passato non riesce a divincolarsi dalla zavorra della storia recente, dalle abitudini, dai riti e dai ruoli consolidati.

S.S. È un classico, nella storia delle istituzioni: quando provano a cambiare non riescono a fare che pochi passetti in avanti, con il rischio di non affrontare mai in modo radicale le innovazioni e con il pericolo che il vecchio si rimangi progressivamente le minime trasformazioni apportate al sistema. Il tutto quindi rimane pressoché fermo, quando addirittura non smotta piano piano all’indietro. Perché il resto del mondo, nel frattempo, avanza…

G.C. e il film ci dice invece che la cultura del cambiamento richiede choc e devianza, per evitare che il conformismo abbia il sopravvento.

S.S. Certo. E devianza vuol dire uscire dagli schemi, implica un nuovo linguaggio, un pensiero non paradigmatico. Ma dove si trova tutto ciò? Quasi sempre in personaggi non canonici, fuori dalla norma, spesso emarginati dalla nomenclatura. Ci vuole il fool shakespeariano: il folle che scardina le regole e le rendite di posizione, che attacca i luoghi comuni e mette alla berlina i privilegi. Giovanni Ernani il gemello “pazzo” del film mi sembra proprio l’incarnazione perfetta del fool nel mondo contemporaneo. Per certi versi a me ricorda Chance il giardiniere, il personaggio di Peter Sellers in Oltre il giardino.

G.C. In effetti, mentre il politico lancia messaggi vaghi e consunti, aridi, tendenzialmente cinici, il gemello “pazzo” è portatore di un candore che sfiora la lucida follia: è sorridente, passionale, gentile, forse anche un po’ naïf. In realtà, è capace di costruire un intero discorso su una poesia di Brecht. Incoraggia gli italiani a ricominciare da se stessi. Mentre Chance era un idiot savant, Giovanni Ernani è un uomo colto che non ha perso la capacità di stupirsi e di appassionarsi…

S.S. E tuttavia, affinché la sua azione possa dispiegarsi appieno è fondamentale che qualcuno aiuti lo “spiazzamento” di cui lui è portatore. Nel film di Andò questo ruolo è impersonato da Valerio Mastandrea, l’assistente del leader sparito: consapevole di un drammatico vuoto di leadership, lo riempie con un “pieno” singolare. Egli si prende il rischio dell’idea imprevedibile, della scossa, scommettendo su una partita che, nel caso in cui fosse perdente, lo eliminerebbe dal tavolo da gioco. È un ruolo cruciale nelle organizzazioni quello di colui che innesta il breakthrough. È un po’ il caso di Charlie Price nella fabbrica di Kinky Boots quando inserisce in azienda una drag queen come Lola, personalità ad altissimo rischio. Del resto, se è nella follia che va a finire il senno quando lo si perde, allora è che bisogna andarselo a cercare…

G.C. In fondo, Viva la libertà è un film sul disagio del potere. O sul disagio degli uomini di potere. Il suo protagonista che decide di scomparire mi sembra molto vicino al pontefice che scappa dal Vaticano in Habemus Papam di Nanni Moretti, o alla Thatcher di Iron Lady, o a Re Giorgio VI d’Inghilterra del film Il discorso del Re: personaggi di potere che diventano tanto più interessanti quanto più risultano scettici nei confronti di quel medesimo potere di cui sono essi stessi detentori.