E&M

1999/2

Claudio Dematté

Un progetto per affrontare i tre grandi punti deboli dell'economia italiana nell'era post-euro

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Premessa

Dopo essere stati per anni catalizzati dall’obiettivo – che sembrava irraggiungibile – di entrare nel nucleo dei paesi che avrebbero dato vita alla moneta unica europea, oggi ci troviamo appagati e giustamente inorgogliti per il risultato raggiunto. Ma ci ritroviamo anche affaticati per lo sforzo compiuto, con una disoccupazione elevata, con una pesante imposizione fiscale e, quel che è peggio, disorientati e divisi su ciò che rimane da fare per cogliere i vantaggi del nuovo teatro competitivo ed attutirne i rischi.

Avvertiamo che il venire meno della leva del cambio come arma competitiva apre una stagione nuova dagli esiti incerti, pur sentendo ci rassicurati dal fatto di avere riportato sotto controllo l’inflazione e ridotto i tassi di interesse. Ci rendiamo anche conto che la trasparenza e la rapida confrontabilità dei prezzi e dei costi su scala europea, a mano a mano che essi saranno espressi nella stessa unità di misura, solleciterà valutazioni di convenienza comparata, accelererà la riorganizzazione produttiva e provocherà chiusure di imprese, ricollocazioni di impianti, acquisizioni e fusioni. Ci conforta la tenuta della bilancia commerciale, ma avvertiamo il rischio di colonizzazione e la pressione crescente sia dei produttori a basso costo, sia di quelli che invadono i nostri mercati con prodotti frutto dei grandi investimenti in ricerca che da noi non trovano spazio e terreno di cultura. Ci rendiamo conto che competere in un mercato unico a moneta unica di 250 milioni di consumatori non è la stessa cosa del coltivare l’orto di casa. Ed avvertiamo – senza comprendere tino in fondo le conseguenze – che d’ora in poi a dettare le regole di organizzazione del sistema economico sa l’anno sempre di più le istituzioni europee, secondo modelli che mettono in scacco interi nostri comparti produttivi.

Ma al di là di queste confuse ed incerte percezioni, sia delle opportunità che dei rischi, ben poco è stato messo in campo per affrontare la nuova fase: non ci sono idee forti, fossero anche diverse e concorrenti fra di loro; non c’è dibattito; non c’è – a maggior ragione – un progetto, ma nemmeno una convergenza come quella saldatasi in passato, sia pure tra molti contrasti, attorno agli obiettivi scarni ed impopolari. ma sfidanti di Maastricht. C’è – questo è vero – una forte tensione per creare occupazione, specialmente nel Mezzogiorno, ma questa doverosa priorità è vissuta come se fosse un problema a sé, risolvibile grazie ad uno sforzo di investimento straordinario, a prescindere dal come ci posizioneremo nel nuovo teatro competitivo europeo. Per affrontare questo che è indubbiamente il problema principale, così come altre questioni cruciali del nostro futuro, occorre un forte quadro di riferimento che consenta di comprendere i nostri punti di forza e quelli di debolezza attraverso il confronto con la situazione degli altri paesi europei. Volendo limitare questo confronto agli elementi essenziali del sistema economico propongo di puntare l’attenzione a tre grandi comparti del sistema economico:

1.     la produzione di beni e servizi “tradable” (cioè quelli che sono oggetto di scambi internazionali);

2.     la produzione di servizi sottratti in tutto o in parte alla concorrenza internazionale (come i servizi pubblici o semi-pubblici);

3.     il sistema produttivo del Mezzogiorno.

Un’analisi attenta del nostro sistema produttivo lungo questi tre assi segnala i punti sui quali si basa la nostra forza competitiva. ma anche quelli che indeboliscono la nostra posizione e la mettono a repentaglio nell’era post-euro.

Per il resto dell'articolo si veda il pdf allegato.