Emergenza Coronavirus

21/04/2020 Simona Cuomo

Perché, proprio ora, è necessario riflettere sull’identità

La contaminazione tra vita privata e vita lavorativa – sempre più accentuata in queste critiche settimane – sta avendo effetti anche sull’identità personale. Divenuta più fluida e integrata, è ora libera di mostrarsi pienamente, privandosi delle nette divisioni tra «dimensione privata» e «dimensione pubblica». Questo permette di cogliere aspetti dei nostri colleghi, dei nostri capi o del nostro team che prima ci erano sconosciuti, diventando un collante importante per la fiducia e la reciprocità anche quando rientreremo nei nostri uffici.

In questo e nei prossimi blog riprenderemo alcuni commenti che sono stati lasciati dai partecipanti al nostro evento in streaming dello scorso 1 aprile «Smart working (o lavoro agile): Stiamo davvero lavorando agilmente?». Prendendo spunto da questi, affronteremo alcune importanti tematiche sociali e manageriali. Oggi parliamo di trasformazione dell’identità; ci occuperemo poi delle condizioni di vita,  degli impatti dello smart working e di “nuovi possibili  modelli di leadership”.

«Gli sfondi dietro ai colleghi (o agli speaker) in smart working sono fenomenali e, volendo, possono creare legami tra colleghi che prima erano inimmaginabili…  bellissima la cameretta del manager di ABB!».

 

L’organizzazione del tempo e dello spazio sono tra le preoccupazioni principali della nostra vita poiché spazio e tempo sono due categorie etologicamente e socialmente fondanti gli individui e le società.  

Fino a quando i tempi e gli spazi del lavoro sono stati organizzati per lo più in modo rigido e standardizzato, l’identità professionale è sempre stata distinta da quella privata. Tempi e spazi differenti per vivere in modo separato due sfere della propria vita. Si poteva perfino giocare a Dottor Jekyll e Mister Hyde, ossia spingersi fino a essere due persone distinte, indossando maschere diverse. Sapevamo poco del lavoro dei nostri padri e delle nostre madri. Un giorno all’anno era magari possibile visitare la loro azienda; ma quando rientravano a casa il lavoro rimaneva per così dire dietro la porta. Se ne discuteva a tavola, ma in modo astratto, come una conversazione sulla politica o sul meteo. 

Per molto tempo è stato così; la rigidità dell’organizzazione del lavoro ha permesso la separazione netta di due aspetti fondanti l’identità di ciascuna persona, quella privata e quella personale. Nell’attuale contesto economico e sociale, caratterizzato da complessità, velocità e incertezza, le persone hanno espresso nuovi e più sofisticati bisogni per gestire ritmi di lavoro e di vita spesso molto faticosi. Il bisogno di flessibilità, per conciliare vita privata e lavoro, è diventato prioritario.

Per rispondere a questa richiesta, legata non solo alla gestione del carico familiare ma anche alla possibilità di coltivare i propri interessi e le proprie relazioni private, le imprese, anche prima della pandemia da Covid-19, hanno iniziato a ripensare l’organizzazione del lavoro, rendendolo più flessibile, meno vincolato a timbrature e orari rigidi. E con la lenta adozione del lavoro agile (smart working) da parte di diversi lavoratori, l’identità sembra trasformarsi, diventando più fluida e più integrata. E così il lavoro è entrato in casa e in famiglia, creando un’inevitabile contaminazione. Tuttavia, questa contaminazione è stata esasperata dall’emergenza sanitaria creando una vera e propria fusione (e confusione) tra le due sfere identitarie.

Questa particolare situazione ci fornisce l’occasione per riflettere sui vantaggi e sui limiti di questo processo, ormai in atto da tempo, di liquefazione dell’identità. Immediatamente tutti noi tocchiamo con mano gli aspetti costrittivi del non «staccare mai»; la rigidità separa e la fluidità crea una connessione dei tempi e degli spazi che può diventare stressante e totalizzante. Quello su cui invece si riflette meno sono altri aspetti di questa nuova opzione: la fluidità non ci permette di nasconderci e di giocare con maschere differenti; l’autenticità della persona e non il ruolo che indossa diventa, nella connessione dei tempi e degli spazi, una premessa importante per costruire una relazione di fiducia e di scambio costruttivo. Infatti, come rileva il commento riportato, questa commistione tra le due sfere, prima separate, umanizza le persone. Soprattutto in questo periodo, abbiamo conosciuto altri aspetti dei nostri colleghi, dei nostri capi, del nostro team che prima ci erano sconosciuti, cogliendo le diverse sfumature delle loro vite. E questa trasparenza può diventare un collante importante per la fiducia e la reciprocità anche quando rientreremo nei nostri uffici. Inoltre, la possibilità di rivelare sè stessi in modo più fluido e coerente potrebbe rappresentare una compensazione a quella condizione di  pluralismo delle identità sociali che in psicologia è stata definita «il carnevale delle identità» o «schizofrenia dell’io». La tendenza, propria della condizione postmoderna, a cambiare continuamente modelli di riferimento, a recitare stili di vita differenti, secondo questa visione, renderebbe fragile il nucleo  della personalità; una condizione quindi faticosa a livello emotivo per ciascuna persona.

È anche vero che questo percorso di maggior dialogo e scambio tra le sfere delle nostre identità potrebbe essere visto come eccessivo, un grande fratello che tutto controlla e omogenizza. Se questo fosse vero, ciascuna persona potrebbe altresì decidere differentemente, per esempio indossando abiti professionali e oscurando lo sfondo della propria abitazione in modo da impedire alle persone di vedere oltre al proprio mezzo busto altri aspetti di sé (funzione disponibile nella maggioranza dei tool di videoconferenza).

 

Bibliografia di riferimento:

S. Baumann, Modernità liquida, Laterza, Roma-Bari, 2002.

S. Cuomo e C. Bombelli, Il tempo al femminile, Etas, Milano, 2003.

F. Dogana, Uguali e diversi. Teorie e strumenti per conoscere sé stessi e gli altri, Giunti, Milano, 2009.

S. Cuomo,A  Mapelli, La flessibilità paga, Egea, Milano, 2012.

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