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2012/5

Solo quattordici vette al mondo superano gli ottomila metri. Si addensano tutte in uno spazio molto ristretto, nell’Asia centro-meridionale. Gli alpinisti le chiamano “la zona della morte”: freddo intenso, vento forte, estrema rarefazione dell’aria e difficoltà a smaltire la fatica.

Si cominciò con l’acquisire il privilegio di aver raggiunto per la prima volta una di queste vette, a partire dall’Everest, la cima più alta, ma non la più difficile. Fu scalata per la prima volta nel 1953 da due norvegesi. La seconda vetta per altezza, il famoso K2, fu raggiunta per la prima volta da due italiani, Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.

Esaurite nel 1964 tutte le primizie, nasce un secondo tipo di sfida: scalare tutte le quattordici “ottomila”. L’impresa riuscì per la prima volta a un italiano, Reinhold Messner, che la completò in sedici anni nel 1986, all’età di 42 anni. Adottò una tecnica severissima, detta “stile alpino”: scalata senza portatori, senza bombole d’ossigeno supplementari e con un equipaggiamento tecnicamente leggero. Meglio se in solitaria.

La prima donna che è riuscita nell’impresa è stata la spagnola Edurne Pasaban che ha iniziato il 23 maggio 2001 con l’Everest e ha finito il 17 maggio 2010 con lo Shisha Pangma. Proviene da una famiglia di imprenditori, è laureata in ingegneria industriale e ha addirittura conseguito un MBA, accontentando la famiglia. Poi la montagna ha avuto il sopravvento. È rimasta fedele allo stile alpino ma ha usato ossigeno supplementare nella discesa dall’Everest e in un’altra ascensione. Questo dettaglio, non marginale, ha permesso a una tedesca di stabilire a suo modo un record, scalando per prima tutte le vette senza ossigeno supplementare. Si tratta di Gerlinde Kaltenbrunner che è stata anche la seconda donna a completare le quattordici scalate. Ha concluso l’impresa nel 2011 con il K2.

Un’ombra vaga sul record della spagnola e si tratta di una coreana, Miss Go. Si muoveva con centinaia di persone e varie televisioni. Recintava gli spazi liberi per impiantare i suoi campus. Ma una scalata non le venne riconosciuta perché non era riuscita a spiegare come si configurava la vetta. Avrebbe finito le quattordici scalate, a suo dire, venti giorni prima della spagnola Pasaban.

I risultati raggiunti chiamano nuovi traguardi, come nel tennis e nell’automobilismo. Lo stesso succede nell’alpinismo, dove esistono però infinite varianti. Per esempio, il coreano Park Young Seok, pur essendo il nono nella serie degli scalatori dei magici ottomila, ha il record di aver compiuto l’impresa in otto anni e due mesi. Non soddisfatto, ha cercato nuove vie per scalare queste magiche vette. L’anno scorso affrontò il terribile Annapurna, una vetta dove, in media, due scalatori su tre muoiono nel tentativo di raggiungerla. Proprio su questa drammatica montagna il campione coreano è scomparso nel 2011, alla ricerca di una nuova via ritenuta suicida.

Solo nel Tibet esistono 240 vette tra i sei e i settemila metri che non sono mai state scalate da nessuno. Sono immacolate. Alcune non hanno neppure un nome. I grandi scalatori però sono affascinati solo dalle magiche “ottomila”. Del resto, a nessuna delle grandi squadre interessa la serie B.