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2005/1

Silvia Bagdadli

Economia dei musei e retorica del management

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Economia dei musei e retorica del management

Autore: Luca Zan

Editore: Electa per le Belle Arti, 2003

Se c’è qualcosa da “maneggiare” con cura, questa è senza dubbio l’arte, e sul “discorso del maneggio” l’autore imposta un interessante lavoro che vuole fermare l’attenzione del lettore sull’importanza di un corretto – e non retorico – utilizzo del management in campo culturale.

Se ne sentiva il bisogno. Finiti gli anni pionieristici in cui i primi studiosi italiani esploravano il tema dell’economia e del management della cultura e iniziavano le prime ricerche sul campo, trascorsi gli anni dell’entusiasmo efficientista radicato nel profondo cambiamento che ha investito l’intero settore pubblico, retrospettivamente osserviamo negli ormai molti studi di settore, anche italiani, un abuso di managerialità, talvolta un non corretto uso della logica manageriale, spesso un’eccessiva semplicità nell’impostare il discorso economico, che di semplicità ha bisogno, ma coniugata con profondità e intelligenza. E sulla retorica del management, o management come retorica, si snoda il lavoro dell’autore, con una felice combinazione di capacità di rappresentazione organica dei temi teorici e visione empirica delle realtà. Sulla realtà museale, italiana ed estera, si snodano i capitoli del libro, passando dal British Museum a Pompei, alle fondazioni italiane (o ai tentativi di trasformazione in fondazione) sino ai musei civici veneziani. In ciascuno dei capitoli si analizzano i cambiamenti proposti o avvenuti, evidenziando gli eccessi retorici, da un lato, e i cambiamenti sostanziali, dall’altro. I casi presentati sono il frutto di un’analisi attenta, corredata da dati puntuali che aiutano a comprendere il settore e lo sviluppo del tema di fondo: quando il management diventa retorica fine a se stessa e per ciò stesso dannosa alla cultura e il perché di alcuni fallimenti gestionali ispirati, appunto, alla retorica manageriale. Perché non si può dimenticare che efficienza ed efficacia, come sottolinea l’autore, non vanno necessariamente nella stessa direzione nel settore culturale, perché privatizzazione e de-statizzazione sono due cose molto diverse, perché l’autonomia che non incide sul personale è un mostro inutile, perché la trasformazione in fondazione può essere più costosa della gestione diretta ma non per questo meno efficace. Andando con ordine, il primo capitolo chiarisce alcuni temi di fondo del management culturale: il difficile ma opportuno dialogo fra umanisti ed economisti; il tema dell’efficacia e dell’efficienza; la necessità di concentrarsi sulla gestione corrente nei piani di gestione prospettici; la strutturale presenza di un margine negativo; non ultima, la retorica del management, vacua e mal posta, in molti casi. Nel secondo capitolo si presenta l’interessante caso di cambiamento organizzativo del British Museum, originato dal Rapporto Edwards fondato, a detta dell’autore, che ne fa un’accorta analisi, sulla retorica manageriale e non sulla sostanza dei problemi; fallito nella sua implementazione, a tutto beneficio della managerialità effettiva del museo. Nel terzo capitolo ci si interroga sul perché del fallimento dell’esperimento di autonomia di Pompei, pur fra i molti aspetti positivi. Finalmente si stigmatizza l’inutilità di un’autonomia deprivata della possibilità di incidere sulle risorse umane che inevitabilmente si rivelano il freno a qualsiasi forma di cambiamento sostanziale e si evidenzia l’importanza del controllo di gestione; tema, quest’ultimo, presente in realtà in tutti i casi esaminati. Nel quarto capitolo si tocca uno dei temi chiave del settore museale, almeno degli anni più recenti, ovvero il processo di trasformazione in fondazione; se ne mettono in luce gli aspetti più critici e l’importanza per il contesto italiano. L’autore si sbilancia nel sostenere che un certo tipo di fondazione – quella di gestione – sembrerebbe la più opportuna per il contesto italiano, forse peccando anch’egli di un certo assolutismo che ha caratterizzato la diffusione di un’altra forma di fondazione in un processo che potremmo definire di cambiamento isomorfico. Infine, l’ultimo capitolo, il quinto, presenta un interessante caso di gestione “manageriale” del sistema dei musei civici veneziani che mostra la strada di un processo di cambiamento che potrebbe essere esteso a molti dei sistemi museali civici, anche se quello veneziano è caratterizzato dall’unicità di un margine positivo dovuto alla notorietà, da un lato, e ai bassi costi di gestione di Palazzo Ducale, dall’altro. Nel complesso, un libro intelligente, puntuale, guidato da un preciso intento teorico: sgomberare il campo da semplicistici adattamenti della disciplina economica al settore culturale e sensibilizzare gli studiosi verso un uso attento e basato sulla specifica realtà. Senza retorica, appunto, ma attraverso la presentazione di casi concreti ed emblematici. Non si vuole nascondere un possibile limite del volume: per addetti ai lavori, in tutti i sensi; comprensibile ai più, si ha però la sensazione che per cogliere appieno le potenzialità del libro bisognerebbe essere esperti del settore e anche di management. Per tutti, comunque, un bagno nella realtà e complessità del settore.